Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Che fine ha fatto il Federalismo Fiscale?

Nato per conferire autonomia agli enti nella riscossione delle imposte, il Federalismo Fiscale, nel corso degli anni ha preso tutt'altra direzione. Perché? Ne parliamo con il professore Domenico Marino, docente di Politica Economica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

di Patrizia Romano

Nasce, senz’altro, con tutte le buone intenzioni di migliorare l’efficienza gestionale a più livelli, tramite la distribuzione del potere decisionale. Il federalismo fiscale, infatti, è un sistema di riscossione delle imposte con gestione autonoma da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni. I principi su cui si fonda non nascono soltanto dalla necessità di un’autonomia degli enti nel gestire le risorse economiche, responsabilizzando maggiormente le amministrazioni locali, ma anche dall’esistenza di un collegamento evidente tra gli oneri fiscali richiesti e i benefici erogati alla popolazione. Oltre a ciò, esso tiene conto del bisogno di una collaborazione tra i vari livelli e settori di governo di maggior qualità, con una parallela semplificazione del sistema tributario.
Ma, in realtà, fino a che punto, il federalismo attuato ricalca questi principi? Dalla sua applicazione nelle Regioni Autonome ad oggi, le cose sono andate verso altre direzioni.
Perché?
Ne parliamo con il professore Domenico Marino, docente di Politica Economica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Professore, pensa che questo modello di federalismo fiscale sia davvero attuabile in un paese come il nostro cronicamente afflitto da forti differenze di gettito di Pil tra le varie regioni d’Italia?
Il federalismo fiscale e il trasferimento di competenze, sia fra Stato e Regione, sia fra Regione ed Enti Locali fa parte di questo approccio che trova la sua giustificazione nell’applicazione del principio di sussidiarietà e nella conseguente necessità di risolvere i problemi al più basso livello possibile.

L’Italia afflitta da forti differenze

Questo processo non è scevro di problemi perché molto spesso i trade-off fra dimensione ed efficienza diventano rilevanti e il conflitto di competenze, se non correttamente gestito, rischia di diventare poco efficiente o di creare distorsioni e divari territoriali molto forti sia di tipo economico, sia nella dotazione di servizi pubblici.
Il nostro paese è cronicamente afflitto da forti differenze di gettito, di Pil, di LEA e di LEP tra le varie regioni d’Italia. Ciò significa che le diseguaglianze nella distribuzione territoriale della ricchezza, del reddito e dei servizi di fatto creano delle differenze insostenibili e inique.

Il federalismo fiscale per essere efficace deve avere una forte componente perequativa e deve garantire l’interesse nazionale di alcuni servizi.Quello che abbiamo sperimentato dopo il 2001 è un federalismo monco, che ha funzionato poco e la cui riforma attraverso il cosiddetto federalismo differenziato risulterebbe ancor più penalizzante per le regioni meridionali e per la Sicilia.

Il Trentino

Il Trentino è la prima realtà sul panorama nazionale a fare un passo verso la direzione del federalismo fiscale.
Mentre la Sicilia non ha ampliato i propri poteri, Trento e Bolzano lo hanno fatto continuamente. Questo significa che il federalismo fiscale attecchirà diversamente in queste regioni?

Il Trentino gode da sempre di una autonomia molto ampia data dallo Statuto Speciale. La vera differenza fra il Trentino e la Sicilia non sta tanto nei poteri, ma nella capacità di gestire l’autonomia in maniera efficiente ed efficace. Il Trentino utilizzando i poteri che derivavano dall’autonomia ha creato casi di successo, infrastrutturato il territorio, ha migliorato i servizi.

In Sicilia, spreco di risorse

In Sicilia l’autonomia ha prodotto una regione elefantiaca e sprecona che ha disperso in mille rivoli clientelari le risorse che avrebbero dovuto servire allo sviluppo. Sono state progettate politiche di piccolo cabotaggio, prive di spunti innovativi che altro non erano che ripetizioni stantie o imitazioni mal riuscite. La latitanza delle istituzioni e il drammatico fallimento di tutte le politiche di sviluppo hanno dato fiato e potere a tutto un sottobosco politico-clientelare che ha barattato il consenso con la promessa di uno sviluppo assistito, che si manifestava in una pioggia di finanziamenti non inseriti in alcun progetto serio ed organico di sviluppo e che non faceva altro che inseguire le emergenze, non per risolverle, bensì per perpetuarle.

Che fine ha fatto il federalismo fiscale?

A dieci anni dalla legge numero 42 del 2009 che ne sanciva l’avvio, viene da chiedersi che fine abbia fatto il Federalismo fiscale.
In realtà, non è mai stato attuato. E’ probabile che con l’autonomia differenziata possa rientrare? Magari dalla porta di servizio, non certo dalla porta principale.
L’analisi degli effetti della pandemia ci porta a trarre una lezione importante in relazione al processo di federalismo e, cioè, quella del fallimento del perverso modello di governance denominato federalismo differenziato. È la stessa idea di federalismo che va rivista e depurata da tutte le incrostazioni che negli ultimi anni si sono accumulate a seguito degli incoerenti interventi legislativi fatti dai diversi governi che per inseguire il consenso dimenticavano di valutare gli effetti delle loro scelte.

Sistema sanitario nazionale

A riprova di ciò, la Lombardia, emblema dell’efficienza e dell’efficacia della sanità, è stata devastata molto più di altre regioni dalla pandemia di covid-19. Con una letalità che sfiora il 20%, il covid-19 ha messo a nudo tutta la debolezza di un sistema che dietro un apparente aura di efficienza, nascondeva i limiti di un modello organizzativo che non aveva il paziente come riferimento finale.

Appare, quindi, evidente che si debba superare il modello della sanità regionale per tornare ad un vero Sistema Sanitario Nazionale gestito a livello nazionale.

Correggere le anomalie

Dopo più di 10 anni occorre ripensare il modello del regionalismo italiano e soprattutto correggere alcune anomalie nate dalla riforma del titolo V della Costituzione. Di fronte ai problemi gravi, è evidente che è difficile avere una strategia di contrasto unica, che è pur necessaria, se 20 regioni possono decidere in maniera difforme, ma a ben pensare anche in condizioni di normalità una sanità regionale non fa che amplificare le disparità regionali, alimentando una competizione sulle risorse fra le diverse regioni il cui effetto è la mobilità sanitaria. La ricetta è quindi quella di tornare ad una sanità nazionale

Il federalismo fiscale in Sicilia

Gli insuccessi della Sicilia in materia di federalismo fiscale sono perpetui. Per cui, la Sicilia si trova, da una parte, il Governo centrale che etichetta il Governo regionale come fannullone e incapace e, dall’altra, il Governo regionale, che accusa il centrale di assoluta disattenzione nei confronti delle aree più povere.
Da che parte sta la verità?

La verità sta probabilmente nel mezzo, nel senso che ognuna delle due parti contribuisce ad aggravare lo status quo. Se guardiamo le azioni messe in campo dallo Stato Centrale, l’equità rimane solo un principio formale. L’applicazione sostanziale del principio spesso si traduce in una forma differente di redistribuzione delle risorse senza verificarne l’uso ed il risultato finale. Tuttavia, le metodologie proposte per l’applicazione dei principi normativi privilegiano esclusivamente il criterio di contenimento della spesa.

Sanità e trasporti

Due esempi rilevanti di impiego delle risorse finanziarie pubbliche sono la sanità ed i trasporti e da questo punto di vista la Sicilia è fortemente penalizzata. D’altro canto però la Sicilia non ha l’efficienza di spesa del Trentino, non ha mai avuto una strategia di sviluppo forte e attuabile, ha gestito le risorse creando una sorta di sviluppo assistito, drogato e dipendente dai finanziamenti pubblici che non ha permesso alla regione di fare quel balzo in avanti che sarebbe stato necessario.

Risultati in Sicilia

Che risultati avrebbe in Sicilia, la piena attuazione del federalismo fiscale?

La Sicilia, se opportunamente governata, avrebbe la possibilità di colmare in breve il gap che la separa dalle altre regioni, ma per far questo il federalismo fiscale dovrebbe esser un vero federalismo solidale in cui uno stato forte concorre con una regione efficiente nel promuovere politiche di sviluppo innovative. E’ fantascienza o può essere realtà?

Rallentamento dei processi

Dal 2001 al 2019 la quota media di trasferimenti al Sud non è mai andata oltre il 24%, con picchi del 28% e del 19%. Quando avrebbe dovuto essere garantito il 34%”. 
Questo non ha influito sul rallentamento del processo in Sicilia?

Questi numeri descrivono impietosamente la situazione. Le politiche di troppi governi hanno di fatto messo in crisi il concetto stesso di stato nazionale, abbandonando di fatto il concetto di perequazione che in sostanza è il meccanismo che permette una redistribuzione delle risorse dalle regioni con più alto Pil pro-capite verso quelle con un Pil pro-capite più basso, con lo scopo di mantenere un livello di servizi comparabile fra le diverse aree del paese.

Regioni di serie A e serie B

In questo modo si sono create regioni di serie A e regioni di serie B, dove i diritti fondamentali degli individui sono soddisfatti in maniera diseguale. Questo processo ha coinciso con la scomparsa del Mezzogiorno dall’agenda politica nazionale, il tutto condito da una retorica antimeridionale che arrivava a far dire che i meridionali erano antropologicamente portati al sottosviluppo, o, come anche espresso pochi giorni fa da un commentatore, “inferiori” dal punto di vista economico.

Compartecipazione di colpe

Come già detto in precedenza, la politica siciliana ha contribuito alla creazione e al mantenimento di questo pregiudizio, ma le responsabilità sono anche dello stato centrale che troppo spesso si è comportato da patrigno nei confronti della Sicilia. E il ritardo di sviluppo della Sicilia è forse in gran parte frutto di questa compartecipazione di colpe.

Le Regioni più povere

Da anni, si discute dell’incompetenza dei governi regionali; spreconi e inefficienti. Non si parla mai, però, di quanto il Governo centrale, non sia stato in grado di garantire, a una Regione in costante difficoltà come la Sicilia, trasferimenti fondamentali per crescita, sviluppo e adeguamento al resto del Paese. Anche se può sembrare contraddittorio, visto che parliamo di federalismo fiscale, la cui essenza è l’autonomia gestionale in materia fiscale, questo non influisce, comunque, sulle Regioni più povere?
Dopo anni di continue modifiche normative, al fine di introdurre il federalismo fiscale e di superare i criteri di riparto basati sulla spesa storica, sono stati introdotti i concetti di costi e fabbisogni standard. La determinazione quantitativa dei fabbisogni e dei costi standard a regime dovrebbe costituire un supporto per la definizione di criteri di riferimento finalizzati alla perequazione ed alla revisione della spesa degli enti territoriali.

Distribuzione delle risorse

La quantità iniziale di risorse destinate alle regioni, e quindi i gap storici di alcune regioni, quelle della Sicilia in particolare, non sono state messe in discussione. Si è lavorato sulla distribuzione di risorse, non valutando la quantità iniziale di budget allocato.

Le ripartizioni

Dal confronto tra le regioni italiane in termini di ripartizione percentuale di popolazione residente, risorse destinate ai servizi sanitari ed ai servizi di trasporto pubblico locale, si osserva che le ripartizioni hanno un andamento simile. Se ne deduce che le ripartizioni delle risorse finanziarie sono realizzate considerando esclusivamente la popolazione residente. La ripartizione dei fondi finanziari nazionali più che tenere conto della spesa storica, riproduce le diseguaglianze storiche codificate. L’obiettivo è stato finora pertanto connesso soprattutto ad un taglio della spesa. L’efficacia, ossia l’uso delle risorse per garantire i diritti in modo sostenibile, non è stata finora una priorità. E questo non può non comportare un ritardo nella crescita.

Come arginare il divario Nord Sud

Come dovrebbe essere applicato il federalismo fiscale per rendere più coeso il Paese e arginare il profondo divario tra Nord e Sud?
Federalismo solidale significa compartecipazione delle risorse, aiuto alle regioni più deboli, garanzia di Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) sostanzialmente omogenei fra le regioni. Il federalismo solidale ha bisogno di uno stato centrale forte ed efficiente, non di uno stato centrale debole e svuotato di competenze come vorrebbe il progetto di autonomia differenziata.

Bisogna definire le competenze

Il federalismo fiscale vero ha bisogno di una chiara definizione di competenze e attribuzioni e nello stesso tempo che alcune questioni fondamentali – la sanità, l’istruzione, le grandi infrastrutture – siano dichiarate di interesse strategico nazionale e sottratte alla competenza regionale. L’attuazione di un federalismo solidale non esclude che le regioni più efficienti possano avere più risorse, ma queste devono derivare dal minor costo dei servizi ottenuti attraverso il recupero di efficienza rispetto ai costi standard.


Il principio perequativo

Non si può mettere in alcun caso in dubbio il principio perequativo che costituisce il senso ultimo di essere uno stato nazionale. Senza perequazione il principio dell’uguaglianza dei cittadini viene seriamente messo in crisi in una misura ancora più drammatica di quanto non sia fatto già oggi, ad esempio in campo sanitario, a causa di una sanità diseguale, con la istituzionalizzazione della classe dei cittadini e delle regioni di serie A e di serie B.

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