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Cara e Cie: ‘lager’ per richiedenti asilo

di Redazione

Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara) non sono altro che dei veri e propri ‘lager’ pensati per un elevato numero di migranti, che finiscono con l’alimentare un vero e proprio mercato oligopolistico di enti gestori attrezzati per fronteggiare un volume di affari cospicuo e blandito con più o meno successo dal malaffare.

 

di Floriana Lo Sardo 

Malgrado gli scandali dell’inchiesta ‘Mafia Capitale’ abbiano messo in evidenza come certe modalità di accoglienza degli immigrati siano a rischio d’infiltrazioni criminali, non vi è mai stata da parte delle istituzioni alcuna volontà di correggere il tiro in funzione di soluzioni diverse per l’accoglienza dei migranti. Una piaga umana, che vede migliaia di persone stipate in veri e propri lager, camuffati da Cara e Cie.

I Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara) sono stati istituiti nel 2002 con la denominazione di Centri di Identificazione Cdi e, infine, disciplinati dal Dpr. n. 303/2004 e dal D.Lgs. n. 25/2008, cui si deve l’attuale denominazione. Tali centri sono chiamati a ospitare i richiedenti asilo ammessi o, comunque, presenti sul territorio nazionale in attesa dell’esito della procedura di richiesta della protezione internazionale.

In base alle disposizioni varate nel 2002 e nel 2004, i Cdi hanno assunto il carattere di ‘centri aperti’ da cui gli ospiti possono liberamente uscire durante le ore diurne e assentarsi, previa autorizzazione del prefetto, per periodi più lunghi. Tale facoltà non era in origine concessa a tutte le categorie di richiedente asilo e in ogni caso poteva essere esercitata solo nella misura in cui non apparisse incompatibile con l’ordinario svolgimento della procedura semplificata e previa comunicazione al direttore del centro. L’allontanamento non autorizzato dal centro comportava, inoltre, la perdita del diritto alla propria richiesta di protezione internazionale. Il richiedente asilo restava in sostanza assoggettato a una forma di controllo esercitata tanto dall’autorità responsabile del centro che dalla polizia, le quali potevano a discrezione limitare la sua libertà di movimento.

Da ultimo, la riforma del 2008 ha inteso ridefinire alcuni dei tratti del sistema di accoglienza per richiedenti asilo tracciato tra 2002 e 2004, facendo assumere agli attuali Cara uno statuto più schiettamente umanitario. L’art. 20 comma 4 del menzionato decreto legislativo ha sancito il carattere ‘aperto’ di tali strutture, sottraendo l’esercizio della facoltà di uscita diurna dal centro alla discrezionalità dei responsabili della struttura.

Nella realtà dei fatti, però, Cara, Cie e affini altro non sono che ‘lager’ pensati per un elevato numero di migranti, atti ad alimentare un vero e proprio mercato oligopolistico di enti gestori attrezzati per fronteggiare un volume di affari cospicuo e blandito con più o meno successo dal malaffare.

L’accoglienza non può essere ridotta a business con corredo di strumentalizzazioni filo-razziste. I sopralluoghi effettuati presso queste strutture ha evidenziato come, pur in assenza di carenze strutturali di rilievo, gli spazi dei Cara non sono adatti a una permanenza di medio-lungo periodo dignitosa.

Non vi è dubbio che sia necessario un ripensamento complessivo che passi attraverso la creazione di un diritto di asilo europeo atto a coinvolgere tutti i paesi dell’Unione nella gestione dell’emergenza dei richiedenti asilo.

Le istituzioni preposte dovrebbero valutare seriamente l’opportunità di allocare questi centri militarizzati di accoglienza nelle zone economicamente depresse come purtroppo gran parte del territorio siciliano. L’esasperazione degli ospiti, comunque privati almeno in parte della propria libertà, costituisce una miccia per l’innescarsi di tensioni sociali, nonché per l’inasprirsi di fin troppo prevedibili conati di neorazzismo da crisi economica.

Speriamo che assieme all’associazionismo virtuoso del nostro territorio, da sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei migranti, pure le forze politiche prendano una posizione netta di opposizione a queste strutture e non continuino a lasciare inascoltati gli appelli dei volontari, degli operatori, di coloro che si trovano giornalmente impiegati nella ‘cura’ dei richiedenti asilo, in favore di approcci gravidi di potenziale malaffare, odio e tensioni sociali.

 

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