All’indomani dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco. La gioia di Palermo, i pensieri dei tangueri cittadini, le osservazioni degli argentini che vivono nella nostra città
Di Alessia Franco
Come sempre accompagnata da voci discordanti, che ritraggono l’interessato ora come un santo ora come un ricettacolo di colpe, l’elezione del nuovo Papa è finalmente stata portata a compimento, mercoledì scorso, da una fumata bianca.
Sale al soglio pontificio l’argentino Jorge Mario Bergoglio, primo gesuita e primo sudamericano a ricoprire questo incarico. Con un nome – Francesco – che dopo scandali come quello della pedofilia e dello Ior sembrano dirla lunga sul percorso che il nuovo pontefice intende intraprendere. Un Papa diretto, che parla con una semplicità a cui forse non eravamo più abituati, che commuove. Che paga il conto in albergo, che continua a indossare la sua croce di metallo anche dopo l’elezione e che andava in giro in metropolitana e in bicicletta.
Secondo alcune fonti, però, Jorge Mario Bergoglio sarebbe lontano dalla riforma che da lui ci si aspetta, così lontano da figurare come uno degli allora candidati impresentabili: complice il suo silenzio (ma si parla anche di un più aperto appoggio) durante la dittatura argentina, la sua aperta opposizione ai matrimoni gay e una sua presunta dichiarazione sul fatto che la politica è meglio lasciarla fare agli uomini, evidentemente, e naturalmente, predisposti a questo compito.
Anche Palermo ha fatto la sua parte nell’accogliere il nuovo pontefice, con chiese aperte, campane a festa, musiche e canti che si sono snodati dal centro alla periferia, con fedeli che in quest’uomo dall’aria mite vedono la figura di svolta di cui la Chiesa ha bisogno, in cui scorgono la stessa umiltà di Padre Pino Puglisi.
Un tripudio di consensi – stavolta più prosaico, ma ugualmente gioioso – nella comunità di tangueri (molto estesa a Palermo): il loro entusiasmo esplode alla notizia che, da giovane, Bergoglio ballava la danza tradizionale di Buenos Aires, di cui è ancora appassionato.
Ma loro, gli argentini che vivono e lavorano a Palermo, che sosa pensano?
«Ho provato una forte emozione, che come tutte le emozioni non ha niente di razionale – dice Pablo Pouchot, insegnante e ballerino di tango, nato nello stesso quartiere di Bergoglio – nel modo di parlare del nuovo Papa ho sentito l’Argentina, e ho capito che forse il rinnovamento è davvero possibile. In molte chiese del Sudamerica c’è un rapporto più diretto con l’uomo, con la sua povertà, con la sua sofferenza».
Gli fa eco Silvina Larrea, anche lei di Buenos Aires, anche lei apprezzatissima ballerina e insegnante di tango: «Papa Francesco può davvero fare la differenza, perché conosce una povertà che in Occidente non si conosce, che nonostante la crisi, spesso nemmeno si immagina. La povertà di chi è senza un tetto o di chi non ha da mangiare, di chi non ha la possibilità di accedere ai servizi più basilari. Ci voleva un Papa sudamericano. O uno africano, sempre per questi motivi».