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Aurora Falcone, il teatro insegna a vivere

Formatasi al Biondo, lo Stabile di Palermo, Aurora Falcone considera il teatro propedeutico al reale, perché aiuta a interiorizzare l’esperienza del vivere

di Pippo La Barba

Aurora Falcone, un’attrice a tutto tondo, alla quale il teatro ha insegnato a vivere. E lei, vive per il teatro. Tra gli spettacoli più significativi della sua carriera artistica,Assassinio nella cattedrale di Eliot, regia di Pietro Carriglio. Un angioletto vestito di giallo di e con Franco Scaldati. L’onorevole di Leonardo Sciascia con la regia di Vetrano e Randisi. Il colore è una variabile dell’infinito, dove recitava con Paolo Rossi. Sangue sul collo del gatto di Fassbinder con la regia di Umberto Cantone. Supplice per bianco tormento divina prosa con la regia di Simone Audemars. L’ultimo spettacolo, Sposa in viaggio, dove interpreta uno straordinario personaggio realmente esistito, l’artista Pippa Bacca uccisa da un balordo.
Grande versatilità e grande amore verso il teatro.
Per capire da cosa nascano la versatilità e l’amore per Aurora Falconehttps://inchiestasicilia.com/eventi/unestate-a-tutta-musica/, le abbiamo rivolto qualche domanda, mettendo a nudo la sua bravura e la sua umanità.

Il teatro per Aurora Falcone

Cosa è per te il teatro?
E’ la pratica ideale per sperimentare gli aspetti più segreti della realtà. Sia quella del senso oggettivo del vivere che quella interiore. L’esperienza teatrale  deve necessariamente essere legata all’esperienza del vivere. E deve diventarne l’espressione, possibilmente non banale. Il teatro è il luogo della verità, perché nel suo rito qualsiasi elemento della realtà può essere trasfigurato, e quello che è finto può sembrare vero.

Quindi, più che vero, il soggetto deve essere verosimile
Il teatro è il luogo dove è possibile dare evidenza concreta al lato più misterioso, e quindi poetico, delle cose. E questo attraverso l’invenzione e la fantasia. Come in un sogno a occhi aperti.

Perché il palcoscenico

Quali motivazioni ti hanno spinto sul palcoscenico?
La motivazione più forte è stata la curiosità. Quella che mi spinge ogni giorno a non smettere di studiare e ricercare. Come tutte le arti, il teatro ti spinge a fare delle domande, agli altri e a te stessa. C’è poi, per me fortissimo, il fascino per l’autodisciplina, quel rigore utile sia in scena, sia nella vita di tutti i giorni. Affrontare l’imprevisto, combattere le difficoltà, mettersi in gioco, imparare a controllarti e ad abbandonarti. Il teatro libera la testa.


La gavetta nel teatro pubblico

Ti  sei diplomata alla Scuola di recitazione dello Stabile di Palermo allora diretta da Roberto Guicciardini. Successivamente hai svolto al Biondo buona parte dell’attività artistica. Aver fatto gavetta in un teatro pubblico è stato un vantaggio o un limite? 
Ho avuto la fortuna di iniziare molto giovane e, una volta conseguito il diploma, di potermi misurare in produzioni con interpreti e maestranze competenti. Avere a che fare in scena con grandi attori significa dover educare il proprio istinto, imparare ad adattarlo innanzi tutto alle esigenze di un progetto.                        

Ogni spettacolo è un progetto

Come si vive questo progetto?
Ogni spettacolo è un progetto, e le tue esigenze creative devono potersi esprimere liberamente sì, ma in funzione di un progetto. Poi c’è il piacere del lavoro di gruppo. Seguire i consigli o subire i rimproveri di attori più esperti di te o del regista, non può che formarti.
E’ un dialogo tra intelligenze, che ti fa apprezzare quella particolare libertà che ogni arte ti concede. Adeguarsi a questa necessità di rigore, di autodisciplina, è all’inizio difficile. Poi ci si abitua. In fondo, imparare        a fare teatro significa imparare a vivere.

Quando l’interpretazione è più efficace

Non c’è il rischio che così si riduca la spontaneità e l’estro creativo?
Ogni spettacolo è una tappa di una faticosa ricerca d’introspezione. E’ la possibilità di affrontare difficoltà emotive e limiti tecnici. Per questo l’unica discriminante è per me la serietà dell’esperienza che vado a fare. Non posso che essere grata ai registi e agli attori che mi aiutano in questo percorso.Ho sentito di recente quello che Federico Fellini diceva a proposito della libertà dell’artista. Per lui più l’artista è “ingabbiato”, più è condizionato da una serie di fattori e circostanze, più la sua espressione è efficace. Io mi ritrovo pienamente in questo principio.

I miei maestri

Avere avuto dei maestri come Guicciardini, Scaldati, Carriglio, Cantone cosa ti ha dato in più?
Facendo queste esperienze significative, ho imparato che la libertà espressiva di un attore, o di un danzatore o di un musicista, è sempre relativa a quella dell’ensemble. E quella dell’ensemble è finalizzata all’espressione di un progetto.

Però hai anche recitato con attori e registi fuori dai consueti standard come Lina Prosa, Enzo Vetrano, Stefano Randisi. Che stimoli ti hanno dato?
A loro aggiungerei Roberta Torre e Paolo Rossi con cui ho avuto il piacere di lavorare. Di recente, il lavoro intenso e straordinariamente stimolante con Lina Prosa mi ha permesso l’incontro con la regista svizzera Simone Audemars. Recitare in lingua francese, dopo l’esperienza formativa con L’Ecole des Maître di Franco Quadri e Denis Marleau, è stata un altro magnifico azzardo.
Sono stati tutti loro a trasmettermi il valore della “follia” attoriale, l’aspetto liberatorio e sregolato del fare teatro. Un aspetto che non annulla, e che anzi amplifica, la serietà progettuale di ogni esperienza. Una follia sincera, una serietà folle: sono queste le felicissime contraddizioni di un mestiere con cui devi imparare umilmente a confrontarti giorno per giorno.

Il dopo coronavirus per il teatro

Cosa accadrà al teatro dopo il Coronavirus?
Sopravviverà trovando formule e forme diverse, magari recuperandole dal passato. Una cosa è certa: la cultura è un’espressione umana, che ci riscalda e ci motiva. E quindi non si estinguerà.



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