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Preziosa Salatino: il teatro da motivazioni ai detenuti

L’autrice e regista teatrale Preziosa Salatino, dal 2014 conduce laboratori nell'ambito del progetto “Classici in strada”...

di Pippo La Barba

L’autrice e regista teatrale Preziosa Salatino, che da dieci anni dirige assieme ad Emilio Ajovalasit il Teatro Atlante di Palermo, dal 2014 conduce laboratori nell’ambito del progetto “Classici in strada”, coinvolgendo in rete scuole, l’Università e associazioni cittadine per promuovere la conoscenza dei testi classici attraverso il teatro. In questo progetto c’è una sezione dedicata ai detenuti

 

di  Pippo la Barba

Chiedo a Preziosa di parlarmi proprio della parte del progetto che riguarda i detenuti.
Operiamo da tre anni all’Ucciardone. Si tratta di laboratori brevi, in tutto cinquanta ore; circa due ore, due ore e mezzo a settimana. Sono finalizzati a realizzare spettacoli teatrali creando copioni tratti dai testi classici della letteratura.

Con quali criteri vengono scelti i testi?
Essendo assieme a me artefici della riscrittura e poi della recitazione gli stessi detenuti, in accordo con i professori che fanno parte del progetto scegliamo opere che hanno una valenza educativa e che possano motivare i protagonisti all’acquisizione di una vera coscienza civile. In questi tre anni la scelta è caduta sui poemi di Omero, sulle favole di Esopo e sul Don Chisciotte di Cervantes.

Non c’è il rischio che mettendole in scena queste opere possano essere stravolte?
Intanto non sono originariamente testi teatrali, ma vengono liberamente ridotti in sceneggiature teatrali. Poi c’è chiaramente un problema di linguaggio. Non tutti i detenuti conoscono bene l’italiano, quindi è necessario tradurli in dialetto. Un ulteriore problema nasce per gli extracomunitari, che spesso non conoscono neanche il dialetto siciliano.

Quindi le modalità d’insegnamento sono un po’ particolari.
L’approccio è diverso rispetto a un laboratorio di teatro tradizionale. Qui alla fine il testo è solo un pretesto. E’ necessario iniziare a lavorare sul linguaggio del corpo, cercando di scioglierlo gradualmente per armonizzarlo con la voce. Inoltre anche i soggetti sono particolari, spesso molto poveri di esperienze culturali di qualsiasi genere e non sempre giovani, in quanto agiamo su una fascia di età che va dai 20 ai 76 anni.

Quindi le opere scelte rappresentano una sorta di metafora, un punto di riferimento alto da seguire.
Si. Ciascuna delle opere scelte nei tre anni trasmette un messaggio preciso. Con Omero abbiamo trattato  Il tema del conflitto, dell’onore e della famiglia. In Esopo il filo conduttore è il potere, il forte che schiaccia  il debole, ma anche, con la favola “La cicala e la formica”,  la contrapposizione tra ozio e azione. Il Don Chisciotte rappresenta il sogno, l’utopia che, anche quando non si realizzano, danno la possibilità di credere in un mondo giusto. Nel finale abbiamo inserito l’episodio, poco rilevante nel romanzo, della liberazione dei galeotti, che naturalmente è piaciuto tanto ai detenuti.

Che gratificazioni da il contatto con i detenuti?
Gratificazioni enormi. Io imparo molto da loro, perchè tramite il lavoro teatrale ciò che emerge è soprattutto la loro umanità e dignità di persone. Anche per questo non faccio mai selezioni all’inizio del laboratorio: la scelta di frequentarlo deve sempre nascere da una loro “libera” volontà. Voglio ricordare due episodi emozionanti. Il primo è stato quando a uno degli attori qualche giorno prima di andare in scena è stata concessa la libertà in anticipo e lui è venuto lo stesso in carcere a completare il lavoro per rispetto dei compagni. L’altro episodio è quello di un ragazzo ex detenuto che mi ha confessato di aver provato al debutto la stessa emozione di   quando si è sposato.

 

 

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