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La revoca del coniuge separato alla procreazione medicalmente assistita

La revoca del consenso alla procreazione medicalmente assistita da parte del coniuge separato. Un argomento complesso, analizzato dai nostri avvocati

di Redazione

Con ordinanza del 27 gennaio 2021, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione collegiale, nel rigettare il reclamo interposto ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza emessa in data 11/10/2020 all’esito di ricorso d’urgenza, ha confermato la irrevocabilità del consenso prestato dai coniugi alla PMA successivamente alla fecondazione dell’ovocita e alla formazione dell’embrione poi crioconservato, pur se nel frattempo sia intervenuta la separazione personale della coppia, ritenuta irrilevante.


Procreazione medicalmente assistita

Una coppia coniugata si sottoponeva ad un ciclo di procreazione medicalmente assistita, avendone dato espresso consenso al centro ospedaliero prescelto secondo le prescrizioni di legge. Successivamente alla fecondazione dell’ovocita, la terapia era stata interrotta a causa di alcuni problemi di salute della donna, e quattro embrioni erano stati all’epoca crioconservati (sempre dietro consenso della coppia) in attesa dell’impianto.

Due circostanze: guarigione e separazione

Nel frattempo intervenivano due circostanze: la guarigione della donna e la sua separazione dal marito che a suo tempo aveva prestato il consenso alla PMA. Quest’ultimo, dunque, revocava il predetto consenso allo scongelamento degli embrioni e al conseguente impianto in utero degli stessi. La donna, pertanto, ricorreva in via d’urgenza, ex art. 700 c.p.c., al Tribunale competente chiedendo di ordinare al centro medico di procedere ugualmente all’impianto degli embrioni in utero nonostante la contraria volontà del coniuge. La domanda veniva accolta in via cautelare e il coniuge-resistente fu costretto ad interporre reclamo al collegio ai sensi di cui all’art. 669- terdecies c.p.c., rilevando l’inammissibilità in rito e chiedendo il rigetto nel merito. Tuttavia, il Collegio decidente disattende le doglianze mosse dal reclamante, confermando il provvedimento di primo grado e ordinando l’impianto degli embrioni fecondati sulla scorta di svariate motivazioni. Sottolinea preliminarmente il Tribunale come la legge n. 40/2004 vigente in materia di procreazione medicalmente assistita, tuteli non solo gli interessi dei privati che accedono alla p.m.a., ma anche gli interessi pubblicistici sottesi alla delicata materia che involge la genesi della vita, di ordine etico e sanitario.

L’articolo 1

L’art. 1 della suddetta norma, difatti, recita “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivant dalla sterilità o dalla infertlità umana è consentto il ricorso alla procreazione medicalmente assistta, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

Il diritto alla vita

Nei lavori preparatori alla legge, inoltre, si parla espressamente di diritto alla vita dell’embrione su cui è costruito l’intero impianto della legge stessa; il concepito, dunque, ai fini della legge, si identifica senza dubbio con l’embrione, anche se crioconservato, e pertanto esso è titolare di una legittima aspettativa di esistenza e sviluppo che lo conduca alla nascita. A tale principio si aggiungono altresì gli artt. 6, che espressamente sancisce l’irrevocabilità del consenso successivamente alla fecondazione, e l’art. 8 che attribuisce alla volontà manifestata, irrevocabile con la fecondazione, funzione determinativa della maternità, della paternità e dello status di figlio, escludendo in conformità della rato della legge la rilevanza, come affermato dal primo giudice, di comportamenti e di eventi successivi alla fecondazione dell’ovulo: in altri termini, espone il Collegio, “la libertà di procreare si è esercitata e si è esaurita con la fecondazione, ammettendo la legge la libertà di ripensamento solo fino alla fecondazione medesima.”

La volontà di diventare genitori

Il consenso prestato dalla coppia che procede alla PMA, dunque, a parere dei giudici, non si configura come consenso al trattamento sanitario, bensì come vera e propria manifestazione di volontà a divenire genitori contestualmente al momento del concepimento dell’embrione; da questo momento il consenso diviene irrevocabile a prescindere dalle successive vicende interpersonali che eventualmente abbiano coinvolto le parti, ivi compresa la separazione personale.​ Quest’ultimo evento, invero, che attiene strettamente alla sfera coniugale, prescinde e non rileva ai fini dell’acquisto dello status genitoriale.


La irrevocabilità del consenso

D’altro canto, la irrevocabilità del consenso suindicato è stata oggetto di espressa conferma da parte della Corte Costituzionale con la pronuncia n. 151/2009, richiamata anche dal Collegio decidente: la Consulta, nel conferire all’embrione-nascituro un certo grado di soggettività correlato alla genesi della vita non certamente riducibile a mero materiale biologico, bensì riconducibile al fondamento costituzionale di cui all’art. 2, ha ammesso la prevalenza della manifestazione del consenso sul diritto alla vita dell’embrione esclusivamente all’esito del bilanciamento effettuato con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) e che risultino, in date situazioni, prevalenti. In altri termini, afferma il Tribunale, “la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, come dichiarato all’art. 1 L. 40/2004, è attuato assicurando, da un lato, la consapevolezza del consenso alla P.M.A. e la possibilità di revoca sino alla fecondazione, e, dopo tale momento, ritenendo prevalente il diritto alla vita dell’embrione che potrà essere sacrificato solo a fronte del rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuto prevalente perché facente capo, per esempio, a soggetti già viventi – per lo più a tutela della salute della donna”.


La separazione intervenuta successivamente alla fecondazione dell’ovocita

Alla luce di ciò, dunque, la separazione tra i coniugi intervenuta successivamente alla fecondazione dell’ovocita, elide solo in apparenza i presupposti soggettivi richiesti dall’art. 5 della legge in questione (coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile) e il diritto alla famiglia, garantito dall’art. 30 Cost. “ Lo stato di separazione dei coniugi non può porsi, infatti, sullo stesso piano di quello del genitore single o della coppia omosessuale, che danno vita a modelli di famiglia che si allontanano da quello tradizionale. Invero, il minore nato da genitori separati avrà diritto di godere di entrambe le figure genitoriali e sia il padre che la madre assumeranno i diritti e gli obblighi connessi alla genitorialità. L’ordinamento appresta tutela penalistica e civilistica ai diritti dei figli nei confront dei genitori i quali sono tenuta alla salvaguardia dell’interesse dei figli sotto tutti gli aspetti, proteggendoli anche dai conflitti di coppia.”


Effetti vincolanti sull’assunzione di genitorialità

A parere del Collegio, peraltro, nel caso di specie non sarebbe nemmeno ravvisabile un trattamento sanitario obbligatorio in contrasto con l’art. 13 della Costituzione, atteso che il divieto di revoca del consenso non impone alcun trattamento sanitario non voluto, limitandosi a produrre effetti vincolanti sull’assunzione di genitorialità. Né tampoco può configurarsi contrasto con i principi in materia di consenso informato: invero, in ambito sanitario, “il consenso non costituisce accordo, ma assenso, ossia una manifestazione di volontà che non si coniuga con un’altra volontà, con la conseguenza che esso non crea un vincolo, ma soltanto un’autorizzazione per il medico, sempre revocabile.

Una disciplina peculiare

Tuttavia, ben può il legislatore per situazioni diverse dettare una disciplina peculiare che nel caso in esame si giustifica per la tutela dei rilevanti interessi pubblicistici in gioco, come sopra ampiamente esposto.” In definitiva, una volta prestato il consenso alla PMA e proceduto alla fecondazione dell’ovocita, le vicende separative sopravvenute nella coppia non spiegano alcun rilievo giuridico ai fini del ripensamento alla già manifestata volontà di impiantare l’embrione in utero; i coniugi, pertanto, seppur separati, acquisteranno lo status genitoriale e saranno incondizionatamente obbligati a educare, istruire e mantenere la prole ai sensi di cui all’art. 30 Cost.

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