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Coniugi separati: si può continuare a vivere sotto lo stesso tetto?

Da separati in casa, si può continuare a vivere sotto lo stesso tetto? Oppure la coabitazione si configura come riconciliazione? Un tema spinoso, di grande interesse su quale, come ogni lunedì, fa chiarezza l'avvocato Dario Coglitore.

di Dario Coglitore

È possibile vivere da separati in casa? La separazione dei coniugi, di regola, presuppone la cessazione della comunione materiale e spirituale del matrimonio, oltre che il  verificarsi di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza matrimoniale o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole.

Lo stesso termine “separazione” impone che i coniugi prendano strade diverse, ossia residenze diverse, in ragione dell’attenuazione degli obblighi coniugali.

I casi in cui la casa è intestata a entrambi i coniugi

Tuttavia, si registrano alcune pronunce di Tribunali che, in presenza di situazioni temporanee ed eccezionali, hanno autorizzato temporaneamente i coniugi separati a vivere sotto lo stesso tetto.
Ciò accade ad esempio quando occorre vendere l’abitazione familiare intestata al 50% ad entrambi i coniugi o quando il marito non abbia i soldi per potere andare a vivere in affitto e abbia fatto domanda di alloggio popolare oppure in attesa del  raggiungimento della maggiore età dei figli.

Separati in casa

Del resto la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3323 del 2000 ha stabilito che i coniugi separati possano ottenere la sentenza di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, pur avendo continuato a vivere sotto lo stesso tetto, durante il periodo di separazione legale, in quanto ciò che è rilevante è che non ci sia stata la riconciliazione intesa come “comunione spirituale”, ossia la volontà di “riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita” (cfr. Cass. n. 19497/2005, n. 20323/2019, n. 19535/2014)

Avv. Dario Coglitore

Evitare la coabitazione?

Nel caso di specie i coniugi, infatti, pur continuando ad abitare nella stessa casa, provvedevano autonomamente alle rispettive necessità, dividendo la casa coniugale in due ambienti distinti, consumando i pasti separatamente, dormendo in camere separate, disinteressandosi della vita dell’altro coniuge.
Tuttavia va segnalato che la giurisprudenza prevalente è senza dubbio orientata in senso contrario. Recentemente il Tribunale di Como (Ord. del 06/06/2017) si è rifiutato di omologare una separazione consensuale proprio perchè in essa i coniugi prevedevano la continuazione della coabitazione.

È vero che, durante il matrimonio, ben possono i coniugi derogare all’obbligo di coabitazione quando esigenze familiari di carattere superiore lo impongono, ma ciò non autorizza, ha precisato il Tribunale, a ritenere il contrario, cioè ad affermare la validità di un accordo di separazione volto a preservare e legittimare la mera coabitazione una volta che sia cessato l’affectio coniugalis.

Se la convivenza è intollerabile…

La separazione personale, d’altronde, si giustifica proprio perché la convivenza è divenuta intollerabile; per cui appare assai curioso, oltre che illogico, far coesistere una situazione di “convivenza intollerabile” con una di “coabitazione”, se non per un tempo strettamente limitato.

La ripresa della convivenza si considera riconciliazione

Va segnalato, infatti, che, secondo un recente arresto della Suprema Corte,  la ripresa stabile e duratura della convivenza da parte dei coniugi si considera riconciliazione ex art. 157 c.c., nulla rilevando la presenza  di numerosi indicatori contrari riguardo alla ripresa della vita affettiva coniugale (Cass. Civ. n. 11636/2020).
Avv. Dario Coglitore

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