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Il caso Linares

di Redazione

A qualche mese dall’avvicendamento ai vertici della divisione anticrimine della Questura di Trapani , Giuseppe Linares, qualche considerazione sul suo trasferimento, diventato un ‘fatto’ nazionale

di Daniela Mainenti

Il “caso Linares” nasce dal trasferimento a Napoli come capo del centro regionale della Dia, del primo dirigente di Polizia, capo della divisione anticrimine della Questura di Trapani, Giuseppe Linares: uno degli investigatori di punta in Sicilia nella lotta alla mafia.

La decisione, siglata dal ministro degli Interni Angelino Alfano che ha firmato il provvedimento, sembrerebbe confermare quale sia il comune sentire del Governo: l’emergenza, per Palazzo Chigi e Viminale, di fronteggiare la Camorra; come se la mafia in Sicilia fosse da meno.

Molte voci di protesta, dal fronte ‘veramente’ impegnato nella lotta a Cosa Nostra, si sono levate alla notizia del trasferimento. Si è vista, in questa decisione, quasi, la conferma di un disimpegno in Sicilia e l’efficacia della strategia di sommersione attuata da Cosa nostra. Ma le cose non sembrano stare esattamente in questa maniera. Giuseppe Linares ha segnato nella sua attività a Trapani importanti punti a favore dello Stato. Nonostante la ventennale latitanza del boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, le ultime indagini condotte da Linares hanno fatto scovare congrue ‘casseforti’. Notevole, infatti, è stata l’azione che ha portato, in pochi anni, al sequestro e alle confische di beni, società e imprese della mafia. Sono stati scoperti interessi proficui, dall’edilizia al commercio, ambiti dove politica, mafia e imprenditori hanno convissuto e fatto affari. Da capo della Squadra Mobile, con le operazioni Golem, Linares ha evidenziato le potenzialità dell’organizzazione mafiosa direttamente controllata da Matteo Messina Denaro, con complici agguerriti e per nulla intenzionati ad arrendersi, anzi prontissimi a riconoscere in lui il ‘capo assoluto’.

Certamente la scelta del Viminale non può essere ingenuamente rubricata come una valutazione di una mafia depotenziata. I successori di Linares alla Squadra Mobile di Trapani, a cominciare dal nuovo dirigente Giovanni Leuci, suo braccio destro, con i primi passi già mossi, hanno evidenziato un dato preoccupante: e cioè che gli organici mafiosi stanno tornando ad essere completi. In campo stanno tornando gli ex galeotti. I “colletti bianchi”, poi, sembrano aumentare di numero. La mafia si organizza ed è necessario che investigatori importanti come Linares, pur se trasferiti, lontani da Trapani e dalla Sicilia, mantengano un legame e uno scambio di informazioni; preziosi per chi rimane sul campo. Un fronte investigativo, quello della continuità e della collaborazione, che andrebbe, quindi, potenziato.

Far restare Linares a capo della divisione anticrimine della Questura di Trapani avrebbe rappresentato un grosso vantaggio per la stessa Questura e non solo sul fronte della lotta alla mafia. Oggi la Questura di Trapani si trova scoperta nel fronteggiare adeguatamente i problemi di ordine pubblico, non avendo più a disposizione un primo dirigente. Forse, Linares, consapevole che, rimanendo a Trapani tra i prossimi impegni ci sarebbe stato quello di occuparsi della sicurezza in occasione delle partite di calcio, ha ritenuto più opportuno dare il proprio contributo in altre aree del paese dove la criminalità organizzata è aggressiva e pericolosa non meno che in Sicilia.

Vince dunque Cosa nostra? Quella Cosa nostra che è stata intercettata a chiedere i trasferimenti dei suoi avversari, dal prefetto Sodano, allo stesso capo della Mobile, Linares? Non possiamo certo dirlo con certezza. Quel che è certo è che in poco tempo dal suo insediamento a Napoli, il nuovo capo del centro regionale della Dia ha inferto un importante colpo alla camorra, con arresti clamorosi, come gli assassini di Luigi Caiazzo, il cui cadavere non fu mai trovato, ucciso nel ’92.

Arresti clamorosi, dopo vent’anni dai reati.

«Nessun delitto può rimanere impunito ed è importante che chi pensava di averla fatta franca venga assicurato alla giustizia – dice Linares. C’è da parte di Procura e forze dell’ordine, e nel caso di oggi, della Dia, una costante opera di ricostruzione storica di efferati fatti di sangue i cui responsabili erano ancora impuniti e che potevano contare sul sostegno di insospettabili ed incensurati.

L’azione della Dia – evidenzia Linares – opera su due fronti con un’azione che si muove su un doppio binario: l’attacco ai patrimoni, alla camorra ‘bianca’, borghese e quello ai sistemi militari”.

E’ chiaro, quindi, che, anche se a dispetto delle voci maligne, improntate a livore, che lo hanno definito ‘prodotto da laboratorio’, persona attaccata alla poltrona e che pensa alla carriera, non sembra il caso che qualcuno tiri un sospiro di sollievo al suo trasferimento. Il suo sembra un disegno preciso: continuare a sviluppare il progetto, avviato da dirigenti come Germanà e Malafarina, che ha consentito di ottenere risultati straordinari. La cattura di boss come Virga, Mangiaracina, Sinacori, Bonafede, Milazzo, le varie fasi delle operazioni ‘Peronospera’ e ‘Rino’, solo per citarne alcune, non sono altro che il frutto della grande e preziosa eredità lasciata da magistrati come Falcone e Borsellino: il concetto del pool.

Magistrati, investigatori, forze dell’ordine, tutti assieme, a formare un’unica squadra, i cui componenti si scambiano in continuazione informazioni, per perseguire obiettivi comuni.

Ma attenzione, non è tutto oro quello che luccica. La Provincia di Trapani, certamente, meriterebbe molto di più. Qui lo Stato, a condizione che lo voglia veramente, può tranquillamente, nonostante tutto, avere partita vinta sulla mafia. La cattura di Messina Denaro rappresenterebbe un punto di svolta straordinario nella lotta contro Cosa nostra che, attraverso la strategia dell’invisibilità, si sta riorganizzando, ritornando nelle campagne, lontano da occhi indiscreti. Le contromosse per una efficace azione di controllo e prevenzione è, però, ostacolata anche da tempi burocratici decisamente lunghi. A ciò si aggiunge l’assenza totale di una mobilitazione civile. Sembra, infatti, che i trapanesi non riescano ad affrancarsi da metodi e sistemi risalenti all’età del Feudalesimo. L’obbedienza e la riconoscenza al potente sembrano caratterizzare un territorio abituato ad obbedire, a cui si associa il ruolo di una borghesia locale che, da sempre, opera dando un colpo al cerchio e uno alla botte, cercando l’avvicinamento degli alti funzionari dello Stato che via via si avvicendano nei posti chiave dell’amministrazione pubblica e di controllo e, al contempo, non disdegnando di condividere momenti conviviali con chi porta cognomi imbarazzanti e realizzando, in tal modo, quell’humus fertile di consenso e di appoggio dove allignano utili e proficue relazioni e scambi inconfessabili.

Un bel da fare quindi per il vice Questore, Giovanni Leuci, alle prese con un territorio assai complesso, da sempre crocevia dei grandi traffici internazionali di droga e teatro, proprio di recente, di un’esecuzione mafiosa in piena regola, con tanto di relativo simbolismo, nelle campagne del marsalese. Un omicidio di quelli ad effetto chirurgico per la precisione con la quale è stato eseguito.

 

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