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Siria-Morghella: storia di insolita solidarietà

di Redazione

L’odissea dei 200 profughi siriani approdati, per caso, sulla spiaggetta siciliana tra Marzamemi e Portopalo, raccontata da uno dei primi soccorritori

Di Patrizia Romano

Non è una spiaggia dove solitamente arrivano o tentano di sbarcare. Si sono trovati lì per caso, perché abbandonati, tra le onde tumultuose, da quei soliti scafisti senza scrupoli che, per più di quindici giorni, li avevano condotti per mare in condizioni disumane.

Stiamo parlando dei 200 profughi siriani approdati per caso, quel mattino del 15 agosto, sulla sonnacchiosa spiaggetta di Morghella (tra Marzamemi e Portopalo), solitamente frequentata da turisti in cerca di riposo.

Naufragio di ordinaria amministrazione, diremmo, o una storia di profughi come tante. Ma c’è qualcosa che rende un po’ diverso questo ennesimo approdo in Sicilia di sventurati provenienti da lontano, ed è la catena di solidarietà improvvisata di fronte all’evento. E a raccontarcela è uno dei protagonisti, il primo impavido soccorritore che, assieme a una ragazza si è gettato in mare per aiutare la gente che ondeggiava sul barcone che, nel frattempo, dopo essere andato alla deriva a causa dei motori sabotati dagli scafisti, in un tentativo di traino con un peschereccio di passaggio, è rimasto incagliato tra gli scogli.

Marco Di Giovanni non ha l’aria di un eroe e, tanto meno l’atteggiamento. E’ qui, tra di noi, come spesso avviene, essendo un nostro collaboratore, a raccontarci con semplicità gli eventi di quel mattino, senza la benché minima consapevolezza di essersi ritrovato, anche se per caso, un piccolo eroe.

“Il barcone distava dalla spiaggia poco più di 25 metri – racconta Marco -. Sarebbe stato semplice raggiungere la terra ferma a nuoto, ma il mare era troppo mosso e le persone che stavano sul barcone erano prevalentemente donne e bambini. Tanti bambini – ribadisce Marco – e molti di loro, piccolissimi, alcuni di pochi mesi. Al di là dell’età e del sesso, erano, comunque, tutti quanti stremati. Nessuno di loro aveva le forze per gettarsi in mare e raggiungere a nuoto la battigia”.

Finalmente arriva la Capitaneria di Porto, avvisata da una villeggiante. Il comandante comincia immediatamente a coordinare telefonicamente le operazioni di soccorso. E’ privo di uomini e mezzi. Tenta di trasportarli a Marzamemi, trainandoli con le corde, ma il vento di maestrale non lo consente. Il barcone è fortemente incastrato tra gli scogli. Le corde si spezzano continuamente. Dopo mezz’ora di tentativi, l’operazione traino viene abbandonata. Il comandante decide di fare sbarcare gli sventurati passeggeri sulla stessa spiaggia e avvisa la Capitaneria che sta iniziando le operazioni di sbarco.

“Lui – racconta Marco – è il primo a buttarsi in acqua e a raggiungere il barcone. Noi lo seguiamo. Il gommone della Capitaneria fa da scaletta per favorire il passaggio dal loro barcone. Il nostro intervento ha fatto da traino e da stimolo agli altri turisti”.

Nel giro di pochi minuti, dopo una iniziale esitazione, legittima, si crea una vera e propria catena che vede coinvolti tutti i turisti che, uno dopo l’altro, tra un passaggio e l’altro, trasportano i profughi sulla spiaggia, dove altri turisti li accolgono con tovaglie, vestiti, cibo, acqua e ogni altro elemento di prima necessità.

Ma c’è chi va oltre e non esita a salire sul barcone, le cui condizioni igieniche sono ad alto rischio per i locali.

“Un pescatore del luogo – riprende Marco – per favorire il passaggio dal barcone al gommone della Capitaneria, non ha esitato un solo attimo a salire sullo stesso barcone. Davanti a lui si è aperto uno scenario drammatico: spazi ristretti, persone stipate, odore acre di sofferenza umana, una botola al centro del barcone; unico servizio igienico per 200 persone”.

Con la cifra impiegata da ciascun passeggero, non avrebbero certo potuto pretendere di viaggiare dalla Siria con una nave da crociera, ma 2 mila Euro pro capite dissanguano qualsiasi famiglia. I passeggeri rappresentavano prevalentemente interi nuclei familiari. Famiglie, in molti casi, benestanti in Siria e con una posizione di tutto rispetto nel proprio paese, fuggiti dalla guerra e approdati in Sicilia con destinazione Lampedusa. Molti di loro non sapevano neppure di essere in Italia.

“Una traversata lunga e sofferta vissuta, comunque, con grandissima dignità – sottolinea Marco -. Si sono lasciati aiutare con umiltà e fiducia. Hanno manifestato infinita gratitudine nei nostri confronti. Non c’è stato nessun tentativo di fuga. Hanno mantenuto grandissima compostezza. Si sono, persino, adoperati per ripulire. Non dimentichiamo, comunque – conclude Marco – che stiamo parlando di gente fuggita dalla guerra e approdata in Sicilia, non perché alla ricerca di una vita migliore, ma, semplicemente, per sfuggire alla morte”.

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