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NO HAY PROBLEMA presentano il loro disco a I Candelai il 9 marzo

di Redazione

Nel 2006, quando la crisi globale era ancora uno spettro lontano e non una realtà quotidiana, sei giovani musicisti palermitani decisero di mettere su una cover-band: la chiamarono No hay problema, citando il titolo di un famoso brano di Jacques Marray, ma volendo con ciò richiamare lo spirito del loro incontro: suonare insieme divertendosi, senza troppi problemi.

di Elisabetta Cinà

 

Ma i problemi puntualmente arrivano: il chitarrista e fondatore, Massimo Bronzetti, trova un lavoro in Toscana, e parte; il trombettista si sposta nella capitale per cercare fortuna, il batterista e il percussionista sono costretti a intensificare i loro impegni lavorativi. La crisi dilaga, e i due musicisti rimasti, Irene Ientile, cantante, e Marco Faldetta, bassista, insieme alla percussionista Lucia Lauro, decidono di andare avanti, nonostante tutto. Irene proviene da esperienze musicali varie: una formazione accademica, un repertorio cameristico classico e uno spiccato interesse per la sperimentazione vocale e per l’improvvisazione. Marco è un jazzista, di quelli puri, rigorosi e appassionati. Lucia predilige la musica latina, le percussioni etniche e i ritmi sudamericani. Il rischio c’è, ed è grande: interessi e backgroud musicali eterogenei, un organico ridotto all’osso, nessuno strumento armonico; ma il desiderio di continuare a suonare insieme è altrettanto grande. E così, nel 2010, parte il progetto dei No hay problema #2.0. Occorre ripensare tutti gli arrangiamenti dei pezzi per la nuova formazione, e lì comincia il bello: perché in una big band, quando suoni un pezzo famoso, la tentazione di riprodurre quello che già c’è può facilmente condurre a risultati imitativi. Ma quando ti devi arrangiare con una voce, un basso e un cajon, la necessità diventa virtù, la mancanza si trasforma in opportunità, e gli spazi creativi si moltiplicano.

I No Hay Problema ristrutturano tutto il loro repertorio, gli arrangiamenti si fanno via via sempre più originali: i primi concerti sono un successo al di sopra di ogni aspettativa. Il pubblico riconosce i pezzi, ma – quel che è più difficile – già da subito riconosce la cifra stilistica e le scelte musicali del bizzarro trio, apprezzandole e chiedendone di nuove.

Dopo due anni di ricerca in questo senso, però, a Irene, Marco e Lucia le cover cominciano a stare strette. Ciascuno dei tre musicisti conserva nel cassetto idee musicali, testi, melodie. Il lavoro compositivo comincia: la versatilità vocale di Irene (che nel frattempo ha inciso un disco di musica da camera) consente al gruppo di aggiungere nuovi timbri e nuove sonorità ai canovacci iniziali; nuovi testi vengono scritti, in italiano, inglese, francese e spagnolo, si aggiungono una cumbia messicana e un set di percussioni brasiliane, in un groove che ammicca da un lato al pop europeo degli anni ’80, dall’altro al melodismo della tradizione classica italiana: il tutto, ovviamente, in salsa No Hay Problema.

Ne esce fuori un disco, con la produzione artistica di Gabriele Giambertone e Giuseppe Rizzo, registrato tra Palermo (negli studi Artilea Records) e Catania (presso il Violet studi di Orazio Magrì). Un disco che racconta, con lingue e linguaggi diversi, le vite complicate dei (non più)giovani nell’era della crisi, tra amori finiti, avventure mancate e ubriacature di una sera, relazioni interculturali e temi sociali.

Una cumbia, la danza degli schiavi africani impiegati nelle piantagioni della Colombia coloniale, fa da sfondo appropriato a un raffinato testo di Paola Polizzotti in ottave di endecasillabi che affronta il delicato tema del … fondoschiena: Cool one.

Sui ritmi di un samba, sostenuta dalle percussioni di Salvo Compagno e dalla chitarra di Gabriele Giambertone, La misma rissume, nel racconto di un viaggio, la storia di tutti i viaggi, vicini e lontani.

E ancora di viaggi parla Cartagine, un testo di Pietro Giammellaro con la musica di Sergio Ientile, sulle rotte che dal Nord Africa conducono nel Vecchio Continente un esercito silenzioso di migranti in cerca di una vita più dignitosa.

La cronaca onirica di una nottata etilica d’inverno è spezzata dalle sonorità del raggae nella trasparenza del bicchiere.

E poi, immancabile in ogni disco che rispetti, l’amore: l’amore contrastato, tormentato e incoerente nell’ironico swing in salsa francese di Joli, suonato e arrangiato da Manlio Messina; l’amore difficile che unisce e divide due universi culturali ma si ricompone in una nuova vita, in Batik, una ninna nanna elettronica arrangiata da Giuseppe Rizzo; l’amore non consumato, nell’atmosfera lounge di Geeky boy, la storia di un giovane musicista un po’ sfigato che si ritrova nel letto la procace fidanzata del suo migliore amico, ubriaca e disponibile; e l’amore nato, cresciuto e finito, sulle note di un tango “da camera” nel singolo del disco, Il Bolero sul sofà.

Agli otto brani inediti si aggiungono, in omaggio al passato coveristico del gruppo, tre grandi classici, scelti come di consueto da tre mondi musicali diversissimi, e poi riarrangiati e reinterpretati secondo il gusto, lo stile e la cifra sonora dei No Hay Problema.

Un disco che nasce nella crisi, ma che dalle difficoltà e dalle incertezze di questi strani tempi trae ispirazione per ridare voce al gusto di incontrarsi e fare musica insieme.

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