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Gli arazzi forgiati: la Victory di Loredana Longo

di Redazione

“Victory”, la mostra di Loredana Longo, allestita presso la galleria FPAC di Palermo, si sviluppa attorno a tre opere, tre “arazzi” particolari realizzati con combustioni controllate su velluto di seta.

 

di Giovanna Calabretta*

Supponiamo che una serie di opere, abbiano la necessità di trascinarsi dietro un proprio bagaglio e, per veicolare un senso, debbano farsi carico di un corredo ambientale. Supponiamo che il progetto preveda che l’osservatore, mentre si trova impegnato a percepire l’opera mediante la visione frontale, adoperi la propria visione periferica per percepire un intorno (quasi fosse una scenografia tridimensionale) allo scopo di contestualizzare le immagini che sta vedendo. Supponiamo poi che il “percorso”, inteso come il movimento o il cammino dell’osservatore, racchiuda in sé una cronistoria propria, originata dalla sequenza con cui si propone. Questo è ciò che accade in “Victory”, di Loredana Longo presso la galleria FPAC di Palermo.
Il percorso si sviluppa attorno a tre opere, tre “arazzi” particolari realizzati con combustioni controllate su velluto di seta.

Il primo arazzo ci mostra Aleppo rasa al suolo: città siriana distrutta. Presa visione, si va oltre.
Nel secondo arazzo, uomini scavalcano la barriera di Ceuta-Melilla, innalzata per impedire ai profughi di raggiungere lo stretto di Gibilterra ed entrare illegalmente in Europa dalla Spagna. Visto, si va oltre.
La scritta di pietra “Vic ory”, con la lettera T abbattuta – che rievoca gli slogan del ’45 del War Production Board: “Vic ory. You can’t spell Victory with an absentee” oppure “An absent “T” won’t help spell VIC ORY” –  fa da preludio al terzo e ultimo arazzo: il tempio di Bel di Palmira non ancora raso al suolo, in un’immagine antecedente il 2015. Victory

Lungo tutto il percorso, l’osservatore è stato affiancato da una parete rivestita con cemento grigio; ma proprio di fronte a questo tempio siriano, proprio a questo punto, si apre una breccia che ci mostra come, lo stesso muro sia una quinta, un recinto labile, rivestito all’interno con la dorata parola “Sorry”. Questa parola diventa simbolo di una società, la nostra, che “si dispiace” ma che rimane al sicuro dentro il proprio recinto dorato. Entrando in questo spazio, che occupa l’area centrale della galleria, troviamo solo il vuoto e proprio voltandoci per imboccare nuovamente il varco – la soglia che connette il dentro con il fuori – ci accorgiamo che questo squarcio è stato aperto proprio sul tempio, distrutto dal terrorismo d’oltre barriera e che riesce finalmente ad indignare i “dispiaciuti”.
I tre arazzi, in cui l’immagine e la parola Victory sono impressi a fuoco, esprimono in piena autonomia il valore estetico dell’opera di cui è capace l’artista. Le tre foto forgiate con il fuoco sul prezioso velluto, sono foto di “rete”, divenute icone diffuse dai motori di ricerca. Come riporta la curatrice Valentina Bruschi, citando Susan Sontag, “questo è l’aspetto che la guerra assume quando la si vede da lontano sotto forma di immagine. (…)Nell’era della fotografia dalla realtà si pretende sempre di più”. É questo che Longo ci propone, quel “di più” che ci costringe a riflettere sul significato della vittoria mentre camminiamo sulle coperte militari e ci chiediamo se siano state abbandonate da uomini che hanno perso la vita in battaglia o se siano riusciti a oltrepassare il confine sociale del dentro/fuori. Si immagina che queste stesse coperte serviranno forse all’addiaccio di altri uomini che occuperanno il campo/limbo al loro posto.

Come scrive Zineb El Rhazoui: “Dopo l’ondata di attentati terroristici che hanno insanguinato l’Europa, gli eterni vincitori delle catene di informazione hanno deciso di colpire a migliaia di chilometri, a Raqqa, un nemico che è scaturito dai nostri ranghi. I terroristi sono nati qui, sono il prodotto delle nostre società, che chiudono le frontiere agli Uomini quando le idee attraversano tutte le barriere alla velocità di un clic”.
Percorrendo Victory a ritroso per lasciare la mostra e invertendo quindi la sequenza degli arazzi (tempio, barriera, ruderi) si torna a pensare che questa guerra è molto, molto lontana da noi e che il nostro sistema di ricchezze è momentaneamente salvo. “La guerra dei valori” – materiali e immateriali “attraverso le armi” costituisce la sola vera Victory e a noi non resta che dire Sorry e richiudere la porta alle nostre spalle.

 

VICTORY di Loredana Longo a cura di Valentina Bruschi testi di Valentina Bruschi e Zineb El Rhazoui dal 22 aprile al 22 giugno 2016

FPAC– Galleria Francesco Pantaleone arte Contemporanea via Vittorio Emanuele, 303- 90133 Palermo

Foto Giovanna Calabretta

 

*Associazione Culturale RicercArte

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