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Il mistero dei tarocchi

Un mazzo di 78 carte: 56, gli arcani minori, mentre 22, gli arcani maggiori. I tarocchi e le figure simboliche di cui sono composti

di Patrizia Romano

Il matto. Il bagatto. La papessa. L’imperatrice. L’imperatore. Il Papa. Gli amanti. La morte. La torre. Il diavolo. La stella. Il sole. La luna.…
Signori, stiamo parlando dei tarocchi.
Ma cosa sono? A grandi linee lo sanno tutti. Si tratta di un mazzo di 78 carte di cui 56, chiamate arcani minori, sono normali, divise nei tradizionali semi italiani denari, coppa, bastoni e spade.22, chiamate arcani maggiori o trionfi, con figure simboliche.

La storia dei tarocchi

Ma quando sono nati tarocchi?
Una domanda destinata a rimanere senza risposta.
Il 14 maggio 1379, è scritto nel registro dei conti della Corte francese, il duca di Brabante pagò ben 81 mottoenen per un mazzo composto da 78 carte.
E’ lecito pensare che si trattasse di tarocchi, ma queste carte non sono state mai ritrovate.
Le più antiche giunte fino ai giorni nostri furono illustrate nel 1392 per Carlo sesto di Francia. Questi tarocchi, oggi, sono conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi.

Grandi pitture

Nel 15º secolo, grandi pittori illustrarono favolosi mazzi per i personaggi illustri dell’epoca. I tarocchi di Bonifacio Bembo, di Marziano da Tortona e di Mantegna sono pezzi unici, quotati decine di milioni di vecchie lire.
I tarocchi del Mantegna non sono però una creazione del celebre pittore Veneto Andrea Mantegna, ma rappresentano ad ogni modo uno dei più pregevoli ed enigmatici capolavori della grafica rinascimentale.
Gli studi più recenti hanno dimostrato che queste carte sono tra i primissimi esempi dell’arte incisoria e che videro la luce intorno al 1460 a Ferrara per mano di un anonimo artista della scuola di Francesco del Cossa.
I ceti meno abbienti, invece, dovevano accontentarsi di carte stampate in serie con matrici di legno.

I tarocchi di Marsiglia


I tarocchi di Marsiglia continuano ad essere prodotti da varie case italiane e straniere, con disegni identici a quelli di tre secoli fa. Sull’origine dei tarocchi si sono tessute molte ipotesi. Con ogni probabilità si tratta dell’Unione di due giochi. Quello delle carte chiamate Naibi, e un gioco molto più antico, nato a scopo divinatorio e, composto da due figure simboliche. Anche sul loro simbolismo si è molto dibattuto. Con buona probabilità, si tratta di una versione adattata al nostro gusto figurativo di certi disegni schematici, ottenuti applicando determinati metodi divinatori orientali come la Geomanzia e I-ching.

Dal diciottesimo secolo

Nelle 18º secolo, in concomitanza con il fiorire di studi magici ed esoterici, l’archeologo francese Antoine Court de Gebelin asserì che il mazzo di tarocchi era il sacro libro di Thot: un compendio dello scibile consultato dai sacerdoti dell’antico Egitto. Questo doveva essere un mezzo per scrutare nel futuro.
Successivamente Alphonse Louis Costant, alias Elifas Levi, uno dei più grandi occultisti della storia, cercò di dare alle tradizioni magiche occidentali una struttura unitaria di cui i tarocchi erano la chiave, correlati sia alla simbologia massonica che l’astrologia sia alla cabala che alla numerologia.

I seguaci


Tra i seguaci di Levi bisogna ricordare Jean Battista Baptiste Pitoist. In seguito, molti altri si basarono sul mito egizio per avvicinarsi ai tarocchi.
Da quel momento in poi, si scatenò una vera e propria frenesia. Scrittori e studiosi di occulto infatti disegnarono la loro personale ricostruzione dei tarocchi originali, ricollegandosi alle tradizioni esoteriche più disparate.
Nacquero così numerosi metodi per consultare le carte, ma per questa operazione si usavano e si usano ancora solo le 22 figure simboliche: gli arcani maggiori.
Quella dei tarocchi e una sottile realtà parallela. Un filtro tra il mondo reale e quello ideale.

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