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Giacomo Ghiazza, l’artigiano astigiano

Una mostra dedicata a uno dei massimi esponenti nel campo dello storyboard, Giacomo Ghiazza. Il modo per scoprire un’arte resistente e importante per l’industria del cinema...

di Massimo Arciresi

Una mostra dedicata a uno dei massimi esponenti nel campo dello storyboard, Giacomo Ghiazza. Il modo per scoprire un’arte resistente e importante per l’industria del cinema

 

di  Massimo Arciresi 

È una specializzazione che implica grande manualità (e prontezza), in uso nei blockbusters cinematografici (ma non solo) e in grado di resistere all’avvento del digitale. Parliamo dello storyboarding, passaggio intermedio tra la stesura della sceneggiatura e le riprese, che permette, attraverso la realizzazione di disegni, di visualizzare inquadrature, movimenti di macchina e posizione di attori o cascatori. Pratica utilissima per organizzare scene d’azione pericolose o costose, è un’“assicurazione” che evita incidenti e sperperi. Un settore misconosciuto – nel quale si opera da soli o in team – attivato soprattutto in pre-produzione, soggetto a pesanti revisioni e cancellazioni sul set, tanto da richiedere nuovi (e rapidi) interventi degli storyboard artists.

Giacomo Ghiazza, disegnatore dal talento precoce entrato in questo affascinante e impegnativo ramo nel 1988 (con Ammazzavampiri 2), è oggi uno degli specialisti più richiesti oltreoceano. La sua Asti in questi giorni (dall’8 aprile al 17 settembre) gli dedica, nelle prestigiose sale di Palazzo Mazzetti (per l’occasione rivestite di una moquette in stile Hollywood Boulevard), una preziosa personale. Tramite foto, filmati (con brani di film e salienti interventi dello scenografo William Sandell e dello stunt coordinator Gregg Smrz) e pannelli a forma di pellicola con note sequenze disegnate di spettacolari lungometraggi (Twister, Fuga da Los Angeles, Innocenti bugie…), la mostra, curata da Umberto Ferrari con l’apporto dello stesso Ghiazza ed eloquentemente intitolata Una matita italiana a Hollywood, ripercorre la fitta e appassionante carriera di un minuzioso artista, che ha lavorato più di una volta per Vehoeven (Atto di forza, Starship Troopers – Fanteria dello spazio, L’uomo senza ombra) e Woo (Face/Off, Windtalkers, Paycheck) e, ripetutamente, in saghe di successo come Pirati dei Caraibi, Mission: Impossible, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo e Hunger Games. C’è perfino qualche bozza inutilizzata per progetti mai sviluppati o completamente rielaborati, a riprova dell’estrema “fluidità” delle produzioni statunitensi.
Durante l’inaugurazione della sfaccettata esposizione (arricchita, fra l’altro, da testi di approfondimento sui cineasti chiamati in causa e da “cassetti a sorpresa”) che, in giorni stabiliti, propone visite guidate e un laboratorio per giovanissimi a cura della Scuola di Fumetto e Animazione del Comune di Asti, abbiamo rivolto qualche domanda al disponibile “festeggiato”.

giacomo_ghiazza
Giacomo_Ghiazza

Alcuni storyboards sono fatti con pochi, semplici tratti di matita. Invece, nella sua opera si nota il gusto per il dettaglio. Qui ci sono “vignette” che non sfigurerebbero all’interno di una graphic novel.
«Mi è sempre piaciuto disegnare. Amo i dettagli, non posso farne a meno. A volte mi dilungo anche troppo, ma cerco di tener presente che non sto lavorando a un fumetto che andrà in edicola. I disegni devono comunicare chiaramente l’azione da girare. Puoi abbellirli con i chiaroscuri, ma è raro che ce ne sia il tempo. Così come non c’è bisogno di riprodurre le facce dei divi.»

Sul piano artistico, qual è la parte autonoma del suo lavoro? Deve rendere conto agli autori…
«Per fortuna i registi di solito ci lasciano liberi di aggiungere o modificare qualcosa. Talvolta danno indicazioni generiche su una scena, ma non scendono nel particolare. Per loro è più importante indicare i movimenti della cinepresa.»

Ha collaborato con tanti nomi famosi, da Carpenter a de Bont. Chi le piace ricordare?
«Ang Lee per Vita di Pi era molto esigente. Voleva un’inquadratura posteriore di tre quarti della tigre (riprodotta al computer, n.d.r.) che rendesse l’idea del suo respiro lento mediante il rigonfiamento della gabbia toracica. In uno schizzo bidimensionale non è facile!»

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