Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

La terra e i colori

di Redazione

 

Una equilibrata ed armonica interazione fra scultura, grafica e pittura, nei perimetri della raffinata arte ceramica di Mario Lo Coco. In esposizione dall’undici al venticinque maggio al complesso Guglielmo II di Monreale.

 

di Salvo Ferlito*

Una sintesi perfetta di volume e di colore. E’ questo il connotato saliente e distintivo delle raffinate ceramiche plasticate da Mario Lo Coco, artista di notevole inventiva e non comune manualità, capace di trasformare l’informe materia argillosa in opere di indiscusso pregio estetico.

Arte antica, quella ceramica, da annoverare senza dubbio (al pari della pittura e della scultura) fra le prime manifestazioni artistiche dell’umanità; e tuttavia troppo spesso negletta e ancor oggi sottovalutata, sì da venir relegata, con una certa sufficienza, nell’ambito (a torto ritenuto subalterno e ancillare) delle arti cosiddette minori o decorative. Una distinzione, quella fra arti maggiori (grafica, pittura e scultura) ed arti minori (tutte le altre genericamente classificate fra le discipline dell’artigianato artistico), assolutamente fittizia e inappropriata, come del resto dimostrano i tanti movimenti (uno per tutti l’Arts and Crafts influenzato dalle teorie di William Morris) che della loro piena equiparazione si sono fatti programmaticamente artefici e promotori. A quale categoria, infatti, ascrivere assoluti capolavori quali i vasi ellenici di Eufronio o le splendide statue ceramiche cinesi della dinastia Tang (per non parlare dell’incredibile esercito di terracotta sepolto a Xi’an) oppure gli spettacolari manufatti italiani d’epoca rinascimentale (primi fra tutti quelli dei Della Robbia), a quella delle grandi (e vere proprie) opere d’arte o semplicemente a quella del pur qualitativo artigianato artistico? E ancora, per venire ai nostri giorni, come inquadrare le performances ceramiche di Picasso e soprattutto di Fontana e di Leoncillo? Come piene espressioni della loro migliore e più rappresentativa produzione artistica o come meri (e meno significativi) divertissement all’interno di un più rilevante percorso di protagonisti delle arti visuali?

Domande retoriche, ovviamente, cui però è in grado di rispondere con congrua pertinenza proprio Mario Lo Coco, il quale ha per l’appunto posto la modellazione e la cottura dell’argilla colorata al centro dei personali orizzonti ideativi e gestuali, pervenendo ad esiti plastico-pittorici di non comune rilevanza visuale. Quello di Mario, infatti, è un itinerario che, pur muovendo dalle determinanti premesse della tradizione figulina isolana (si pensi ai manufatti sei-settecenteschi di Burgio, Sciacca, Trapani o Caltagirone o, più recentemente, all’operato del palermitano De Simone), tende tuttavia a snodarsi lungo direttrici di forte e marcata innovazione, caratterizzate da un continuo ed inesausto anelito alla ricerca ed alla sperimentazione tecnico-linguistiche.

Non pago di un lessico visivo di tipo più classicamente figurale, il nostro Mario ha voluto, non a caso, esplorare i territori linguistici dell’astrazione, optando, da qualche anno a questa parte, per soluzioni più caratteristicamente informali, in cui il libero fluire del colore (vivacizzato da sapienti misture di pigmenti vetrosi ed inserti di metallo fra loro ben amalgamati da adeguate tecniche di cottura) si fa pienamente carico della esplicitazione di profondi contenuti emozionali ed affettivi. E tutto ciò, ovviamente, sempre nell’ambito d’una accurata e sapiente manipolazione della materia prima (l’argilla), sì da poter pervenire, come già detto, ad un armonico equilibrio fra forma e colore, fra sviluppo volumetrico nello spazio e caleidoscopico inceder delle cromie. Gli azzurri acquosi, i rossi incandescenti, i neri tratteggiati, i gialli solari si compongono così sulle superfici invetriate, interagendo al contempo con parti scabre e non dipinte (ove a padroneggiare è il tipico rossore spento della terracotta), in un gioco articolato di squilli e di silenzi, di aggetti e di incavi, di rientranze e fratture della struttura cretacea, che allude a una visione simbolica del mondo naturale, in cui l’elemento ctonio e quello aereo paiono contendersi lo spazio in una sorta di continuo (ma equilibrato) confronto-scontro di forze primordiali. Non è un caso, quindi, che nelle opere di Mario ricorra di frequente la forma sferica, quasi a voler alludere all’orbe terraqueo e a quell’insieme di dinamismi naturali, sui quali proiettare intensamente i più riposti sussulti della psiche. Un dato, quello del riferimento allegorico al mondo fisico, che affiora in maniera sistematica anche nelle ceramiche dal caratteristico andamento spaziale più lineare (le recenti composizioni di elementi ipercromici che tendono a snodarsi in lunghezza su lastre diafane di plexiglass), le quali paiono portare a pieno compimento la completa integrazione delle varie discipline artistiche (disegno, pittura e scultura) in un unicum sintetico e omogeneo di forte e penetrante impatto visuale.

E’ dunque questo il grande merito artistico di Mario Lo Coco, l’aver raggiunto l’equlibrata interazione fra le arti “maggiori” nei perimetri elettivi d’una disciplina erroneamente considerata “minore” e “subalterna“. A inoppugnabile dimostrazione dell’infondatezza di qualsivoglia gerarchia di valore fra le varie arti e ad ulteriore conferma della sola preminenza della vis del pensiero immaginifico sotteso al gesto artistico.

* critico d’arte

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.