Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Afa

di Redazione

E va bene, ma sentivo caldo. Mi viene come un attacco di panico, ispettore. Ero stata a casa tutto il giorno, ho preso la valeriana, ho chiuso tutte le finestre e mi sono immersa nella vasca da bagno. Sentivo il panico in agguato. Ero sola.

Non potrebbe comprare un condizionatore? –

– Sì, ma abito in qwuesta casa da poco tempo, volevo vedere come ci si sta d’estate e poi non amo il freddo da condizionatore, vorrei un clima possibile, normale. Il clima è cambiato, ispoettore. Nel 2003 la superficie terrestre sarà più calda di ben tre gradi e mezzo…

– Sì, va bene, ma andiamo avanti, e poi? –

E poi gli scenziati hanno trovato un lago al Polo Nord, un lago…

– Sì, ma torniamo a noi, signorina -.

– Non ce l’ho fatta più, ispettore. Mi sono affacciata alla finestra soerando che l’afa fosse terminata e sono stata investita da un’ondata di inferno e follia e così non ho capito più niente, ho messo il primo vestito che ho trovato…

La prima camicia da notte, vuole dire

Io le uso per uscire… quelle antiche, voglio dire, hanno un’aria così fuori dal tempo che sembrano costumi teatrali, ma sono così semplici e così fresche…

– Sì, appunto, signorina, è questo particolare che ha terrorizzato le persone al cimitero stamattina e ha provocato una morte per infarto… Ma facciamo ordine… vorrei capire meglio…

M a che c’era da capire ancora? Ada era frastornata. L’aveva spiegato cento volte ai guardiani, alle signore vestite di nero, ai curiosi per strada, ai poliziotti che l’avevano portata in questura ed ora doveva ripetere tutto all’ispettore.

Ada abitava vicino al cimitero da due mesi, di ritorno dalle vacanze aveva trovato un’afa spaventosa fuori e dentro casa perché abitava sotto i tetti e si sa che le case sotto tetto sono le più calde in estate e le più fredde in inverno e giorno 31 agosto non ce l’aveva fatta più, perché si da il caso che Ada soffra di claustrofobia da caldo e di conseguenza tutto ciò scatena in lei veri e propri attacchi di panico. Quando si era affacciata alla finestra sperando che il cklima fosse cambiato, la crisi aveva ragguinto il suo acme. A nulla erano valse le sue preghiere affinché piovesse, la terra era stretta da un’afa opaca e grigia e lei pensava di non respirare più bene; insomma, era la sua testa che le procurava tali miraggi, era per così dire la paura di non respirare più che non la faceva respirare. Ma improvvisamente – Il cimitero! – aveva urlato. Di fronte casa sua c’era il cimitero ed era così pieno di alberi, c’era sempre un fresco meraviglioso e così, indossata la camicia da notte bianca dei primi del ‘900 che usava come vestito, ingurgitato un sonnifero, visto che la valeriana non era riuscita a contenere il suo panicodaclustrofobiadacaldo, era scappata in strada, e correndo era entrata al cimitero in un momento di distrazione dei guardiani. Il 31 agosto chi vuoi che ci sia al cimitero, aveva pensato. Poi, aveva cercato il posto più fresco che ci fosse, eccolo, la tomba antica di pietra ingiallita di tale Rodrigo Ramonez nato nel 1920 e morto nel 1940 e su quella si era coricata.

Era quasi il tramonto, ora in cui chiudono i cimiteri: Ada si era distesa supina, e incrociate le mani sul petto si era addormentata. Ora, se l’indomani una signora in visita alla tomba della figlia morta un anno prima aveva avuto un infarto, perché vedendola svegliare pensò di trovarsi di fronte il fantasma della figlia, era colpa sua? La si poteva condannare per questo?

Ada, dal canto suo, si era svegliata beata e aveva inaugurato il primo settembre con un clima fresco, un venticello piacevole fra le foglie degli alberi.

In un cimitero piacevole – aveva obiettato l’ispettore,

Ma era in quel momento l’unico luogo possibile, era già tanto che mi fosse venuta quell’idea durante un attacco di panico. E’ stata la signora a spaventare me. S’è messa a urlare come un’ossessa, lanciando i fiori per aria, rovesciando l’acqua dei vasi, e correndo verso l’uscita stava lì a gridare: un fantasma, la mia Nina, la mia Nina, Nina mia, ahhhh.

E così la zia di Nina e il fratello, il cognate e poi altre donne, furono tutti presi da visioni, tormenti, lacrime e lamenti fin quando la signora Ranucci, questo il cognome della mamma della defunta Nina, si era accasciata per terra proprio davanti al cancello del cimitero, e fra rantoli soffocati il cuore le era venuto meno ed era andata a raggiungere la sua adorata figlia.

I curiosi, i fiorai di fronte al cimitero avevano fatto capannello, mentre qualcuno chiamava la polizia e un’ambulanza, e Ada era rimasta insonnacchiata e intimorita in mezzo a tutta la baraonda dei parenti che nel frattempo arrivavano e imprecavano e si scagliavano contro di lei – Assassina! Fare scherzi simili… Disgraziata… Ada per l’appunto aveva cominciato a spiegare, ma nulla da fare, il piccolo drappello era ormai inferocito. Per fortuna il garzone di un macellaio che si trovava lì di passaggio accorse in suo aiuto e la caricò sulla bici e pedalare a più non posso cercò di schivare colpi e scarpate lanciati contro di lei – Ha pure un complice, prendeteli… prendeteli -. In quel momento arrivò la Polizia che con pistole e mitra spianati fermò i fuggiaschi e li portò in questura.

Il garzone fu rilasciato ben presto, piangeva come un vitello sgozzato, poverino. Ada era riuscita a convincere l’ispettore che il ragazzo l’aveva salvata dal linciaggio, che il suo era stato un nobile gesto e nient’altro.

Dopo gli accertamenti di rito, il ragazzo fu rilasciato. Non solo a lei, invece, toccò restare finché tutti non furono interrogati, ma dovette persino passare la notte in questura.

Quella notte fece un sogno: era in bicicletta dentro un cimitero sul mare, il vento fresco le baciava le guance. Le cingeva la vita un principe anch’esso vestito di bianco, con le mani grondanti sangue, e nel frattempo pedalava e lei rideva e rideva, mentre disteso sulle tombe stava il gruppo di famiglia incontrato al cimitero, e un commissario in un angolo indossava una lunga camicia da notte e una cuffietta di trine.

L’indomani, quando si svegliò, i poliziotti la liberarono, l’ispettore le consigliò ancora una volta di comprare un condizionatore, di cambiare abito, di non dormire più in un cimitero e così Ada potè tornarsene nella sua casa, che nel frattempo era diventata più vivibile a causa dell’ennesimo cambiamento repantino di clima. Davanti al portone, con la bici piena di pacchi di plastica addossata contro il muro, trovò il garzone della macelleria. – Ciao le disse timidamente, io passavo di qua e…

Ciao, passavi di qua? Ma come fai a sapere dove abito, scusa

Ho sentito quando lo dicevi ai poliziotti.

Ah, sì.

Volevo sapere come stai.

Bene, bene, insomma… Ah, volevo ringraziarti. Se non fosse stato per te, adesso sarei in ospedale.

Subito ci fu silenzio. I due cominciarono a guardarsiu e Ada si accorse di lui. Alto, capelli biondi, occhi verdi, la carnagione bruna e uno sguardo di fuoco sublimato da un fare timido e gentile. Improvvisamente ricordò il suo sogno. Pensò alle mani insanguinate.

Ritornò sulla terra e vide che lui le guardava la camicia da notte, ormai lacera e sporca, trasparente sulla pelle abbronzata.

Vuoi salire su? Ti va di fare colazione con me?

Il ragazzo accettò, portandosi dietro i pacchi di carne da consegnare. Si chiamava Rosario e Ada non era mai stata guardata così da nessuno che avesse quasi vent’anni meno di lei.

E così soffri il caldo, è solo per questo che ti è successa tutta auesta storia?

Diciamo che è una specie di malattia per me, una fissazione, una forma di stress, ma quando avevo la tua età non ero così, amavo lo scirocco, lo respiravo a pieni polmoni e uscivo la notte in motocicletta per sentirlo ancora di più sulla pelle.

Stettero a parlare ancora un po’. Ada, passata la canicola, era bravissima a prendersi in giro sulle sue reazioni personali a 40 gradi. Si conosceva e si accettava, e Rosario sorrideva e candidamente le spiegava di non capire, il caldo è caldo, oggi c’è e domani no, io continuo a fare le cose normalmente, diceva. Mentre parlava Rosario si guardava attorno e gli piaceva quella casa con terrazza, piena di stampe antiche e di piante. E soprattutto gli piaceva lei. Lo incantava, così diversa da tutte le ragazze della sua età. C’era qualcosa in lei di buffo e di bizzarro che lo attirava e contemporaneamente gli incuteva rispetto e ammirazione, forse per via dell’età, eppure sembrava piccolissima a tratti. E ripensò al suo sguardo impaurito e stranito quando le aveva proposto di scappare con lui in bici davanti il cimitero. Pensò che quella faccenda del caldo avesse a che fare con la solitudine, ma non riusciva a spiegarsene il collegamento, era una cosa che sentiva così, a pelle. E si sentiva anche lui grande, grandissimo, eppure era piccolo. Si salutarono dopo un po’. Rosario aveva i suoi pacchi da consegnare, e non si videro più. Quando, dopo circa due settimane, un pomeriggio di settembre, dopo un periodo di tregua fresca e ventilata che già faceva presagire l’inverno, improvvisamente scoppiò di nuovo lo scirocco e la temperatura sfiorò i 41 gradi.

Ada era rientrata in casa giusto in tempo prima della catastrofe ed era particolarmente giù in quel momento. In più non aveva né valeriana, né sonniferi ed era agitata per problemi sul lavoro. Insomma, quel caldo non era certo quello che ci voleva. Era disperata, cominciò a respirare forte, andò in bagno per riempirsi la vasca, ma si accorse con angoscia che i rubinetti quel giorno erano a secco. Andò in cucina e cercò del ghiaccio. Non c’era neanche quello. Oddio, si disse, non ci posso credere, è un incubo. Allora aprì il frigorifero, si sedette lì davanti e respirò con il diaframma. Si calmò un po’.

Fu allora che suonarono il citofono.

Fu tentata di non rispondere, poi andò e si stupì di sentire

Ciao, sono Rosario.

Chi? Ehi, Rosario ciao, senti, scusa Rosario, ti prego, ci vediamo un’altra volta, sto male, non è il momento.

Aspetta, è per questo che sono passato. Ho pensato che con questo caldo tu… e allora ho un’idea, fammi salire, ti spiego, non posso per citofono.

Il ragazzo salì. Ada aveva una faccia proprio spiritata. Si sedette con lei davanti al frigorifero aperto, in penombra. Il fascio di luce proveniente dall’interno illuminava una scena di urbana follia.

Ascolta, ho rubato le chiavi della macelleria a don Gaetano, il mio principale, e ho pensato di portarti lì, stanotte, dentro la cella frigorifera, regoliamo il termostato e teniamo la porta aperta. Sono passato da casa a prendere il sacco a pelo e la sveglia, domani alle sei dobbiasmo sloggiare, se nò sono guai e te lo immagini poi don Gaetano, e magari la polizia: prima il cimitero, poi la macelleria di notte. Risero. Ada lo guardò sconcertata e felice.

– Tu sei pazzo. E rise di nuovo

Lasciamo stare, rispose lui. Aspettiamo ancora un po’, è troppo presto ora, può vederci qualcuno. Verso le dieci di sera andiamo. Restarono così. Rosario le raccontò delle storie per distrarla. Mangiarono prendendo il cibo direttamente dal frigo, i cui ripiani furono usati come tavola. Ada cominciò a non pensare più al caldo.

Si fecero le dieci. Uscirono. Rosario era venuto in motorino. L’impatto con l’afa riportò Ada alla realtà assurda di quel momento: in motorino con un ventenne in una sera torrida di fine estate e per andare dove? In una macelleria per dormire al fresco. Inaudito. Quando arrivarono, Rosario si guardò intorno. Non c’era nessuno. Aprì piano la saracinesca ed entrarono. La richiuse. Accese le luci al neon. I banconi erano vuoti e puliti. I ganci pendevano sotto cartoncini colorati trinche di maiale £. 18.000 al chilo, costate di vitello £ 25.000 al chilo, ma il vuoto regnava. Rosario aprì con mani espoerte una delle celle frigorifere, fece accomodare Ada come se stesse invitandiola a sedere in un salotto per bene, mise un bastone per impedire la chiusura della cella. Ada ebbe un sussulto: morire di caldo e poi morire sul serio congelata sarebbe stata una fine veramente ridicola. Rosario regolò la temperatura e poi sistemò meglio i quarti di bue e i polli per fare spazio. Poi delicatamente srotolò il sacco a pelo. Invitò Ada a stendersi e prese una bottiglia di vino bianco, versò il vino in bicchieri di plastica e si distese accanto a lei.

Le teste dei vitelli sembravano rivolti verso Ada, con occhi vitrei le raccontavano di odori di morte, di budella e organi vitali esposti a due estranei che bevono vino in una cella frigorifera. Tutto era rosso e bianco.

E’ buffo, ma inquietante – disse Ada – Sono un’intrusa della morte, per le mie paranoie invado la morte d’altri, uomini e bestie. Non mi rendo conto di cercare la vita nella morte altrui, nel regno delle anime e nel regno della morte bruta, fatta di sangue.

Ogni cosa ha il suo rovescio. Ogni cosa è fatta in un modo o nell’altro, disse saggiamente Rosario, non riconoscendosi in quelle parole. Una bestia muore e qualcuno fa un banchetto, un uomo muore e tu trovi fresca la sua tomba.

Sì, ma tu perché fai questo per me, ti puoi cacciare nei guai.

Perché mi piaci Perché sei indifesa, pensò, ma non lo disse. Perch non ho di meglio da offrirti, o meglio, ho paura di offrirti di meglio.

Cosa vuoi adesso da me?

Nulla, dormire e basta.

Risero, Ada bevve ancora un po’, poi si accovacciò per terra. Rosario le accarezzo la nuca e lei poco a poco si addormentò. Poi si alzò, bevve ancora un po’ di vino, guardò Ada a lungo, in punta di piedi tolse il bastone dalla porta, che si richiuse con un tonfo sordo, abbassò la temperatura fino a meno 20 gradi centigradi, si distese su un fianco, poggiò la sua mano su quella lunga e affusolata di Ada e si addormentò pure lui.

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