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Il cinema nel Giorno della Memoria

Una ricorrenza dolorosa che la settima arte nel tempo ha imparato a sottolineare. L’anno scorso meglio di quest’anno...

di Massimo Arciresi

Una ricorrenza dolorosa che la settima arte nel tempo ha imparato a sottolineare. L’anno scorso meglio di quest’anno

 

di  Massimo Arciresi

Nella stagione cinematografica in corso per celebrare il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, sono stati distribuiti, attorno a tale data, cinque titoli, dalla visibilità relativa (qualcuno è apparso in pochissime copie per una o due proiezioni). Si tratta di Nebbia in agosto di Kai Wessel (incentrato sui terribili esperimenti di un medico nazista), Il viaggio di Fanny di Lola Doillon (protagonista una bambina ebrea che cerca di raggiungere la neutrale Svizzera insieme ad altri giovanissimi), entrambi tratti da vicende purtroppo accadute, e dei documentari Maestro di Alexander Valenti (sul reperimento delle composizioni musicali scritte da vittime della Shoah durante la prigionia), Austerlitz di Sergej Loznitsa (che si sofferma sugli aspetti inquietanti del turismo nei luoghi di sterminio) e A German Life di Christian Krönes, Olaf S. Müller, Roland Schrotthofer, Florian Weigensamer (un’intervista alla segretaria di Goebbels, tuttora vivente). Nei mesi addietro, al di là de La primavera di Christine di Mirjam Unger e Lettere da Berlino di Vincent Pérez, ambientati negli anni ’40 e tratti da storie successe ma meno attinenti al tema, si è visto La verità negata di Mick Jackson, nel quale si ricostruisce lo scontro legale che oppose la scrittrice Lipstadt al vanesio negazionista Rampton alla fine del secolo scorso.

Un quadro opportunamente vario per tragedie da non dimenticare. Nella stagione scorsa, tuttavia, i film proposti per la ricorrenza – quattro uscite regolari e un evento in mezzo, tra finzione e realtà, spaziando fra le epoche – hanno avuto, per cause diverse, una risonanza più ampia (anticipata, a fine estate, dal duro e romanzesco Il grande quaderno di Jánosz Szász, con due complementari gemellini in fuga). Il primo ad arrivare è stato Il labirinto del silenzio, pellicola tedesca dall’andamento deciso, firmata dall’italiano Giulio Ricciarelli. Vi si narra della battaglia (vera) intrapresa da un funzionario (immaginario) a fine anni ’50 per stanare gli ex-SS reinseritisi tranquillamente in società. Operazione – rievocata con maggior cura filologica ne Lo Stato contro Fritz Bauer (procuratore esistito e rappresentato anche da Ricciarelli), regia di Lars Kraume, in sala settimane più tardi – che portò il popolo della Germania a prendere coscienza degli orrori perpetrati dall’esercito nel decennio precedente. Lo sconvolgente Il figlio di Saul, valso al regista ungherese László Nemes l’Oscar per il Miglior Film Straniero, fa meno sconti: un Sonderkommando ad Auschwitz, convinto di essersi imbattuto nel cadavere del suo rampollo, cerca di seppellirlo degnamente secondo il proprio credo, dandoci un’idea vivida dell’insostenibile quotidianità del campo di concentramento. the_eichmann_show
Sono seguiti due lungometraggi ispirati a fatti avvenuti: The Eichmann Show di Paul Andrew Williams, che racconta le traversie dietro le quinte dell’importante diretta tv mondiale (da Gerusalemme nel 1961) del processo al tristemente noto, spietato ufficiale hitleriano; e Una volta nella vita di Marie-Castille Mention-Schaar, ambientato nella periferia parigina contemporanea, che illustra una ricerca sulle deportazioni effettuata da una classe multietnica difficile, illuminante e gratificante per gli studenti che parteciparono e atta a dimostrare indirettamente che i problemi di ieri sono sempre pronti a riesplodere oggi. Infine c’è Remember di Atom Egoyan, qui l’autore più famoso, che inquadra la pianificata vendetta di un anziano smemorato in caccia dell’aguzzino che gli decimò la famiglia (trama inventata, allegoria potente). Dopo, volendo, è circolato pure il grottesco – con inserti doc – Lui è tornato di David Wnendt, che mette in scena una paradossale ricomparsa del Führer (allignante ancora nell’aria…).

Un argomento delicato, che è fondamentale sottoporre alle nuove generazioni e che come evidenziato, può assumere disparate forme. Per raggiungere più platee.

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