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Legittima difesa domiciliare: istituto così innovativo?

di Redazione

Si parla tanto, per adesso, di legittima difesa all’interno delle proprie abitazioni. Ecco un’ analisi che, partendo dalla legittima difesa classica, spiega i contenuti della novella del 2006 sulla legittima difesa domiciliare.

 

di Serena Pezzano

La vicenda, ormai nota, del  pensionato 65enne che, a Vaprio D’Adda, in provincia di Milano, ha sparato dalla sua abitazione a un ladro albanese di 28 anni, rappresenta uno degli innumerevoli episodi di cronaca che ha esasperato i toni di un dibattito politico  – per la verità, mai sopito – attorno alla legittima difesa.

“Allargare l’ambito di applicazione della legittima difesa”. Questo il monito e l’auspicio che da più voci della politica italiana rimbomba in questi giorni e che, ha condotto il viceministro della Giustizia, Enrico Costa – del Nuovo Centrodestra – a spiegare come “il parlamento debba riflettere su una proposta che renda legittimo l’uso delle armi per chi si trova costretto a difendere il proprio domicilio.”.

È sicuramente semplice ma, al contempo pericoloso, in riferimento agli ultimi fatti di cronaca, strumentalizzare l’istituto della legittima difesa quale mezzo di qualsivoglia propaganda politica, travisandone la sua esatta formulazione giuridica.

La legittima difesa “classica”.

Per comprendere la reale portata della legittima difesa occorre, in primo luogo, far riferimento al testo normativo contenuto nel codice penale all’art. 52co.1, a mente del quale «non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

Attraverso quella che il nostro codice penale chiama “causa di giustificazione” l’ordinamento, dunque, attribuisce al cittadino la facoltà di autotutelare i propri diritti quando corrano il pericolo di essere ingiustamente offesi da terzi e lo Stato non sia in grado di assicurare una tempestiva ed efficace tutela attraverso i suoi organi, sempreché la difesa sia necessaria e proporzionata.

I requisiti, cui il codice penale subordina il riconoscimento della legittima difesa, sono la situazione aggressiva, delineata dal legislatore in termini di pericolo attuale, di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui e la reazione difensiva, che deve essere necessaria e proporzionata all’offesa. In altri termini, perché un soggetto possa invocare, nelle nostre aule dei tribunali, la legittima difesa, occorre che il pericolo di essere ingiustamente offeso sia “attuale”, ricomprendendosi in tale formula, sia le ipotesi in cui la verificazione dell’offesa sia imminente, sia le ipotesi in cui il pericolo sia perdurante, non essendosi l’offesa, già in atto, esaurita e in relazione alle quali si rende necessaria una reazione al fine di scongiurare la protrazione dei suoi effetti dannosi.
Oggetto del pericolo, quindi, deve essere un’offesa ingiusta, ossia antigiuridica, ad un diritto dell’agente o di terzi, abbracciando l’espressione “diritto”, qualsiasi interesse individuale espressamente tutelato dall’ordinamento giuridico, siano essi diritti personali (diritto alla vita, alla libertà sessuale, alla integrità fisica) o diritti patrimoniali.

La condotta difensiva, invece, per poter assumere la veste di legittima difesa, deve essere necessaria. In altri termini, il legislatore, richiede che l’agente non avesse la possibilità di neutralizzare il pericolo, difendendo se o altri , con una condotta lecita, senza commettere, quindi, un fatto penalmente rilevante.
La difesa, inoltre, non è necessaria quando la persona minacciata nei propri diritti, possa sottrarsi al pericolo di un’offesa ingiusta senza esporre a rischio la sua integrità fisica, potendosi- ad esempio- allontanare o rifugiarsi in altro luogo, anziché reagire e sparare all’aggressore.

Nell’ottica della tutela della vita umana, il nostro codice penale richiede infine che, laddove il pericolo non possa essere neutralizzato attraverso una condotta lecita, l’agente ponga in essere la condotta meno lesiva e meno dannosa tra quelle praticabili. Così sarà, ad esempio, qualificata come reazione legittima, poiché necessaria, la condotta di chi, a fronte dell’aggressione di un soggetto esile, reagisca bloccando e torcendogli il braccio, anziché sparandogli.

Ultimo, ma non meno stringente, requisito richiesto dalla Legge ai fini della configurabilità della difesa come legittima, è quello della proporzionalità tra offesa minacciata e difesa. Con tale requisito, il nostro legislatore impone una valutazione comparativa tra il bene dell’aggredito, oggetto di pericolo, e il bene dell’aggressore, ammettendo che il bene dell’aggressore possa essere “sacrificato” solo se non sussista un divario eccessivo rispetto al bene dell’aggredito.

In altri termini, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che il superiore valore della vita umana dell’aggressore non può essere sacrificato per difendere un bene, il cui valore etico e sociale sia indubbiamente inferiore, quale il patrimonio.

La legittima difesa domiciliare.                                                                                   Riforma Castelli

Con la legge del 13 febbraio 2006, n. 59 (cd. Riforma Castelli), il legislatore italiano ha ampliato – almeno formalmente – i limiti e la portata applicativa della legittima difesa. La novella del 2006 ha, infatti, previsto che, nelle ipotesi di violazione di domicilio o di ogni altro luogo in cui si esercita un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, sussista “automaticamente” il rapporto di proporzione tra offesa ingiusta e difesa, se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi indicati, usi un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità, i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

La riforma della legge sulla legittima difesa, fortemente voluta dalla Lega Nord, ed approvata in pieno dalla maggioranza di governo, traeva origine dai drammatici fatti di cronaca che, già nel 2006, avevano fatto emergere con estrema chiarezza, l’inadeguatezza delle norme vigenti in materia di legittima difesa. Troppo spesso, infatti, di fronte alle condotte violente e criminose perpetrate ai danni di liberi cittadini nelle proprie case e negli esercizi commerciali, vi era la paura di reagire, perchè reagire coincideva, quasi sempre, con il rischio di essere processati per eccesso di legittima difesa o addirittura per omicidio volontario.

Ma cosa è cambiato realmente con la riforma del 2006? Sono stati davvero ampliati i confini della legittima difesa? E soprattutto, perché ancora oggi sono frequenti i casi in cui ad un soggetto che reagisca all’interno della propria abitazione o negozio ad un’aggressione, viene contestato dalla magistratura italiana il reato di omicidio volontario o l’eccesso colposo di legittima difesa?

In realtà, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, il legislatore del 2006 non ha introdotto, con il secondo e terzo comma dell’art. 52 c.p., una nuova causa di giustificazione, con autonomi presupposti di liceità, differenti da quelli previsti per la classica legittima difesa, avendo semplicemente previsto una presunzione legale, in ordine al requisito della proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio, ovvero in un luogo ad esso equiparato. Ciò significa, che il legislatore ha precluso ai giudici italiani di accertare discrezionalmente il solo requisito della proporzionalità tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio dell’aggressore, contro la volontà di chi è legittimato ad escluderne la presenza. La conseguenza evidente è che , ad oggi, spetta comunque all’autorità giudiziaria l’accertamento, nel caso concreto, di tutti gli altri requisiti richiesti per la classica legittima difesa, ossia l’attualità dell’offesa e la inevitabilità dell’uso delle armi, il cui solo esito positivo consente di qualificare la difesa domiciliare come legittima. È quindi, la stessa formulazione della novella del 2006 che, non sganciando la sua applicazione dalla interpretazione dei requisiti richiesti per la legittima difesa classica, impone ai giudici italiani un’interpretazione restrittiva della legittima difesa domiciliare, negandola talvolta in casi che, agli occhi dell’opinione pubblica, possono apparire paradossali e ingiusti.

Probabilmente, la novella del 2006 costituisce il frutto di una tendenza legislativa – ormai diffusa in Italia – che, mossa da un preoccupante e dilagante allarme sociale, elabora celermente e frettolosamente norme poco chiare all’interprete, la cui portata innovativa, in realtà, è davvero minima, se non del tutto irrilevante. È allora forse il caso di costruire una nuova figura di legittima difesa domiciliare, totalmente sganciata dai presupposti disciplinati dall’articolo 52co.1 che, lungi dall’introdurre una pericolosa e indiscriminata “licenza di uccidere”, sia però in grado di assicurare una reale protezione a chi, nella propria abitazione o nel proprio negozio, si trovi “costretto” a difendere la propria o altrui incolumità, senza rischiare di essere indagato, e in taluni casi condannato, per omicidio volontario?

 

 

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