Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Il governatore, i grillini e il modello Sicilia

Prendendo in contropiede l’intero arco costituzionale dell’Ars, in primis gli alleati della maggioranza, smentendo serenamente le sue ultimissime esternazioni e stoppando sul nascere il dibattito politico, lo tsunami Crocetta si abbatte sulle Province.

di Redazione

Prendendo in contropiede l’intero arco costituzionale dell’Ars, in primis gli alleati della maggioranza, smentendo serenamente le sue ultimissime esternazioni e stoppando sul nascere il dibattito politico, lo tsunami Crocetta si abbatte sulle Province

di Marco Corona

Sotto gli occhi a dir poco interessati di Roma e dell’intero Paese, i protagonisti del famoso modello Sicilia mettono in scena un clamoroso coup de théâtre, di quelli che fanno avere il tutto esaurito ai botteghini: l’abolizione delle Province. Tanto più clamoroso perché inaspettato, alla luce del confronto politico e delle posizioni espresse negli ultimi giorni.

E se il Movimento Cinque Stelle non si è mai spostato di un millimetro dalla propria posizione e ha  spinto per la cancellazione immediata degli enti intermedi – ritenuti dei carrozzoni inutili e costosi -, è stato proprio il governatore Crocetta a prodursi in ben più di una piroetta, cambiando ripetutamente idea e trovando il modo di polemizzare anche con il presidente dell’Ars. Ma, soprattutto, battibeccando con i grillini e mettendo così a rischio la sopravvivenza del modello Sicilia, ultima ricetta del sempre fervido laboratorio politico dell’Isola.

Il capogruppo Cancelleri non ha nascosto il disappunto del Movimento Cinque Stelle per il comportamento altalenante di Crocetta (in campagna elettorale paladino dell’abolizione delle Province e sulla poltrona di comando di Palazzo d’Orléans impegnato a traccheggiare) e non le ha certo mandate a dire: «È facile riempirsi la bocca della parola “rivoluzione”. Se vuoi cambiare davvero le cose, devi dimostrarlo con i fatti».

È qui che il modello isolano ha rischiato di andare a carte quarantotto, mettendo a dir poco in agitazione gli italiani che, ancora sotto choc per il caos dei risultati del voto di fine febbraio, vedono nell’esportazione al di là dello Stretto dell’intesa Crocetta-Movimento Cinque Stelle l’unica soluzione per provare a uscire dalla situazione di stallo postlettorale.

Ma come il cane di Pavlov, alla parola “rivoluzione” a Crocetta viene l’acquolina in bocca, avendone fatto lo slogan della sua trionfale campagna elettorale e ritenendola ormai un suo esclusivo copyright. E, come abbiamo avuto modo di vedere in questi primi mesi di mandato, essendo uomo diretto, di rottura, preferisce “saltare” le classiche vie istituzionali ed esternare con i giornalisti. L’affaire Province non si è sottratto alla regola.

Lo spettacolo mediatico è avvenuto nientedimeno che nell’agone de “L’arena”, lo spazio di dibattito di Domenica In, condotto da quel Massimo Giletti a cui, per aver tenuto testa allo straripante Berlusconi pre elezioni, molti commentatori hanno riconosciuto le stellette di giornalista con la schiena dritta. Nello studio di Rai 1 il governatore non si è lasciato scappare la ghiotta occasione di annunciare la soppressione delle Province, prima regione in Italia, impegnandosi dinanzi alla platea televisiva nazionale a presentare immediatamente un disegno di legge per sostituirle con i liberi consorzi dei Comuni, come previsto dallo statuto della Regione Siciliana. E, così, al grido di “sono più grillino dei grillini”, Crocetta è partito lancia in resta per la sua crociata contro le Province, prendendo in contropiede l’intero arco costituzionale dell’Ars, in primis gli alleati della maggioranza, smentendo serenamente le sue ultimissime esternazioni e stoppando sul nascere il dibattito politico. Basti dire che in Commissione Affari Istituzionali sono stati depositati ben nove disegni di legge di riforma delle Province, a testimonianza del fatto che si tratta di una partita molto importante e che le posizioni dei giocatori a Palazzo dei Normanni sono decisamente distanti tra loro.

Ma tra il dire televisivo e il fare governativo c’è una bella differenza, soprattutto se la tua maggioranza è tutt’altro che bulgara e il pomo della discordia è un frutto da sempre succosissimo, con tante poltrone, tra consiglieri e giunte, e indennità da distribuire. Dopo incomprensioni, trattative, polemiche, il rivoluzionario testo governativo che disciplina i consorzi dei Comuni (per intenderci, quello concordato con il Movimento Cinque Stelle o, secondo gli oppositori, da loro imposto con il ricatto) è stato accantonato. Si partirà portando in aula la settimana prossima un ddl snello, anche per non rischiare di bloccare la finanziaria, che prevede solo l’abolizione degli attuali enti e di conseguenza la sospensione delle elezioni di fine maggio, e che stabilisce il principio dell’istituzione dei Consorzi. Lo stesso ddl darà all’Ars sei mesi di tempo per varare una riforma organica del settore secondo i desiderata di Palazzo d’Orléans e del suo comandante in capo. E, intanto, le Province in scadenza saranno commissariate.

Il percorso, dunque, è tracciato e ha certamente bisogno delle più ampie convergenze per poter affrontare già la settimana prossima l’infido mare parlamentare dell’Ars e arrivare sano e salvo in Gazzetta Ufficiale. Escludendo Musumeci – ancora con il dente avvelenato per la scoppola delle regionali, che tuona contro l’ennesimo bluff del governatore – Crocetta si dice tranquillo sui numeri. Ammansita l’Udc – giorno dopo giorno meno a suo agio nel ruolo del due di coppe con la briscola a bastoni – e incassato, quindi, l’ok dalle forze di maggioranza – irrobustite da diversi transfughi del centrodestra – il presidente punta a convincere anche il Popolo delle Libertà, dichiaratosi contrario alla riforma. E, neanche a dirlo, ostenta sicurezza sui quindici deputati grillini, sempre più fondamentali, ritenendo di averli già in tasca.

Sensazione uguale a contraria per i Cinque Stelle. È il modello isolano. Ma, come ha sussurrato ai nostri taccuini, uno degli inquilini di antico pelo del Parlamento siciliano, basta un voto segreto in aula per affossare la rivoluzione delle province e, chissà, anche il modello Sicilia.

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