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Quella misteriosa P. 38 che aveva tanto da dire sul delitto di Boris Giuliano

Dietro la morte di Boris Giuliano c’è la storia di una misteriosa pistola, una P.38, ritrovata in un bar di via Francesco Crispi a Palermo...

di Redazione

Rievocazioni: dall’archivio de L’Inchiesta Sicilia del giugno 1998

Dietro la morte di Boris Giuliano c’è la storia di una misteriosa pistola, una P.38, ritrovata in un bar di via Francesco Crispi a Palermo

 

di  Giuseppe Francese

E’ un’afosa mattina del 21 luglio 1979. Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo è solo in casa. Quella mattina Boris Giuliano compie qualcosa di insolito: si reca al bar. Lui che prende il suo primo caffè mattutino in Questura insieme ai colleghi. Il vice Questore fa una quarantina di metri a piedi, la distanza che intercorre tra la sua abitazione e il bar Lux, in via Francesco Paolo Di Blasi. Si avvicina al bancone, quindi sorseggia il suo ultimo caffè.
Giuliano, dunque, va alla cassa e sta per pagare il suo caffè. Il killer si avvicina alle sue spalle. Impugna una pistola calibro 7.65 e lo fredda con due colpi alla nuca, quindi quattro alla schiena.

Muore così Boris Giuliano, investigatore coraggioso.

Perché Boris Giuliano, la mattina in cui viene ucciso va da solo al bar? Perché prima di uscire non ha aspettato come di consueto il suo autista?
E’ probabile che qualcuno, magari di sua conoscenza, gli abbia teso un tranello dandogli un appuntamento?
Sono domande che, fino a ora, non hanno avuto risposta.

“Il 28 luglio vi darò una notizia bomba”, aveva dichiarato ai cronisti il vice Questore alcuni giorni prima di essere atrocemente trucidato dalla mafia. Boris Giuliano muore, portando con sé quel segreto.
Quando si rievoca l’omicidio Giuliano, si fa riferimento alla scoperta del rifugio-covo di Via Pecori Giraldi, all’interno del quale gli investigatori rinvengono delle armi, quattro chili di eroina e una patente contraffatta sulla quale è incollata la foto di Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina, allora braccio destra del capomafia Luciano Liggio. Ma quello che tutti dimenticano è come si arriva a quel covo. La scoperta non arriva per caso, ma a seguito di una brillante operazione di Polizia condotta in prima persona dal vice Questore  Boris Giuliano.

 

Rivediamo i fatti

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L’8 luglio 1979 viene casualmente rinvenuto presso un bar di via Francesco Crispi un revolver di grosso calibro. Alcuni agenti si recano sul posto e constatano la presenza di una pistola P.38. Stanno per recuperare l’arma, quando il vice Questore, Boris Giuliano blocca i suoi uomini e ordina loro di nascondersi nell’attesa che qualcuno cerca di riprendere l’arma. L’intuizione di Giuliano si rivela azzeccata. Dopo qualche ora, due individui, con fare indifferente, si aggirano nel locale guardandosi intorno. La Polizia, dopo averli bloccati, procede all’identificazione.
Sono Antonino Marchese e Antonino Gioè, della zona di Corso dei Mille. I due vengono condotti in Questura. Durante la perquisizione, viene trovata una bolletta con l’indirizzo di via Pecori Giraldi. La Squadra Mobile si reca sul posto e irrompe nell’appartamento.

Da qui…, l’eccezionale scoperta.
Quelli sono i giorni in cui si sta avviando alla fase conclusiva il processo per l’omicidio del colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo e del professore Filippo costa.
Il 14 luglio 1979, i cronisti che si trovano a Palazzo di Giustizia sono in attesa che il sostituto Procuratore Giuseppe Pignatone comunichi le sue richieste sul caso Russo.

Pare che per Leoluca Bagarella, indagato per il delitto Russo sia pronta l’assoluzione per insufficienza di prove. Ma l’attesa per i giornalisti si rivela vana. Il caso Russo ha bisogno di un supplemento di indagini. Il vice Questore Boris Giuliano sembra convinto che l’arma possa appartenere a Leoluca Bagarella. Sempre secondo Giuliano, l’appartamento di via Pecori Giraldi potrebbe essere il rifugio-covo del pericoloso latitante. Marchese e Gioè sarebbero stati bloccati mentre stavano cercando di recuperare la pistola su preciso ordine di Leoluca Bagarella.

Ma c’è di piùboris-giuliano
Boris Giuliano sospetta che l’arma in questione sia quella utilizzata per il duplice omicidio di Ficuzza, in cui persero la vita il colonnello Russo e il professore Filippo Costa. In quei giorni, Giuliano si reca spesso in Tribunale per incontrare Pignatone e il giudice Sirena, entrambi titolari delle indagini sul ‘caso Russo’.

Boris Giuliano ha fretta, vuole conoscere al più presto l’esito della perizia
Il Giornale di Sicilia del 27 luglio 1979 così titola: “Quella calibro 38 ha tanto da dire”. E ancora, sempre sul Giornale di Sicilia: “E’ una pistola che farà parlare molto di sé, quella che la sera dell’8 è caduta nelle mani degli uomini di Boris Giuliano…..”.

Ma quella P.38 che aveva tanto da dire, in realtà non ha mai detto nulla. L’esito della perizia balistica  stabilisce che non si tratta della stessa arma.

Avviene così che l’antivigilia del Ferragosto del 1979, Leoluca Bagarella viene assolto per insufficienza di prove per l’omicidio Russo. Occorrerà la sentenza del gennaio del ’95 per stabilire che Leoluca Bagarella ha in realtà compiuto quel duplice omicidio, avvenuto il 20 agosto del 1977. Quindi, la sentenza del ’95, stando alla quale l’uomo entrato dentro il bar Lux per uccidere il capo della Squadra Mobile Boris Giuliano è sempre lui, Leoluca Bagarella. Sembra che l’arma ritrovata nel bar di via Francesco Crispi non sia stata utilizzata per compiere delitti. Allora, una domanda è d’obbligo: perché rischiare di fare catturare due uomini, Marchese e Gioè per recuperare una pistola ‘pulita’?

Nel mondo di ‘Cosa Nostra’ tutto è messaggio, ogni dettaglio, anche quello che può apparire insignificante non è mai da trascurare.

 

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