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Occupazione senza titolo dell’immobile e tutela risarcitoria

Nessuno può occupare un bene immobile altrui senza il suo consenso. Che cosa accade altrimenti? Esiste una tutela risarcitoria?...

di Dario Coglitore

Nessuno può occupare un bene immobile altrui senza il suo consenso. Che cosa accade altrimenti? Esiste una tutela risarcitoria?

 

Avv. Dario Coglitore

Sempre più spesso la vita di ogni giorno presenta casi di vere e proprie occupazioni abusive, in gergo tecnico definite  occupazioni sine titulo.
Si pensi al conduttore che, nonostante lo spirare del termine del contratto di locazione, permanga nell’abitazione e non accenni minimamente ad andarsene o, peggio ancora, a chi decide di occupare del tutto arbitrariamente un immobile altrui, senza il preventivo accordo con il proprietario.
Non di rado accade, ancora, che tra proprietario e terzo sia effettivamente intercorso un contratto che legittimi quest’ultimo a utilizzare il bene ma, di questo, se ne metta in discussione l’originaria validità o l’efficacia.case occupate
In tutti i casi sopra elencanti, il bene non risulta trasmesso all’’occupante in forza di un valido negozio giuridico sicché il proprietario, al quale viene impedito il godimento del proprio cespite, è legittimato ad agire in giudizio innanzi al tribunale per ottenerne il rilascio.
Al riguardo particolare attenzione va prestata al regime di distribuzione dell’onere della prova.
Secondo gli insegnamenti di Cassazione, Sez. Un. Civ., sentenza n. 7305/2014, infatti, occorre distinguere se alla base della occupazione contestata vi sia stato un titolo originario da ritenersi nullo e/o inefficace o, al contrario, un titolo di fatto non sia mai esistito.

Nel primo caso, l’occupazione senza titolo si fonderebbe nell’invalidità oppure nell’esaurimento del rapporto di natura obbligatoria in base al quale il convenuto aveva conseguito la detenzione del bene. L’azione, dunque, è tesa a riottenere l’immobile occupato e va qualificata come azione personale di restituzione. Si potrà, quindi, chiedere il rilascio senza provare né chiedere che il Giudice accerti e/o si pronunci in merito al proprio titolo di proprietà.

Nel secondo caso, l’attore promuove il giudizio senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico. La domanda è tipicamente di rivendicazione perché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione“.
Oltre alla restituzione dell’immobile, il proprietario può ottenere il risarcimento del danno che tale illecita occupazione gli ha causato.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che, in ipotesi di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario è in re ipsa ricollegandosi al mero fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del suo dominus ed alla impossibilità per quest’ultimo di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (Cass. Sez. II n. 5028/11).

Parimenti è stato affermato che la determinazione del risarcimento del danno può essere operata facendo ricorso al cosiddetto danno figurativo e, pertanto, al valore locativo del cespite usurpato (Cfr. Tribunale di Palermo, Sent. n. 5326/2016).
La ratio dell’orientamento appena richiamato è da ricercare nel fatto che secondo la tradizione romanistica, il «diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo» di cui all’art. 832 c.c. giustificherebbe l’indifferenza a che il proprietario disponga o meno del bene, ne goda oppure no meno, o lo adibisca a realizzazione del proprio diritto. Il non esercizio del diritto di proprietà, non valendo come dismissione del bene, deve perciò sempre rimanere privo di giuridica rilevanza.

Tuttavia, esistono alcune pronunce della Corte di Cassazione (Cfr. Sez. 3, n. 15111/2013) secondo cui il danneggiato che chieda il risarcimento del pregiudizio causato dall’occupazione sine titulo è tenuto a provare di aver subito una concreta lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli.

La confusione, come si vede, non potrebbe essere maggiore, al punto che sentenze emanate negli stessi anni affermano principi in stridente contrasto tra loro

La Cassazione quindi è intervenuta con  un terzo orientamento, per così dire “trasversale” ai due appena citati, secondo cui “la perduta disponibilità d’un immobile non costituisce un danno in re ipsa, nel senso che, provata l’occupazione abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno. Quest’ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell’utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall’uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri” (Cass. Civ. n. 18494/2015).
Alla luce di quest’ultimo arresto, può certamente concludersi che il risarcimento del danno da occupazione senza titolo sembra, allo stato attuale, realisticamente conseguibile senza rigidi oneri probatori da parte di chi ha avuto un immobile occupato.
Ed infatti anche il più sfavorevole degli indirizzi richiede che la prova si basi su presunzioni. Inoltre, non è escluso che il Tribunale adito aderisca addirittura al primo orientamento, per cui nemmeno ci sarebbe bisogno di provare l’esistenza del danno, ritenendolo “in re ipsa”.

 

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