Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Cosa metti a tavola?

di Redazione

Carenze organiche e strutturali. Ritardi legislativi. Nell’ambito dei controlli alimentari, esiste una vera e propria disincrasia tra ciò che prevede la legge e ciò che, in base alla stessa, dovrebbe essere realizzato. Il rischio di contaminazioni è sempre in agguato. E i pericoli per il consumatore, inevitabilmente, crescono

di Patrizia Romano

Quante insidie si nascondono dietro al bancone di vendita dei prodotti alimentari? Quanti veleni arrivano sulle nostre tavole? Quanti rischi corre giornalmente il consumatore ingenuo e sprovveduto?

Tutti interrogativi inquietanti ai quali è difficile dare una risposta. Tutto finché non scoppiano casi eclatanti come il vino al metanolo, il formaggio al botulino, il latte alla diossina, il pesce al mercurio, la mucca pazza. Casi alla ribalta della cronaca che, per qualche mese, turbano il consumatore e, forse, scuotono la tranquilla coscienza dei produttori e di chi dovrebbe controllare la qualità dei cibi. E dopo? Spenti i riflettori dei mass-media, si ritorna a imbandire la tavola con ogni sorta di cibo e correndo ogni sorta di rischio. E se i rischi sono all’incirca uguali per tutti i consumatori italiani, c’è tra questi chi rischia di più, come chi vive nelle regioni italiane in cui il consumatore è un soggetto giuridicamente sconosciuto.

Tra le regioni messe peggio, un posto di rilievo spetta alla Sicilia, dove non esiste alcuna connessione tra ciò che impone la normativa e ciò che viene realizzato. La Regione Sicilia ha recepito le direttive emanate dall’Unione Europea soltanto dopo quattro anni dall’emanazione e, tra l’altro, non hanno ancora trovato piena attuazione. I decreti cardine del quadro normativo che disciplina il controllo degli alimenti sono quelli del 97. I due decreti che vanno sotto la sigla Haccp (Hazard analisis critical control point), dettano le norme relative alla sicurezza degli alimenti. Sicurezza che deve essere garantita attraverso un’analisi mirata a prevenire ogni rischio durante le fasi di produzione, stoccaggio e lavorazione, denominate ‘fasi critiche’  e che inglobano preparazione, trasformazione, confezionamento, deposito, trasporto, manipolazione, fornitura, trasferimento, eccetera di ogni alimento. Tutte le fasi, insomma, in cui il prodotto rischia contaminazioni microbiologiche. Contaminazioni la cui responsabilità viene attribuita a molti soggetti: dal produttore al venditore.

Produttore e rivenditore hanno, dunque, molte responsabilità. Ma a chi spetta il controllo vero e proprio? Le strutture preposte sono tante. Per la Sicilia questo rappresenta un problema, in quanto le strutture previste per la normativa sono decisamente carenti. Sembra che tra personale e strutture, nell’Isola si riesca a coprire appena il 25 per cento del fabbisogno. Anche se, comunque, va detto che stabilire il rapporto tra strutture ed esigenze del territorio non è facile. “Per una legislazione quale quella alimentare, in continua evoluzione rispetto al mercato globale e alle aree di libero scambio – spiega Francesco Strafalaci, presidente dell’Unione consumatori – è difficile individuare l’esatto numero di persone da adibire ai controlli alimentari. Pertanto, si propone quale prima fase di razionalizzazione quella di un migliore coordinamento degli interventi in atto svolti dalle Ausl, dai Nas (Nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri), dai vigili annonari, dai medici veterinari, dai laboratori di Igiene e Profilassi, eccetera. Ciò al fine di verificare, tramite il monitoraggio, l’eventuale miglioramento della situazione”.

Alcune di queste strutture dovrebbero esercitare un controllo prettamente sanitario. Altre, invece, hanno un ruolo più analitico. Altre ancora, infine, dovrebbero svolgere un ruolo repressivo.

 

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