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Francesca Vaccaro: il mio teatro è il prezzo della libertà

La giovane regista Francesca Vaccaro ci spiega la sua idea innovativa di teatro basata sull’autonomia degli attori, che sulla scena diventano anche autori creativi...

di Pippo La Barba

La giovane regista Francesca Vaccaro spiega in questa intervista la sua idea innovativa di teatro basata sull’autonomia degli attori, che sulla scena diventano anche autori creativi. La sua performance “Il circo del bisogno”,  fotografia di Alessandro D’Amico, è  stata rappresentata il 27 maggio scorso all’Auditorium RAI di Palermo e verrà replicata a  giugno ai Cantieri Culturali della Zisa e sabato 8 Luglio al Montevergini Atelier.  La foto di scena riportata è di Chiara Maniaci

 

 di  Pippo La Barba

Mi sembra che la tua idea di teatro sia quella di lasciare all’attore libertà individuale di espressione  per fargli acquisire una formazione autonoma che gli consenta di amalgamarsi con gli altri. E’ così?
Io considero gli “attori” non come professionisti, tanto che li prendo dalla strada, anzi dalla vita.

Quindi l’attore diviene in un certo senso anche autore.
L’attore per me è naturalmente creativo. Siccome nella società di oggi nessuno ti insegna la creatività, la mia maieutica consiste nel far partorire sulla scena in maniera autentica la creatività, che altro non è che l’emozione.Laboratorio teatrale di Francesca Vaccaro

Nelle tue performance c’è una sovrapposizione tra parole e musica, che sembrano inseguirsi a vicenda nelle tonalità crescenti.
Io vengo da una formazione musicale e credo che la forza della musica superi quella delle parole. La parola va educata, e oltre un certo limite non può andare. La musica invece è come un odore, lascia liberi di interpretarla. Non c’è conflitto tra i due elementi ma integrazione.

I movimenti di luce che gli stessi attori eseguono in scena cosa rappresentano?
Per me sono fondamentali nel teatro i giochi di luce e di ombre. L’ombra rappresenta la coscienza dimenticata, la luce è invece la vanità dell’apparenza.

Come definiresti il tuo teatro: avanguardia, ricerca, innovazione?
No, semplicemente un bisogno, il bisogno di non essere etichettata. Quindi bisogno di libertà, che è l’esatto contrario della recitazione.

Quindi il tuo teatro non è strutturato, non è un contenitore?
No, viene usato come fisicità, non c’è una ricerca di senso. Il testo si definisce sulla scena.

Ma avrai dei modelli di riferimento.
Il mio manifesto di riferimento è ciò che ha scritto Tonino Guerra per il film “Nostalghia”di Andrej Tarkovskji e che io ho messo in scena con il titolo “Monologo di Domenico”.

Qual è il tuo rapporto con la religione?
Bella domanda. Nell’adolescenza mi è stata imposta la Fede e una educazione cattolica che ha ucciso la mia creatività. Quindi ho dovuto svuotarmi e ricominciare daccapo per rendermi autonoma. Ma io ho bisogno di fare pace con Dio perché so che mi ama.

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