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Serena Barone: teatro tra classicità e modernità

Serena Barone è un'attrice teatrale che nella sua carriera si è accostata con naturalezza a tutti i generi, trasfondendo sempre nei personaggi vigore interpretativo e intensità interiore

di Pippo La Barba

Diplomata come attrice nel 1981 alla scuola di Teatro Teatés diretta da Michele Perriera, Serena Barone è entrata a fare parte della compagnia Teatés, partecipando a quasi tutti gli spettacoli di Perriera. Tra i tanti, Il gabbiano di Čechov, Il malato immaginario di Molière, La cantatrice calva di Ionesco, I fisici di Durrenmatt, Finale di partita di Beckett.

Dal 2006, ha fatto parte della Compagnia Franco Scaldati, recitando, fra gli altri, negli spettacoli Santa e Rosalia, La gatta di pezza, Assassina, Il cavaliere sole.
Ha lavorato in alcune produzioni del Teatro Biondo Stabile di Palermo (Zio Vania di Čechov, Marionette che passione di Rosso di San Secondo per la regia di Pietro Carriglio) e del Teatro Massimo di Palermo. Fra i registi da cui è stata diretta: Thierry Salmon, Enzo Vetrano e Stefano Randisi, Claudio Collovà, Alessandro Garzella, Pippo Del Bono, Umberto Cantone, Gigi Borruso.

Con Emma Dante


Dal 2014, Serena Barone lavora con la compagnia di Emma Dante, partecipando allo spettacolo Le sorelle Macaluso (Premio Ubu 2014, in tournée internazionale fino ad oggi). Ed è stata fra le protagoniste nell’Eracle di Euripide al Teatro Greco di Siracusa per la regia di Emma Dante.
Al cinema, è stata diretta dai registi Roberto Faenza, Marco Bellocchio,Giuseppe Tornatore, Emma Dante. In televisione, per RAI 1, RAI 3, RAI 5 e LA7, dai registi Gianvittorio Baldi, Andrea Bonivento e Gianfranco Albano.

Quattro chiacchiere con Serena Barone

Cosa ti hanno dato i diversi autori e registi con cui hai lavorato: Perriera, Scaldati, Emma Dante?
Con Perriera ho avuto la mia prima formazione teatrale: avevo 17 anni quando ho frequentato la scuola da lui diretta, il Teatés , che mi ha dato un bagaglio tecnico e un imprinting molto forte: un teatro che attinge alla sfera dell’inconscio, all’incarnazione e liberazione di pulsioni nascoste, inconfessabili, al di fuori degli schemi sociali, generando dubbi, domande, riflessioni,  creando crepe attraverso cui si intravedono possibili e nuovi orizzonti.

Scaldati

Con Scaldati ho imparato a recitare nel mio idioma d’origine, il dialetto siciliano, ma un dialetto che nello specifico diventa lingua poetica. E, poi, con tutti quei moduli espressivi che gli appartengono e con la naturalezza e la paradossalità che gli sono propri. Con lui ho trovato anche un agio confidenziale come interprete, cimentandomi, come in un lavoro di repertorio, in una serie di personaggi “popolari” e quotidiani all’interno del mondo degli emarginati. Si procedeva a un lungo processo di lettura a tavolino, dalla voce ‘corpo dell’attore’. Quando ci alzavamo in piedi per abitare lo spazio, eravamo già personaggi vivi.

Ed Emma Dante

Con Emma Dante entriamo in un mondo ancora completamente diverso che consiste nel frequentare un modulo drammaturgico aperto; parliamo, cioè, di un metodo di messa in scena basato fondamentalmente sull’improvvisazione e sul collettivo. Pochi gli indizi di base: un argomento, una situazione, dei costumi. L’accento corale è posto sul viaggio da percorrere insieme, allo stesso ritmo.

Tecnica innovativa

Come è possibile recitare senza un testo predefinito?

E’ una tecnica teatrale innovativa, una sorta di materia magmatica da modellare. Lo spettacolo ci sarà quando lo avremo conquistato. Tutto ciò sotto una direzione forte e implacabile che, vagliando il materiale, poco suggerisce e molto attende. Attende da noi attori una trasmutazione, un’accelerazione, un disvelamento che non ammette pudori ma il coraggio di mostrare  noi stessi. Devi tu spiegare al regista e ai compagni di palco chi sei e cosa ci fai lì. E quindi diventiamo  attori/persone che se ne assumono la piena responsabilità. Emma mi ha insegnato a essere un’attrice più consapevole e indipendente, coautrice dalla drammaturgia scenica, e ad occuparmi delle azioni preparatorie, perfino come cucirsi il costume, tenere in ordine il materiale scenico, preparare il palco… 

L’Anfitrione

Interpretare al femminile il personaggio di Anfitrione nell’Eracle di Emma Dante ti ha suscitato particolari sensazioni?

 La sensazione di essere come Atlante che regge il mondo sulle spalle. Anfitrione esprime una potente impotenza, è il ruolo della vittima dall’inizio alla fine della tragedia di Euripide, con quel pizzico di ironia che la sapiente regia ha saputo trasmettere. Per quanto riguarda il personaggio maschile giocato al femminile, non è la prima volta che mi capita, e devo dire che, per quanto mi riguarda, è tutto molto più naturale di quello che può sembrare. Tant’è che, a prescindere dalle evidenze della differenza di sesso, interiormente in ciascuno di noi si muovono entrambe le forze, quelle del femminino e del mascolino. Basta accelerare uno dei due o miscelare i due aspetti. E, assolutamente, non volere sembrare un uomo se sei una donna, e viceversa. Il risultato sarà sempre ambiguo ma interessante.

Serena Barone caratterista

Come definiresti il  tuo teatro?

Posso solo dire di avere praticato e assorbito diversi stili e tendenze. E che, in fondo, mi riconosco più come una caratterista, in un certo modo predisposta al versante paradossale, iperreale e allucinatorio nell’interpretare i personaggi.

Il set e il palcoscenico

Tu ha rirecitato ne “Le sorelle Macaluso” sia sul palcoscenico che sul set. Quali le differenze?

Innanzi tutto, sul set usiamo una recitazione più naturale e meno caratterizzata, che è propria del palcoscenico; e poi la storia delle Sorelle è stata rimodulata nella sceneggiatura, ma oltre non posso andare, dato che il film non è ancora uscito. Posso dire soltanto che per me è stato molto stimolante portare lo stesso personaggio dal teatro al cinema; è stato come spararlo in un’altra dimensione in cui vigono regole diverse, come se Lia, il mio personaggio, fosse precipitata in un sogno.

L’evoluzione del teatro

Come vedi l’evoluzione del teatro a Palermo?

Ho attraversato questa evoluzione. Il primo spettacolo teatrale a cui ho assistito era una commedia dialettale al Teatro Zappalà, mi ci portò la scuola. E subito ne fui elettrizzata. Ma non pensavo affatto di fare l’attrice, ero troppo timida. Mio padre mi portava a vedere le opere liriche al Teatro Massimo e mi sembrava un mondo meraviglioso. Poi mi appassionai alla lettura del teatro di Pirandello, che mi creò una crisi d’identità.

Incontri importanti

Poi cosa è successo?

Da lì a poco l’incontro con Michele Perriera da cui trassi l’eco dell’esperienza dei Travaglini o dei movimenti d’avanguardia come il Gruppo 63; conobbi le stagioni del Piccolo Teatro di via P. Calvi e dei personaggi che le animavano: Nino Drago, Gigi Burruano, Giacomo Civiletti, Paride Benassai, Rori Quattrocchi, quindi il primo Scaldati, ed altri che non ricordo. Un teatro che a noi, ai tempi allievi di Perriera, appariva semplicemente popolare , ma che in seguito ho imparato ad apprezzare.

Chi ha contribuito a cambiare il teatro

E dopo?

Frequentavo anche il Teatro Biondo, in quegli anni diretto da Pietro Carriglio, ma anche lì tendevo ad avere la puzza sotto il naso perché era il teatro istituzionale, mentre noi con Perriera facevamo un percorso d’innovazione. Integralismo di giovani inesperti e un po’ superbi. Avevamo, invece, tanto da imparare; ma quella era l’età e il momento storico dell’utopia, in cui si pensava che il mondo aspettasse noi per cambiare. E forse, qualcosa di vero c’era, se dalla Scuola Teatés si sono fatti strada artisti come Massimo Verdastro, Claudio Collovà, Gigi Borruso, Beatrice Monroy, solo per citarne alcuni, che hanno contribuito a cambiare la mappa del teatro in questa città con un loro stile e progettualità.

La sorte del teatro privato

Resisteranno i teatri privati nel  dopo Coronavirus?

Soprattutto per le piccole realtà, dipenderà da uno sforzo di fantasia e creatività nel trovare espedienti a basso costo per riorganizzare gli spazi scenici secondo i decreti e le norme di sicurezza, fare di necessità virtù, accettare la sfida. Si incasserà di meno (e per questo la categoria si sta battendo per un sostegno di emergenza su un reintegro dei biglietti non venduti a causa del distanziamento sociale), ma forse si inventerà un nuovo modo di fare teatro.

Pippo La Barba

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