Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Quando l’avvocato sbaglia: la responsabilità professionale

Chi si rivolge all'avvocato “sa di avere ragione” e si attende un solo risultato all'esito del processo: la vittoria. Ma cosa succede quando l'avvocato sbaglia?

di Dario Coglitore

Quando l’avvocato sbaglia.
“Avvocato, vinciamo vero”?
Questa è la domanda che comunemente un avvocato sente rivolgersi dal cliente al primo incontro. Già, perché chi si rivolge all’avvocato “sa di avere ragione” e si attende un solo risultato all’esito del processo: la vittoria. Risultato ancor più doveroso se il legale ha ricevuto un misero acconto ! Ebbene, di fronte ad una simile domanda la tentazione di rispondere sempre e comunque positivamente, al solo fine di compiacere il cliente, è forte. Il professionista onesto, tuttavia, sa che in questo caso occorre contare fino a dieci prima di rispondere ed essere il più franco possibile con il proprio assistito. E’ consapevole, infatti, che non esistono cause vinte in partenza (semmai perse!) e che l’esito del giudizio non è mai scontato, anche quando tutte le circostanze del caso sembrano deporre a proprio favore.


Mai dare certezze

La decisione del giudice, come diceva il Calamandrei, è il prodotto di una quantità di fattori imponderabili, molti dei quali sono irriproducibili al di fuori dell’ambiente in cui la sentenza è pronunciata. E’ buona regola, quindi, restare probabilisti. Mai dare certezze. D’altronde l’avvocato ha il dovere di informare il proprio assistito sulle “possibilità” di successo della causa al fine di metterlo in condizione di decidere circa l’opportunità o meno di svolgere l’azione giudiziaria. Dare per scontata la vittoria non solo significherebbe assumere una condotta deontologicamente discutibile ma anche assicurare al cliente l’adempimento della prestazione di un terzo: ovvero quella del giudice !

Il legale, quando riceve il mandato difensivo, quindi, assume nel confronti dell’assistito una obbligazione di mezzi e non di risultato. Il professionista presta la propria opera per raggiungere il risultato sperato, non già per conseguirlo. Lo stesso, più precisamente, è tenuto a raggiungere il fine ultimo voluto dal cliente. E ciò, svolgendo una serie di prestazioni, comportamenti ed atti conformi alle regole dell’arte e alle norme della correttezza ai sensi dell’art. 1176, comma II, c.c.

Quando ha diritto al compenso

Non è responsabile se, nonostante ciò, l’assistito non consegue l’obiettivo ​desiderato. E, comunque, ha diritto al compenso della causa e dell’affare. L’avvocato, semmai, deve considerarsi responsabile qualora, per incuria e ignoranza di disposizioni di legge o per negligenza, comprometta il buon esito del giudizio. Fornire una simile prova, tuttavia, non è facile. A tal riguardo la Corte di Cassazione ha chiarito come il cliente danneggiato che intende agire nei confronti del professionista è tenuto a provare non solo di aver sofferto un pregiudizio, ma anche che questo è stato causato dall’insufficiente ed inadeguata attività del legale e cioè dalla difettosa prestazione professionale.


La “ragionevole certezza”

Quando l’avvocato sbaglia, la responsabilità del legale e la determinazione del danno in concreto subito dal cliente, quindi, non possono identificarsi sic et simpliciter con l’esito sfavorevole della lite. Ma presuppongono l’accertamento del sicuro fondamento dell’attività che il professionista avrebbe dovuto compiere. E, dunque, la “ragionevole certezza” che gli effetti di quella sua diversa attività, ove svolta, avrebbe determinato l’esito vittorioso del processo.

Ampliata l’area del danno risarcibile

La Suprema Corte ha ulteriormente allargato l’area del danno risarcibile, quando l’avvocato sbaglia E ciò, richiedendo per il risarcimento, non già la prova della ragionevole certezza, ma la semplice “probabilità”. Probabilità, che una corretta attività dell’avvocato avrebbe determinato l’esito vittorioso della causa. Applicando così il principio penalistico di equivalenza delle cause (artt. 40 e 41 c.p.). Ritroviamo, dunque, anche nell’ambito della responsabilità dell’avvocato il principio espresso dalla cassazione penale in tema di colpa medica. Colpa per la perdita di chance di guarigione e di sopravvivenza. In base al quale “il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie ed apprezzabili possibilità di successo. Possibilità, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata”.

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.