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Assegno di mantenimento ai figli maggiorenni: limiti e condizioni

Assegno di mantenimento ai figli maggiorenni: gli orientamenti giurisprudenziali sempre più restrittivi...

di Redazione

Assegno di mantenimento ai figli maggiorenni: gli orientamenti giurisprudenziali sempre più restrittivi, nell’ambito di separazioni e divorzi, del riconoscimento di un contributo per il mantenimento della prole maggiorenne ma non economicamente autosufficiente

 

di  Giovanni Parisi

Nel sistema di diritto di famiglia vigente, la problematica concernente il diritto dei figli maggiorenni alla percezione di un contributo per il loro mantenimento da parte del genitore redditualmente “forte” nell’ambito dei procedimenti di separazione personale dei coniugi, ovvero di divorzio, si rinviene di stretta attualità, non solo giuridica, ma altresì sociale, in considerazione della obiettiva difficoltà, al giorno d’oggi, di inserimento nel mercato del lavoro da parte di un numero preoccupante di soggetti ultratrentenni, anche in possesso di diploma di laurea, ovvero nonostante il conseguimento del titolo abilitativo idoneo all’esercizio (potenziale) delle professioni.
In proposito, oltre al dettato normativo di riferimento, in base al quale è prevista la possibilità di un assegno periodico in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (art. 337-septies c.c.), si è nel tempo consolidato l’orientamento del formante giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità, teso a ritenere che l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento del figlio non cessi automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo, ma perdura sino a quando il soggetto interessato (ossia l’obbligato al versamento periodico) non dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autonomia reddituale, ovvero sia stato posto nella concreta condizione di potere essere economicamente autosufficiente, senza averne tuttavia tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (ex pluribus, cfr. Cass. Civ., n. 1773/2012). Tuttavia, anche al fine di sanzionare eventuali “abusi” del diritto a percepire un mantenimento da parte di beneficiari rimasti professionalmente “inerti” al solo scopo di continuare a gravare “parassitariamente” sul genitore, che in tal modo rimarrebbe ingiustamente obbligato “sine die” al versamento dell’assegno, la Suprema Corte, intervenendo in più occasioni sul punto, ha stabilito alcuni importanti correttivi. Anzitutto, a parere degli Ermellini, nella determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve porsi rilievo non soltanto al dato oggettivo relativo alla assenza di una occupazione lavorativa, ma altresì alla diligenza del figlio nella ricerca di una professione al termine degli studi (da ultimo Cass. Civ., n. 1858/2016).
Numerosi tribunali di merito, aderendo all’indirizzo del S.C., hanno statuito che “ai fini di una modificazione dell’assegno di mantenimento, dunque, per “fatto nuovo” non si intende soltanto l’eventuale acquisizione di un posto di lavoro fisso ma anche il semplice decorrere del tempo senza che il figlio, che pure ne avrebbe le attitudini e possibilità, abbia trovato una collocazione lavorativa, onde evitare che il mantenimento del genitore separato diventi sine die e debba essere condizionato dalla sostanziale inerzia del figlio” (Trib. Trani, 04/04/2008). Inoltre, è stato escluso il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento da parte del genitore nella ipotesi in cui il primo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità di guadagno, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori – quali dimissioni o licenziamento – che, se pur determinano l’effetto di renderlo nuovamente privo di sostentamento economico, non sono idonee a produrre una reviviscenza di un obbligo contributivo i cui presupposti siano già in passato venuti meno (così Cass. Civ., n. 24515/2013). Si precisa, poi, in Cass. Civ., n. 12477/2004, che una volta intrapresa un’attività lavorativa da parte del figlio, in caso di cessazione della stessa non sono più ipotizzabili né un suo rientro o una permanenza in famiglia nella posizione di incapace di autonomia, né un ripristino in suo favore di quella situazione di particolare tutela che il legislatore ha inteso predisporre in favore dei figli i quali ancora detta autonomia non abbiano conseguita per difetto di requisiti personali o ambientali.
Un ulteriore “giro di vite”, stavolta di natura strettamente processuale, è stato introdotto sul regime di onere probatorio: invero, mentre in precedenza la giurisprudenza pressoché unanime riteneva che l’onere di dimostrare il fatto ostativo al versamento dell’assegno incombesse sul soggetto obbligato che ne chiedesse l’esonero, con la sentenza n. 7970/2013, confermativa di un decreto della Corte di Appello di Palermo, la S.C. ha inaspettatamente ritenuto che l’onere della prova concernente la assenza di inerzia e/o colpa nel mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte del figlio maggiorenne, spetti proprio al richiedente l’assegno di mantenimento, potendo, in caso contrario, il giudice del merito, dedurre presuntivamente la suddetta inerzia da diversi fattori, quali l’età, gli studi effettuati ed il percorso formativo-professionale conseguito.

 

 

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