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Acquisto della cittadinanza italiana

Acquisto della cittadinanza italiana e concetto di “residenza legale” ex art. 4, Legge n. 91/1992...

di Redazione

Acquisto della cittadinanza italiana e concetto di “residenza legale” ex art. 4, Legge n. 91/1992

 

Avv. Giovanni Parisi

Con sentenza n. 12380 depositata il 17 maggio 2017, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito il significato da attribuire al requisito di “residenza legale ed ininterrotta” utile allo straniero che al raggiungimento della maggiore età intenda ottenere la cittadinanza italiana.
La Corte d’Appello di Bologna, nel confermare la sentenza di primo grado, rigettava il ricorso presentato ai sensi dell’art. 4, legge n. 91 del 1992 da una diciottenne nata in Italia da genitori immigrati dalla Ex Jugoslavia ed ininterrottamente residente nel territorio italiano dalla nascita sino al raggiungimento della maggiore età.
La disposizione richiamata prevede infatti che “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino italiano se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.
La corte territoriale non accoglieva il gravame interposto dalla ricorrente a motivo del fatto per cui sebbene fosse stata documentata la continuità ed effettività della permanenza della straniera in Italia, all’atto di nascita della stessa era stata dichiarata dai genitori la residenza estera del nucleo familiare, solo successivamente modificata all’anagrafe in favore di quella italiana. Riteneva pertanto il collegio che l’erroneo dato anagrafico della originaria residenza estera fosse in contrasto con la realtà fattuale, la quale in alcun caso avrebbe potuto prevalere sul primo.

Proposto ricorso per cassazione, la S.C. riteneva viceversa manifestamente fondata la richiesta della istante, fornendo in tal modo un utile chiarimento sul significato da conferire alla locuzione “risieduto legalmente” da parte dello straniero sul territorio italiano.
Anzitutto, con riferimento all’avverbio “legalmente”, quale condizione imposta dalla norma alla residenza in Italia (sino al raggiungimento del diciottesimo anno), esso va inteso come permanenza “non clandestina”, ossia non ottenuta in violazione delle disposizioni che regolano l’ingresso, la circolazione ed il soggiorno dei cittadini stranieri.
Inoltre, la eterogeneità della suddetta condizione rispetto al significato formale “anagrafico” inizialmente attribuito, trova la propria ratio nel richiamo sia all’art. 43 del Codice Civile, secondo il quale la residenza coincide con il luogo di dimora abituale, sia alle disposizioni processual-civilistiche vigenti in materia di notificazione degli atti giudiziali (artt. 138 e segg. c.p.c.), le quali a loro volta sanciscono la prevalenza della residenza effettiva rispetto a quella meramente anagrafica. A ciò aggiungasi che con Circolare del Ministero dell’Interno n. 22 del 2007, era stato espressamente evidenziato che l’eventuale iscrizione anagrafica tardiva del minore non potesse pregiudicare l’acquisto della cittadinanza italiana quando vi fosse in concreto la residenza effettiva.

Ad ulteriore sostegno della suddetta tesi fatta propria dai Giudici di legittimità, ricorre altresì l’art. 33 del Decreto Legge n. 69/2013 emanato in materia di semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia, secondo il quale, ai fini di cui all’art. 4, comma II della Legge n. 91/1992, non sono imputabili all’interessato richiedente gli errori e/o inadempimenti commessi dai genitori o dalla P.A., e pertanto il requisito della residenza legale può essere dimostrato con ogni altra idonea documentazione.

Da qui, osserva la Cassazione, sorge l’errore commesso dalla corte d’appello, che non ha assunto come parametro normativo dell’accertamento da svolgere la residenza effettiva della richiedente nonostante la prova rigorosa raggiunta in giudizio, limitandosi viceversa a constatare la sussistenza della contraria dichiarazione di residenza estera fornita dai genitori della ricorrente all’atto di nascita della stessa, evidentemente scaturita da una mancata o incompleta conoscenza dei requisiti legali previsti per l’acquisto della cittadinanza della propria figlia in Italia. Pertanto, rileva la S.C., il giudice di merito avrebbe dovuto correttamente accertare la continuità – a far data dalla nascita e sino al raggiungimento della maggiore età – della residenza effettiva in Italia da parte della ricorrente, mediante l’acquisizione di idonea documentazione comprovante (anche in modo indiretto) la permanenza continuativa della richiedente nel territorio italiano.
Nella specie, tale prova era stata raggiunta dalla ricorrente mediante l’allegazione: delle certificazioni delle vaccinazioni eseguite in Italia a far data dalla nascita; dei libretti di lavoro paterno che attestavano una continuativa permanenza del nucleo familiare per ragioni lavorative (ben oltre la data di attestazione della residenza anagrafica); infine, del carteggio certificante la percezione degli assegni familiari da parte del padre a far data dalla nascita della richiedente, il che ulteriormente ha provato l’inclusione di quest’ultima nel nucleo familiare antecedente al dato formale della dichiarazione anagrafica di residenza in Italia.

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