Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Nelle rughe il letto di un fiume: i nostri anziani

I nostri anziani, protagonisti di un mondo silenzioso, sono vittime non solo del Coronavirus ma anche dell'isolamento che questo ha provocato.

di Gabriella Scaduto

In queste ultime settimane, il mondo degli anziani è stato ogni giorno ai vertici dei temi discussi a livello mediatico. La vita di molti di loro si è tristemente spenta a causa di un virus che ha aggredito i loro corpi già provati da una lunga esistenza, ma soprattutto si è spenta in piena solitudine, lontano dai propri cari, in un letto d’ospedale. Senza dimenticare i vecchietti in quarantena preventiva nelle proprie case, minacciati da un incessabile senso di annichilimento per un possibile contagio e in cui la condizione di solitudine si è resa ancor più dolorosa; ed ancora, anziani chiusi in RSA, quest’ultime diventate presto letali focolai del Corona virus, o ancor peggio prigioni dove, lontano da occhi indisturbati, si consumavano maltrattamenti da parte degli stessi operatori, che di loro avrebbero dovuto prendersi cura, ma che si sono rivelati spietati aguzzini.

Un mondo silenzioso

Così, questa società ha dovuto ricordarsi che esiste un mondo silenzioso, quello dei vecchi, che è tale perché, nella frenesia dell’era post-moderna, era necessario “silenziare” la loro esile ma comunque fastidiosa voce. Spesso ai margini del mondo, per loro restano poco tempo e poche energie da dedicare, poiché ritenuti sovente dotati di poche risorse da offrire, prossimi al capolinea della vita. Siamo al contempo vittime e colpevoli autori di stereotipi e pregiudizi che nel tempo ci hanno condotti ad una concezione dell’anziano, quale soggetto poco utile e poco “spendibile” in una società come la nostra. Gli ultimi dati Istat a tal proposito rilevano che in Italia il 27,7% degli ultra 75enni non ha nessuno su cui contare in caso di bisogno.

Ma abbiamo mai veramente guardato gli occhi ingialliti e patinati dalle cataratte dei nostri nonni o dei nostri padri? Ci siamo mai veramente soffermati a guardare i solchi nei loro visi aggrinziti dal tempo e a chiederci simbolicamente cosa scorre dentro di essi? Loro in realtà rappresentano gli interpreti privilegiati della continuità storica e del senso della vita, poiché, se non ce ne fossimo accorti, sono depositari di esperienza e custodi di un sapere che appartiene esclusivamente ad essi. Se mentre conversiamo con loro ci proporremo dunque di osservarli in modo più approfondito, riusciremo a vedere il flusso di una vita intera.

Un fiume di esperienze

Nelle loro rughe scorgeremo il letto di un fiume, all’interno del quale scorre una corrente fatta di una storia personale, di vissuti emotivi, di esperienze positive e traumatiche, di dolori, gioie, lutti e di successi. Storia che, se vogliamo, può connettersi, in una cornice intergenerazionale, con la storia di ognuno di noi. Ciò, consentendo una continuità esistenziale che conferisce al nostro essere radici, senso di appartenenza e identità. Nella mia professione, non è raro incontrare persone che, descrivendomi il loro disagio e il loro vuoto interiore, mi mostrano un’identità precaria, evanescente e dai contorni poco definiti. E il più delle volte non posso che constatare da parte loro una povertà di legami affettivi con chi, da un punto di vista generazionale, li ha preceduti (genitori, zii, nonni e prozii).

Ciò che in altre parole sostengo è che tante volte neanche sappiamo di non avere radici, ossia un senso di appartenenza a qualcuno o a qualcosa che fornisca un corredo storico. Corredo che non è direttamente il nostro, ma appartiene a coloro che ci hanno allevati e cresciuti e che può rivelarsi fondamentale nella costruzione del nostro Io, poiché contribuisce a spiegarci chi siamo e perché siamo fatti in un modo anziché in un altro.

Dr.ssa Gabriella Scaduto

Invece accade non di rado che si pretenda da noi stessi di vivere sull’onda degli eventi, un po’ come edifici senza fondamenta, aspettandoci tuttavia poi di non crollare di fronte agli urti della vita. In tal senso, conoscere profondamente i nostri anziani, il loro pensiero, i loro sentimenti e nello stesso tempo fornire loro cure, affetto e attenzioni, consente di comprendere meglio il senso di questa vita.

L’importanza di mantenersi attivi

Affetti e sentimenti non hanno infatti età e non declinano in vecchiaia, e noi – adulti, bambini e adolescenti – possiamo essere il veicolo ideale affinché questa fascia della popolazione venga rivalutata e mantenuta attiva. Indagini effettuate in ambito psicogeriatrico testimoniano il desiderio e l’aspettativa di essere circondati da affetti e di sperimentare la continuità di relazioni positive con amici, familiari e in particolare con i nipoti. Ma c’è altro. Numerose ricerche dimostrano come anche da un punto di vista neuro-cognitivo gli anziani siano dotati di plasticità cerebrale. Tanto i neuroni che le sinapsi, una volta distrutti o scomparsi, possono essere ricostruiti anche in età senile, purchè il loro cervello riceva stimolazioni dal mondo esterno. Ricordo, non a caso, Rita Levi Montalcini che nel 1998 dimostrò come anche in età senile esista il cosiddetto Fattore Nervoso di Crescita, quella preziosa proteina responsabile della crescita e dello sviluppo del Sistema Nervoso Centrale.

Gli anziani e la memoria

In che modo allora, fattivamente, possiamo migliorare la qualità di vita dei nostri anziani? Intanto partendo dal presupposto che la loro memoria a lungo termine rimane quasi del tutto intatta e costituisce per loro linfa vitale cui attingere per ricordarsi di essere ancora protagonisti della loro esistenza. In psicogeriatria si parla di “metodo biografico” o “metodo della narrazione storica”. L’anziano, dietro richiesta di chi lo accudisce o gli dona in quel momento compagnia, può invogliarlo con regolarità a farsi raccontare aneddoti significativi della sua vita, portandolo a rivivere parti emotive profonde della sua storia ed elaborando così, ancora una volta, parti della sua vita pregresse. Un’azione così apparentemente banale sarà per lui utile ginnastica per la mente e balsamo per la sua anima. Quel che molti anziani in una condizione di isolamento sociale smettono troppo presto di fare.
Mai come oggi suonano significative le parole del filosofo H. F. Amiel “Saper invecchiare è il capolavoro della saggezza e una delle cose più difficili nell’arte difficilissima della vita“.
A mia nonna Giovanna.
dr.ssa Gabriella Scaduto, psicologa e psicoterapeuta a Palermo

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.