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Scuola a perdere

di Redazione

La Sicilia è tra le regioni in cui si registra il più alto tasso di dispersione scolastica e contribuisce, così, ampiamente al processo di avvicinamento verso il ‘benchmark’ europeo, con un tasso di abbandono pari al 26 per cento, contro una media italiana del 18,8 per cento, che risulta essere il valore più elevato di tutte le regioni italiane.

Di Riccardo Di Blasi

L’abbandono prematuro del percorso scolastico contraddistingue la Sicilia rispetto ad altre aree della Penisola. Un indicatore che permette di valutare efficacemente l’entità del fenomeno è rappresentato dalla quota di giovani dai 18 ai 24 anni non inseriti in percorsi scolastici superiori o universitari.

La Sicilia contribuisce ampiamente al processo di avvicinamento verso il ‘benchmark’ europeo, con un tasso di abbandono pari al 26 per cento, contro una media italiana del 18,8 per cento, che risulta essere il valore più elevato di tutte le regioni italiane.

Il dato siciliano è particolarmente preoccupante perché si inserisce in un contesto economico e occupazionale tra i più deboli del nostro Paese. La Sicilia, infatti, detiene il triste primato della presenza di giovani ‘Neet’, Neet, Not in education or in employment training, ovvero di giovani che non studiano e non lavorano.

Nell’ultimo biennio, hanno frequentato le aule delle scuole primarie e secondarie siciliane 687.131 studenti, pari a poco più del 10 per cento dell’intera popolazione scolastica nazionale. Più del 47 per cento degli iscritti si concentra tra Palermo e Catania.

Negli ultimi anni, tutti gli ordini di scuola considerati registrano un deciso calo di iscrizioni.

Per quanto riguarda la scuola primaria, la riduzione di studenti è stata pari al 3,8 per cento, con punte di massimo livello nelle province di Agrigento (5,9 per cento) e Trapani (5 per cento).

A livello di scuola secondaria di primo grado, il decremento di utenza risulta essere più contenuto, attestandosi intorno al – 2,8 per cento, ma con una forte variabilità a livello provinciale.

Sempre nello stesso periodo, le prime classi delle scuole secondarie hanno perso ben 5 mila 684 studenti, pari a una variazione percentuale negativa dell’8,3 per cento.

Il fenomeno investe fasce di età e di livello ancora più basse. Il problema, infatti, parte dalla radice. Ci riferiamo alla scuola dell’infanzia, di cui la Sicilia è completamente sprovvista. Soltanto meno del 5 per cento dei bambini viene ammesso a frequentare un asilo comunale, quando lo standard europeo richiesto in Sicilia è del 30 per cento. Non dimentichiamo che i bambini rappresentano una risorsa preziosa da tutelare e proteggere per creare un futuro migliore. Insomma, la dispersione scolastica nell’Isola è allarmante. Sono anni che nella scuola siciliana emergono soltanto questi dati: indice di un totale fallimento delle politiche educative, che passa inosservato sotto lo sguardo indolente della classe politica siciliana.

Si dovrebbe agire con provvedimenti precisi che, quanto meno, riescano ad arginare in maniera organica il grave fenomeno della dispersione scolastica. Tra questi, per esempio, il tempo pieno o prolungato, che consentirebbe ai soggetti più fragili, il recupero delle materie più importanti.

Il tempo prolungato programmato in maniera organica, però, in Sicilia rappresenta una chimera, soprattutto alla luce dell’edilizia scolastica, altra nota dolente, che versa in condizioni pietose, rappresentando una grave lacuna della scuola Sicilia. La maggior parte di edifici scolastici non nasce come scuola. Infatti, molti di questi sono edifici privati, nati per altre destinazioni d’uso, quindi, privi delle dotazioni necessarie per una scuola, inadeguati e presi in affitto.

Ogni anno provengo milioni di euro dall’Europa per la scuola, ma vengono regolarmente buttati via. Esiste, addirittura, un fondo contro la dispersione proveniente dal Piano di Coesione. Ma anche queste risorse si disperdono inutilmente.

Eppure, la Sicilia ha potestà esclusiva nel campo dell’istruzione, ma per la classe politica, è l’ultimo dei problemi. La popolazione scolastica non rientra ancora tra le fasce elettorali. Perché, quindi, investirci tempo, risorse e denaro?

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