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Corruzione in Italia tra narrazione soggettiva e oggettiva

Secondo l’ultimo rapporto Corruption perception Index di Transparency International, pubblicato recentemente, il nostro Paese si classificherebbe al 52 esimo posto su 180 per corruzione percepita. Alla luce di questo dato che permane negativo su un tema che dovrebbe essere centrale nell’agenda politica, e non lo è, si proverà a riavvolgere il nastro con un piccolo flash back. Corruzione in Italia in un'analisi dettagliatadella professoressa Mainenti, ordinario di Diritto Processuale Penale Comparato

di Daniela Mainenti

Corruzione in Italia. Secondo l’ultimo rapporto Corruption perception Index di Transparency International, il nostro Paese si classificherebbe al 52 esimo posto su 180 per corruzione percepita. Ciò, scatenando polemiche in merito all’attendibilità dei risultati. Risultati, che sarebbero privi di fondamento scientifico in quanto rilevazioni di carattere soggettivo e non oggettivo. Tanto che tale narrazione, scorretta quanto pericolosa, sarebbe la causa del progressivo abbassamento dell’appeal del nostro Paese.
Alla luce di questo dato che permane negativo su un tema che dovrebbe essere centrale nell’agenda politica, e non lo è, si proverà a riavvolgere il nastro con un piccolo flash back.


Legge Spazza-corrotti

Sappiamo bene che l’obiettivo dichiarato della legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” (c.d. legge Spazza-corrotti ) era di «potenziare l’attività di prevenzione, accertamento e repressione dei reati contro la pubblica amministrazione». Tutto ciò con l’estensione ad alcuni delitti contro la pubblica amministrazione della disciplina delle operazioni sotto copertura prevista dall’art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146.


Operazioni sotto copertura

Le operazioni sotto copertura rappresentano, rispetto a reati consimili, una tecnica di investigazione di indubbia efficacia, sperimentata con successo in diversi paesi europei e considerata entro certi limiti legittima dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sappiamo altrettanto bene, infatti, che la Corte EDU – nella sua copiosa giurisprudenza in materia di provocazione – ha dato un forte impulso allo sviluppo della distinzione tra agente sotto copertura e agente provocatore. Nel caso in cui accerti che l’operazione sotto copertura sia sfociata in attività provocatoria (nel c.d. entrapment ), la Corte dichiara violato l’art. 6 CEDU sul diritto a un equo processo e inutilizzabili le prove ottenute attraverso provocazione.


But-for test of causation

Per verificare se la condotta dell’agente abbia avuto rilevanza causale rispetto alla realizzazione del fatto- reato, la Corte EDU effettua quello che nel linguaggio anglosassone viene definito un but-for test of causation. Volto, questo, a rilevare se gli agenti abbiano semplicemente dato l’opportunità al ricorrente di commettere un reato che avrebbe comunque commesso oppure se abbiano esercitato un’influenza determinante, instillando nella mente del ricorrente un proposito criminoso prima inesistente.


Casi giunti all’esame della Corte EDU

La maggior parte dei casi giunti all’esame della Corte EDU riguarda il traffico di stupefacenti, ma la Corte ha rilevato una violazione dell’art. 6 sul giusto processo anche in materia di traffico di banconote contraffatte e in materia di reati contro la pubblica amministrazione. A proposito di questi ultimi, nel leading case Ramanauskas c. Lituania la Corte EDU ha ravvisato una violazione dell’art. 6 Cedu in rapporto a una sentenza di condanna pronunciata dai tribunali lituani poiché fondata esclusivamente su prove ottenute attraverso provocazione. In quel caso l’agente AZ aveva approcciato il magistrato Ramanauskas, ritenendo che fosse già stato corrotto in passato. E gli offrì una tangente di 3000 dollari in cambio dell’assoluzione di un terzo. Ramanauskas inizialmente rifiutò, poi acconsentì. Il procuratore aprì dunque l’indagine che sfociò nell’arresto e nella condanna per corruzione. La Corte ritenne che la condanna di Ramanauskas violasse l’art. 6, per le seguenti motivazioni:

Motivazioni condanna di Ramanauskas


1. La richiesta di autorizzazione giudiziaria era stata effettuata solo successivamente al primo incontro tra AZ e Ramanauskas, in cui il ricorrente aveva già accettato la proposta: la fase iniziale dell’operazione avvenne dunque in assenza della supervisione giudiziaria.
2. Non vi erano prove oggettive che Ramanauskas avesse commesso reati contro la pubblica amministrazione in precedenza.
3. Tutti gli incontri tra Ramanauskas e AZ avvennero su iniziativa di quest’ultimo. Inoltre, il magistrato si era inizialmente mostrato poco incline ad accettare l’offerta.
​4. Infine, la Corte sottolineò che le Corti lituane non avevano esaminato con sufficiente attenzione l’entrapment plea allegata dal ricorrente, giungendo ad individuare anche un profilo di violazione procedurale dell’art. 6 CEDU. negli Stati Uniti d’America, spesso citati come modello in materia di undercover operations , si è posto il problema della provocazione poliziesca.


L’entrapment defense

La tutela concessa all’imputato provocato negli USA è l’entrapment defense, ossia un’eccezione processuale di parte volta ad introdurre una causa di esclusione della punibilità: attraverso di essa, l’imputato allega in giudizio il fatto che non avrebbe commesso il reato se non fosse stato provocato. La nozione di entrapment è dunque assimilabile a quella della Corte EDU. Negli Stati Uniti l’entrapment defense è un’eccezione volta a controbilanciare l’amplissimo potere che leforze dell’ordine hanno nell’ambito delle operazioni sotto copertura.


Impunità dell’agente di polizia che provoca al reato indubbia

Effettivamente, negli Stati Uniti, l’impunità dell’agente di polizia che provoca al reato è indubbia. Il fatto che, nell’ambito delle operazioni sotto copertura, l’acquisto simulato di stupefacenti o l’offerta di una tangente ad un funzionario pubblico siano condotte legittime è pacifico. Tanto che non sono necessarie scriminanti di fonte legislativa che sottraggano queste condotte al trattamento sanzionatorio (come invece accade in Italia, Francia, Germania). L’ampia tolleranza che l’ordinamento statunitense riserva alle operazioni sotto copertura potrebbe apparire inopportuna e rischiosa ad un cittadino europeo, abituato a posizioni generalmente caute (se non sospettose) nei confronti di tali tecniche di indagine.

Il totalitarismo

Tale diversa percezione sembra derivare dal recente passato degli stati europei. Il periodo dei totalitarismi ha lasciato in eredità un diffuso sospetto nei confronti dello strapotere delle forze dell’ordine. E le operazioni sotto copertura sono in un certo senso ancora associate al controllo sociale, alla repressione del dissenso politico, allo stato di polizia. Oltretutto, negli anni ‘60 e ‘70, in alcuni paesi la figura dell’agente provocatore è stata inscindibilmente legata al dibattito sulla strategia della tensione e all’infiltrazione dei servizi segreti nei movimenti politici.


La protezione del cittadino statunitense è affidata ad un’iniziativa individuale davanti al giudice

Negli Stati Uniti non sono sorti problemi di questa rilevanza. La protezione del cittadino statunitense nei confronti degli abusi delle forze dell’ordine è totalmente affidata ad un’iniziativa individuale davanti al giudice. Tutto sotto forma di entrapment defense. Tuttavia, benché l’effetto di deterrenza nei confronti degli abusi commessi dalle forze dell’ordine sia praticamente nullo, l’entrapment defense è stata accolta numerosissime volte. Lo è stata sia dalla Corte Suprema che dalle giurisdizioni inferiori. Ciò, garantendo l’assoluzione a coloro che non avrebbero commesso il reato se non fossero stati provocati.

Le operazioni sotto copertura anche per reati contro la Pubblica Amministrazione

E’ assolutamente vero, per ciò che in questa sede più interessa, che negli Stati Uniti le operazioni sotto copertura sono largamente utilizzate anche per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione. La Corte Suprema non si è mai pronunciata sulla legittimità nel merito di undercover operations svolte in questo ambito. Tuttavia, la giurisprudenza delle corti inferiori ha avvallato gli integrity tests posti in essere dalle forze dell’ordine. Consentendo implicitamente il ricorso a mezzi la cui proporzionalità è altamente discutibile.


Un approccio che utilizza strategie spesso sproporzionate

Si tratta di un approccio che, lungi dal creare zone di impunità nei confronti dei c.d. colletti bianchi, consente di utilizzare largamente strategie spesso sproporzionate. Tutto ciò, con il rischio, da più parti invocato, che tali tecniche siano strumentalizzate per fini meramente politici. Quindi anche negli USA il dibattito sussiste. Mica è tutto pacifico! Sarà per questo che il trojan rimane oggi l’unico modo in Italia per ottenere una “confessione” tecnologica! Un massiccio impiego del quale farebbe emergere del fenomeno una narrazione, questa sì, assolutamente oggettiva.

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