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Michela Marzano – La filosofa dalle parole semplici

Abbiamo intervistato Michela Marzano, in tour siciliano per presentare la sua ultima opera “ L’amore che mi resta”...

di Redazione

Michela Marzano in tour siciliano per presentare la sua ultima opera “ L’amore che mi resta”, farà tappa il 22 giugno a Marsala nel Chiostro del Carmine, il 23 a Palermo a Palazzo Branciforte ( h. 18:00), il 24 a Messina al point della Feltrinelli per poi concludere il 26 al Taobuk di Taormina

 

di  Claudia Ferreri

Filosofa, saggista, politica, una donna poliedrica e piena di successi. Dopo la laurea, la Normale di Pisa si trasferisce a Parigi diventando docente prima alla Sorbona ed  oggi all’Università di Parigi. Specializzata in filosofia morale e politica, tutti i suoi scritti analizzano la condizione umana nella società moderna. Nel 2013 entra tra gli scranni del Parlamento italiano nelle fila del Pd che lascerà per il gruppo misto nel 2015.
Nel 2014 ha vinto il premio Bancarella con il romanzo “L’amore è tutto. È tutto ciò che so dell’amore”.
Lei è una filosofa dalle parole semplici. Le sue analisi sono accessibili a tutti . Tutto è detto con estrema sincerità. Niente concetti astrusi o affettati, solo cose , sentimenti, situazioni chiamate con il loro nome. Perché per Michela Marzano il ruolo, lo scopo della filosofia è quello di “regalare le parole per nominare le cose”.

Ad influenzare tutti i suoi scritti certamente il suo vissuto: un’estrema vulnerabilità che, in un periodo di soddisfazioni, forse appesantita da quel “dover essere” una brava figlia obbediente, le fa perdere ogni stimolo alla vita, cadendo nel vortice dell’anoressia. Ne esce ferita ma consapevole di quel che aveva vissuto, attraversato e finalmente “ nominato” tanto da scriverne una storia in “ Volevo essere una farfalla”. I temi trattati sono sempre estremi: l’amore, l’amicizia, la malattia, la maternità, la perdita.
Ne “ L’amore che mi resta”, ultima opera appena pubblicata da Einaudi, ci sono tutti. Il libro parte dal suicidio di Giada e prosegue con  una lunga lettera che Daria, la madre, le scrive cercando di attraversare il vuoto, l’abisso che si spalanca con la sua morte. E lo fa ricordando le tappe della loro vita. Giada era una figlia adottiva che aveva, quindi, affrontato già la perdita. Insomma, un gioco di specchi, di abbandoni ma anche di creazioni di legami, come afferma la stessa autrice. michela marzano

Lei afferma che in quanto essere umani siamo caratterizzati da un’estrema vulnerabilità, un anelito, una mancanza, una assenza e che la filosofia regala le parole per nominare queste cose, per attraversarle.  Ma la filosofia incornicia solo i vuoti o anche i pieni? E quali sono?
“La filosofia che mi interessa non è né quella astratta che gioca con i concetti e ricostruisce il mondo né quella perentoria che vorrebbe insegnare a tutti quello che si deve o non si deve fare. La filsosofia che a me interessa è quella incarnata che si costruisce intorno all’evento, come direbbe Hannah Arendt – quell’evento che appare nel mondo e lo trasforma, senza precedenti, senza cause necessarie. Da questo punto di vista, se dovessi definire la filosofia, direi che è soprattutto un modo per raccontare la finitezza e la gioia, le fratture  e le contraddizioni. Ma anche Il coraggio immenso che ci vuole per smetterla di soffrire e la fragilità dell’amore che dà senso alla vita”.

In molti suoi scritti il tema della fisicità è molto presente. Il corpo  come parte integrante di noi stessi che ci mette in relazione con l’altro in una società che invece lo mercifica, lo modella in base alle esigenze del momento. Oggi, per lei,  il corpo è più contenitore o contenuto?
Il corpo rappresenta la nostra modalità di essere al modo. È ciò attraverso cui ognuno di noi incontra gli altri e sperimenta la vita. È ciò che “abbiamo” e che “siamo” al tempo stesso. Fissa e delimita la nostra esistenza, ma ci permette anche di sperimentare fino in fondo tutto quello che ci accade. Da questo punto di vista è al contempo contenuto e contenitore”.

Il corpo costituisce il supporto fisico a quanto di razionale o ideale vi è nell’uomo e quindi bisogna averne cura lei sostiene; quella cura che le è mancata nel periodo più buio della sua vita interiore che contemporaneamente era il più soddisfacente socialmente: la laurea. Laurea che è ciò che voleva, nonostante avesse perduto ogni stimolo alla vita, ma è sicura che fosse ciò che voleva o era il dover essere laureata?
Prima di scrivere Volevo essere una farfalla, pensavo che non avrei mai parlato della mia anoressia. Che sarebbe rimasto per sempre il mio segreto. Che non avrei permesso a nessuno di sfiorare le mie fratture e le mie debolezze. Poi, pian piano, raccontare la mia storia è diventata una necessità. Perché l’anoressia non è una cosa di cui ci si deve vergognare. In fondo, è solo un sintomo. Un sintomo drammatico da cui tante persone non riescono ad uscire. Che strazia il corpo quando non si riesce a trovare un altro modo per “dire” quello che non va, quello che manca, quello che ci perseguita. Ma è un sintomo appunto ! Che ci permette anche di fare i conti con la nostra vita, con quello che siamo veramente indipendentemente da quello che gli altri si aspettano da noi. Perché, come tanti altri sintomi, porta allo scoperto quello che fa male dentro. La paura, il vuoto, l’abbandono, la violenza, la collera. Ossia tutto quello che in fondo ci impedisce di vivere. Quello che ho voluto raccontare in questo libro, è il modo in cui si riesce a dare un senso alla propria sofferenza. E poi l’importanza delle parole! Quelle che permettono di nominare quello che si prova quando si soffre e che tante volte non si riesce a dire. Quelle che ci permettono di ritrovare il bandolo della matassa. Quell’istante preciso in cui qualcosa si è interrotto. E che prima ci si illudeva di poter dimenticare per fare “come se” nulla fosse mai accaduto, barricandosi dietro ad un pensiero razionale capace, certo, di spiegare tutto, ma in realtà incapace  di aprire la porta ai perché e al senso della vita”.

Ne “ L’amore che mi resta”, sua nuova opera letteraria, si affrontano diversi temi: la perdita, l’amicizia, la maternità e l’amore. Se l’amore, come lei lo ha definito, è quella cosa che ci permette con l’altro di attraversare il vuoto, come si affronta il vuoto quando a morire è proprio l’altro?
Per anni mi sono chiesta cosa sarebbe successo a mia madre se, quella notte di ormai vent’anni fa, invece di risvegliarmi dopo molte ore di coma, fossi morta. Era la fine degli anni Novanta e non ce la facevo proprio a riemergere dalle tenebre in cui ero lentamente precipitata. Dimenticando completamente che, se fossi morta suicida come avevo scelto, non avrei distrutto solo me, ma anche mia madre. Mi ci è voluto molto tempo prima di realizzare che, se quella notte me ne fossi andata via, forse nemmeno mamma ce l’avrebbe fatta. La storia di Daria e di Giada, una madre e una figlia appunto, è nata così. Prima di diventare un romanzo non più, e non solo, sulla perdita, ma anche, e forse soprattutto, sull’amore e sulla maternità. Raccontando la storia di Daria e di Giada, provo a dire quanto ciascuno di noi sia fragile, ma anche forte; magari pieno di fratture, ma disposto ogni volta a ricominciare. “È il romanzo di un amore immenso e di un dolore inaccettabile”, hanno detto quelli che l’hanno già letto, “però alla fine c’è una luce che si apre”. È ciò che ho cercato di fare: attraversare l’inferno per ritrovare la luce. “Il cuore si è spaccato e non esiste più nessuna barriera tra me e l’abisso”, dice Daria quando trova la forza per ricominciare a parlare, ma ancora non trova le parole giuste per dirlo. “L’intensità del dolore continua a sovrastare la forza. E non c’è pietà sufficiente a dire la pena”, insiste. Prima di capire che la vita talvolta è impastata di mancanza – questo sconforto che poi diventa slavina, rabbia e paura, dolore cieco; questo vuoto che l’amore non colma, anche se l’amore è necessario, e senza amore si è morti, prima ancora di morire. E realizzare così, forse per la prima volta nella propria vita, che l’amore, anche se non ripara nulla, è sempre senza confini. Ed è per questo che è perfetto”.

Possiamo dire che in tutti i suoi libri c’è  molta autobiografia?
Sicuramente il punto di partenza è autobiografico. Poi, però, in tutti i saggi mi sono sempre allontanata da me stessa per raggiungere l’universale. E nel mio ultimo libro, che è un romanzo, di autobiografico non c’è praticamente nulla: è una fiction”.

Cosa spinge una filosofa ad entrare in politica?  Non si sente un pesce fuor d’acqua?
Sì e no. Non è sicuramente il mio mondo, ma è un mondo nel quale ho portato le mie competenze e ho portato avanti, credo in maniera sempre coerente, i miei valori e le mie battaglie di sempre”.

 

 

 

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