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Davide Sciortino in arte Davide Shorty

Nostra intervista a Davide Sciortino, palermitano a Londra da sette anni...

di Redazione

Incontriamo Davide Sciortino dopo il soundcheck verso le 20,30 prima della sua esibizione nel pub Hootananny a Brixton

 

La Londra  Daniela Giangravè

Da quanto tempo vivi a Londra e qual è stata la molla che ti ha portato fin qui?
Vivo a Londra da sette anni. Se rivedo me stesso sette anni fa mi ricordo che ero insoddisfatto della mia vita a Palermo e mi sentivo vuoto a livello artistico. Avevo appena concluso un’esperienza con i Combomastas’, un gruppo rap palermitano con cui avevo prodotto il mio primo album da solista e con cui avevo collaborato alla produzione dell’album del gruppo stesso. Le nostre strade si sono divise in seguito per vari motivi e io mi sono ritrovato per un periodo a comporre del materiale da solista. In seguito ho avuto il desiderio di mettermi alla prova e di scrivere in inglese quindi mi sono detto: “voglio andare fuori, trovare un lavoro, e se mi rendo conto, nel caso, che posso farcela, mi metto pure a studiare…” così sono partito un po’ all’avanscoperta. I primi momenti sono stati allucinanti infatti sono ritornato in Italia dopo tre mesi. Successivamente mi sono organizzato, ho rimesso piede a Londra iscrivendomi all’Università, trovando lavoro in un pub e da quel momento ho cercato di zittire tutte quelle voci dentro di me che mi dicevano: “no, è troppo dura! È troppo dura!”.

Davide Sciortino
Davide_Sciortino

La tua partecipazione a X-Factor 9 edizione 2015: com’è stata? qual è la cosa che ti è rimasta più impressa di questa esperienza?
La cosa che mi è rimasta più impressa è stata la sorpresa nell’essere stato lasciato davvero libero di fare veramente quello che volessi fare e penso di avere dato un’idea e un’impronta artistica di quello che era il mio percorso perché credo al 100% in quello che sono come essere umano e come artista e questo non me lo aspettavo, l’ho fatto per gioco, e se non mi avessero lasciato questa libertà di agire, probabilmente me ne sarei tirato fuori perché non sarei mai disposto a vendere la mia integrità artistica per della visibilità.

La domanda qui allora sorge spontanea: dei talent musicali cosa ne pensi?
Penso che la competizione e la musica non abbiano nulla a che fare l’un l’altro perché questi format spingono l’ego delle persone in maniera negativa e purtroppo molto spesso non tengono conto del background e della gavetta di ognuno ma piuttosto “utilizzano” il talento fine a se stesso e a volte, sì, lo curano, in altri casi invece, lo rendono semplicemente ridicolo ed è veramente un brutto rischio; è un meccanismo dell’industria parecchio contorto e anche abbastanza distruttivo. Sono stato molto fortunato da questo punto di vista perché avevo un giudice che è stata una persona incredibile e soprattutto l’anno in cui ho partecipato a X-Factor c’erano delle persone che avevano veramente tanta voglia di fare musica, piuttosto che fare televisione. Ricollegandomi a uno dei motivi per cui sono venuto qui a Londra, è stato proprio quello della gavetta, del poter formarmi e crescere in maniera artistica. Purtroppo in Italia, come ben sappiamo, la musica non è stata mai considerata un lavoro, e tutt’oggi non è valorizzata come tale e questo è un grave problema per tutti noi artisti della penisola dover cozzare ogni giorno con questa triste realtà: non essere presi seriamente e non essere retribuiti adeguatamente e ritrovarci ovviamente a combattere contro questa mentalità dal momento che la creatività è vista solo come un hobby piuttosto che come un’esaltazione dell’essere umano. Questo è il motivo per cui sono venuto qui a Londra. X-Factor è stata una rivalsa e un modo di denunciare determinate cose e sono stato fortunato ad avere avuto la libertà di poterle dire senza essere censurato. Questa è una cosa rara.
Quando ho fatto l’audizione e mi hanno chiesto perché me ne fossi andato, questa è stata la mia risposta e voglio che la gente sappia che la musica in Italia non è valorizzata come dovrebbe. In tutti gli altri paesi d’Europa e del mondo, nella stragrande maggioranza dei paesi occidentalizzati e anche nei paesi orientali, come in Giappone e in Cina, la musica ha un valore ed è considerata un lavoro. Dovrebbe essere considerata alla stregua della letteratura perché espressione della creatività individuale e non capisco questa discriminazione.

In un’altra intervista hai detto che sogni di tornare in Italia per cantare in italiano… è ancora così?
Sogno di tornare in Italia solo per cantare ma non sogno di viverci nuovamente nella maniera più assoluta. Sono veramente deluso dal mio paese, e mi sento molto più un cittadino del mondo che un cittadino italiano. Naturalmente sono fiero di essere siciliano e fiero delle mie radici, ma voglio combattere per l’Italia, fuori dall’Italia, per poter rendere fiera la mia patria per quello che sto facendo. Tuttavia provengo da un paese in cui, con la mia mentalità e col mio lavoro, non posso vivere felice. Sono molto legato alla mia lingua madre e per questo sto realizzando un disco italiano e tornerò a fare un tour e sto cercando di suonare quanto più possibile in Italia e di portare lì la mia musica… la mia “casa-base” però resta Londra, o il mondo, e tornando alla scena indipendente sono fiducioso, c’è una bellissima scena rap… Un’altra realtà di cui voglio parlare con tanto affetto è quella di Johnny Marsiglia e Big Joe, Stokka & Madbuddy lo stesso Otello che ha prodotto il mio primo disco, Raight Combo Mastas; poi c’è anche il Brass Group che promuove la musica jazz. Palermo è sicuramente tanto ricca però da parte dei poteri forti non c’è abbastanza valorizzazione.

Parlami del tuo gruppo qui a Londra, sei un componente a tutti gli effetti dei Retrospective for Love, quando è nato, perché questo nome e cosa c’è dietro…

I Retrospective for Love è una famiglia innanzi tutto, nata perché io avevo voglia di formare un gruppo e noi componenti siamo molto legati. Avevo dei pezzi che volevo fare ascoltare, ho mandato una mail a questi miei amici ed ex compagni di Università e mi sono ritrovato a ricevere tanti “sì, facciamolo!”. Da lì, abbiamo cominciato a provare, nel corso del tempo dopo il primo lavoro ci sono tanti cambiamenti, però sono contento di vedere che la solidità e la voglia di fare è rimasta invariata e adesso non vediamo l’ora di fare uscire il nostro primo album a marzo, pronto e già masterizzato: l’album si chiama Random acvities of a heart. L’11 novembre è appena uscito il nostro primo singolo Let me know con l’etichetta Wormfood Records che è una label indipendente londinese. Speriamo veramente di diffondere e di portare il nostro messaggio d’amore in un momento come questo in cui il mondo è talmente diviso e talmente xenofobo da essere così poco proteso al “miscuglio”. Sono veramente fiero dell’educazione che mi è stata impartita e sono altrettanto fiero di avere delle persone al mio fianco con cui poter condividere tutto questo: la musica! La musica prima di qualsiasi altra cosa è condivisione allo stato puro. Non c’è competizione, c’è autocritica, evoluzione, crescita, ma non deve esserci competizione distruttiva perché deve essere mirata all’evoluzione dell’essere umano, all’apertura mentale ed è questo il messaggio che sta dietro a Retrospective for Love che non è altro che una retrospettiva, una storia di background detta e raccontata per amore, è una retrospettiva della vita raccontata per amore!

Canzone o canzoni a cui sei particolarmente affezionato?
Ce ne sono due entrambe dei Retrospective for Love: Read in to you e Aliens in the cave che sarà nell’album nuovo. Invece, la colonna sonora della mia vita è Blue in green di Miles Davis.

 

 

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