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La tutela contro le immissioni rumorose nell’ambito del processo civile

Le immissioni rumorose hanno sempre rappresentato nella vita quotidiana un punto di conflitto tra proprietari, titolari di locali pubblici ed inquilini...

di Dario Coglitore

Il rumore è un agente inquinante che provoca un diffuso disagio psicofisico e le immissioni rumorose hanno sempre rappresentato nella vita quotidiana uno dei principali punti di conflitto tra proprietari, titolari di locali pubblici ed inquilini

 

di  Dario Coglitore

La l. 26 ottobre 1995, n. 447, vera e propria legge quadro sull’inquinamento acustico, concepisce il rumore come “fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, come pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni privati, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno, o tale da interferire con le legittime funzioni degli ambienti stessi” e demanda allo Stato la determinazione dei valori limite delle immissioni.
Tralasciando gli ovvi aspetti penalistici, contro le immissioni rumorose il codice civile prevede una specifica tutela all’art. 844 c.c. a tenore del quale “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi “. La disposizione continua al secondo comma il quale dispone che nell’applicare la predetta norma “l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”

In sostanza il Legislatore riconosce il diritto del proprietario del fondo di produrre rumore ponendo al contempo il limite della normale tollerabilità.
Ne consegue che, fino a determinati livelli, le immissioni rumorose provenienti dal vicino si debbono sopportare, oltre diventano illecite.
Ma cosa si intende per “normale tollerabilità”?
Il concetto non è ben definito ed il codice spiega solo che per valutare tale limite si deve tenere in considerazione anche la condizione dei luoghi.

Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che “il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale.”

In genere è sufficiente dimostrare che i rumori del vicino abbiano superato di 3 dB o di 5 dB il rumore di fondo a seconda che le immissioni si verifichino in ore notturne o diurne.
Quindi, nell’ambito di un ipotetico giudizio, la perizia dei tecnici può rappresentare un utile strumento per valutare la normale soglia di tollerabilità, ovvero rappresentare una fonte oggettiva di prova. Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che l’accertamento acustico rientra tra le attività liberamente valutabili dal giudice che può anche basarsi su altri elementi probatori acquisiti agli atti a prescindere dalla conoscenza dei decibel raggiunti.
Come insegna la Corte di Cassazione, non basta che i limiti di legge non siano superati per ritenere comunque di per se lecita una immissione sonora. Lo stesso ‘rumore’ potrà essere ritenuto lecito in un determinato contesto, e viceversa illecito in un contesto del tutto differente e caratterizzato magari da un particolare rumore di fondo, definibile secondo il giudice delle leggi come “quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile continui e caratteristici del luogo”.
Il secondo comma dell’art. 844 stabilisce, d’altronde, che il giudice nel momento in cui è investito di una tale problematica può valutare il caso anche contemperando le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e quindi deve tener conto della priorità di un determinato uso.
La priorità deve intendersi come il “preuso“: quindi se l’immobile è situato in una zona già precedentemente destinata ad insediamenti di tipo industriale, bisogna aspettarsi possibili immissioni e il limite della tollerabilità è più alto rispetto ad una zona residenziale.
Tale criterio però ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del merito, nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, “non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità.”

Quali sono le azioni che che il privato può intraprendere per tutelarsi contro i rumori molesti ?

Innanzitutto, occorre rivolgersi al Giudice di Pace solo allorquando gli immobili coinvolti siano adibiti a civile abitazione e nei confronti non solo dei proprietari, ma anche dei detentori degli stessi. In tutti gli altri casi è competente il Tribunale.
All’autorità giudiziaria, cosi individuata, è possibile chiedere, oltre alla cessazione dei rumori attraverso la c.d. azione inibitoria, il risarcimento del danno in virtù del generale principio neminem laedere contenuto nell’art. 2043 c.c.; e precisamente il danno patrimoniale (es. perdita di valore dell’immobile), biologico (ansia e stress provocati dal rumore e accertabili in sede medica) e morale (allorché la questione abbia una rilevanza penale).

 

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