Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Toto Cuffaro, il redento: così mi ha cambiato il carcere

di Pippo La Barba

Dopo la dura esperienza del carcere, Totò Cuffaro si apre in un’intervista alla nostra Redazione e ci racconta…


di Pippo La Barba

“Il carcere mi ha dato la capacità di introspezione che prima non avevo. Ho parlato con la mia anima e ridefinito una scala di valori…”. Fede, amore, misericordia: sono le parole che scorrono tra le labbra di  Totò Cuffaro, quando si racconta nella sua lunga e sofferta esperienza carceraria. Parole che, onestamente, dette da lui, fanno un certo effetto. E’ spontaneo chiedersi… come esce da un’esperienza simile, un uomo, la cui tempra, per tanti anni, è stata quella dell’indiscusso e sovrano governatore del ‘regno di Sicilia’? Il carcere può veramente cambiare chiunque?

Ne parliamo direttamente con l’ex presidente della Regione in un’intervista rilasciata alla nostra Redazione, a breve distanza dalla presentazione del suo libro, ‘L’uomo è un mendicante che crede di essere un re’.     

Totò Cuffaro

Per la presentazione al teatro Ranchibile di Palermo del tuo ultimo libro ‘L’uomo è un mendicante che crede di essere un re’ (Aliberti Compagnia Editoriale), una folla enorme è venuta in aiuto non del ‘vincitore’, ma di uno ‘sconfitto’. Come lo spieghi?Non lo spiego, ne prendo atto. E’ stata una stupenda manifestazione d’affetto. Nel mio cuore ho toccato con mano l’amore di tanta gente nei miei confronti.

Questo amore l’hai avvertito anche in carcere?
E’ stata l’unica cosa che mi ha consentito di sopravvivere: l’amore dei miei genitori, di mia moglie, dei  miei figli, degli amici e delle tante persone che mi hanno conosciuto o semplicemente scritto.

Nel tuo libro dai un giudizio negativo del carcere, affermando che oltre a togliere all’individuo la libertà, tenta di sottrargli anche la dignità. In che cosa ti ha impoverito questa esperienza?
Ancor più che la privazione della libertà, in Italia la detenzione, che in base alla Costituzione dovrebbe tendere al recupero sociale, non garantisce diritti fondamentali della persona.  Se impoverisce?  La vera povertà è la solitudine, sentirsi abbandonato da chi vive all’esterno; e io fortunatamente questa sensazione non l’ho mai  provata.

Cosa ti ha dato l’esperienza carceraria in positivo?
La capacità di introspezione, che prima non avevo. Ho parlato con la mia anima e ridefinito una scala di valori.

Quanto ti ha aiutato la Fede?
Ho visto che cosa è in concreto la sofferenza di Cristo, identificandola con il volto dei detenuti. Ho fatto una scoperta sconvolgente: il paradigma del Cristo – Uomo è superiore a quello del Cristo – Dio.

Cosa è per te la misericordia?
E’ un atto di donazione totale, un amore gratuito che scaturisce dall’immedesimazione nell’altro. E’ cosa diversa dalla pietà, che invece  deriva dalla compassione.

Pensi che questa esperienza abbia danneggiato la tua famiglia?
Sicuramente sì. Mia moglie e i miei figli hanno sofferto tanto di questa lontananza forzata. Penso soprattutto ai miei genitori, mi porto dietro un senso di colpa di avere accelerato la morte di mio padre.

Cos’è per te la politica?
E’ passione, ma anche ideologia, scegliere una bussola  per orientarsi nell’impegno verso la collettività. Io non ho mai smesso di fare politica, neanche in carcere, e continuerò a farlo.

In che modo?
Sicuramente non più nella forma partitica e istituzionale. Mi batterò per umanizzare il carcere e collaborerò a una missione umanitaria nel Burundi. Tenendo presente, come ho detto prima, la scala dei valori, in cima alla  quale metto la famiglia

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