Il suo esordio avviene giovanissima in radio. Subito dopo esordisce in teatro. Ma è alla nascita delle Tv private che Mary Cipolla entra nel cuore del grande pubblico. Da allora, la sua carriera si è consolidata sempre più portandola a Roma dove, lavora nel mitico locale di Lando Fiorini, punto di partenza o di passaggio di molti comici di pregio come Banfi, Gullotta, D’Angelo, solo per citarne alcuni. A Roma trascorre più di dieci anni ed è proprio a Roma che, con il regista Paolo Virzì, inizia la sua esperienza col cinema. Qui ha un bel ruolo nel film Tutta la vita davanti, vincitore del Leone d’oro a Venezia. Recentemente, l’abbiamo vista nella serie TV di Ficarra e Picone Incastrati, andata in onda su Netflix. Ma è il palcoscenico quello che rende Mary Cipollaun’icona del teatro siciliano
In tantissimi la seguono, soprattutto in teatro. Esilaranti le sue commedie e i suoi sketch. Ma non tutti sanno che Mary Cipolla insegna Lettere e Storia presso una Scuola Superiore. Ed è questo l’aspetto che oggi ci interessa scoprire di lei, perché…
Il dialetto nell’educazione dei giovani
Nelle sue performance teatrali fa a volte uso del dialetto. Secondo lei, può avere ancora un ruolo il dialetto siciliano nell’educazione dei giovani e nella costruzione di una identità più forte e consapevole?
Il collegamento che lei fa col siciliano rispetto ai giovani mi piace molto e incontra il mio interesse tant’è che lo scorso anno nella mia Scuola mi sono fatta promotrice di un progetto volto alla valorizzazione del dialetto come patrimonio identitario e veicolo di culture e tradizioni che vanno sicuramente conservate.
Canti, culti, cunti e pupi
Il progetto che ho intitolato Canti, culti, cunti e pupi in questo caso non prevedeva recite di ragazzi, ma incontri con artisti, visite guidate, conferenze. Tuttavia non sono state poche le occasioni in cui i ragazzi li ho fatti recitare in dialetto, mettendo in scena ad esempio Il cortile degli aragonesi, spassosissima farsa settecentesca o attingendo al mio stesso repertorio contemporaneo. La curiosità è che queste attività con i giovani precedono di molto il mio essere diventata una prof. Negli anni ‘90 affiancavo alla professione d’attrice proprio questo tipo di attività formative che l’Associazione Fata Morgana svolgeva col supporto degli enti pubblici: laboratori artistici nelle scuole del quartiere Cep di Palermo per prevenire la criminalità minorile, la biblioteca per bambini del Comune di Palermo LibroLibero e tante altre iniziative per lo più rivolte ai giovani e alle categorie disagiate.
Interesse sul territorio
Ha riscontrato un interesse anche da parte delle famiglie e della comunità locale verso le attività teatrali degli studenti? Crede che questo tipo di iniziativa possa avere un ruolo nel rafforzare i legami tra scuola e territorio?
Il teatro è un grande aggregatore sociale, la recita del figlio è un momento a cui i genitori cercano di non mancare e tende a coinvolgere gran parte della comunità scolastica, dall’altro lato la scuola, specie nei quartieri periferici, nelle realtà più limitrofe, spesso è l’unico punto di riferimento culturale e multifunzionale del territorio. Quindi sì, è una pratica che va mantenuta e incentivata, magari un giorno verrà introdotta come materia curriculare data anche la forte valenza formativa.
Autori siciliani più amati dai giovani
Quali sono gli autori siciliani che i suoi studenti amano e apprezzano di più? E per quali ragioni?
Se parliamo di autori teatrali che si studiano sui libri di testo come Pirandello, Verga, il grado di apprezzamento è direttamente proporzionale alla voglia che i ragazzi hanno di scoprire, di conoscere, di mettersi in “ascolto” del messaggio e della bellezza letteraria che questi autori veicolano attraverso le loro opere. Come vede non ho usato la parola “studiare”, ma in fondo tutti i verbi che ho riferito rientrano in quell’ambito. E, sarà perché insegno in un alberghiero, per quante strade alternative si tentino (visione di film, video, ecc.) la maggior parte dei ragazzi è piuttosto disinteressata.
Ruolo del teatro siciliano nella tradizione
Il teatro dialettale siciliano ha ancora il suo potenziale per preservare e valorizzare la cultura e le tradizioni della Sicilia?
Ci sono attori, autori e comici siciliani che puntano esplicitamente su questo. Non possiamo non pensare al teatro dei pupi. Un teatro siciliano per eccellenza, consacrato dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità, per la sua valenza storica, letteraria, artigianale. Ed è un genere che per la sua specificità va preservato così com’è, non necessita di aggiornamenti e innovazioni. Detto questo però, io penso che ogni tempo debba avere il suo teatro, essere lo specchio dei suoi tempi. Una commedia di teatro popolare scritta e messa in scena oggi non deve scimmiottare le commedie di tradizione. Deve raccontare la società odierna e quindi usare il siciliano se il contesto lo richiede.
Il cabaret
L’esperienza del cabaret, forma teatrale più libera da schemi e spesso affidata a grandi mattatori della scena ha rinnovato il teatro siciliano e oggi anche le commedie risentono di quell’influenza. Trovo interessante la scelta di alcuni teatri cittadini, che mi vede peraltro direttamente coinvolta, di mettere in scena opere di drammaturgia contemporanea: commedie, recital teatral/musicali in cui il dialetto compare più o meno massicciamente. Certo, si va incontro al gusto del pubblico che preferisce il genere brillante e il siciliano in tal senso è vincente. Ma non è solo un fatto di cassetta, di mercato. Il comico si esprime naturalmente nel linguaggio che gli è proprio, fa sentire la sua provenienza; sta a lui mettere i contenuti adeguati, il più possibile originali, intelligenti e sagaci e non rifugiarsi nella banalità o peggio nella volgarità. Personalmente riguardo al dialetto non ne faccio un grande uso, lo limito ad espressioni e battute che si inframmezzano in un discorso essenzialmente in lingua. Forse il fatto di aver lavorato molto fuori mi ha influenzato in tal senso.
La sicilianità di alcuni personaggi non passa necessariamente per l’uso del dialetto, sono l’intonazione, l’atteggiamento, la mimica, in una parola l’interpretazione a renderlo più o meno autentico e credibile.
Teatro è cultura, ma anche tante altre cose
Il teatro siciliano è cultura, ma anche esperienza psicologica e sensoriale. Recitare insegna a interpretare ed esprimere i sentimenti, a mettersi nei panni degli altri, a conoscere il pensiero dei grandi autori. Porta, inoltre, all’apertura verso il mondo. Gli studenti hanno imparato ad amare di più la letteratura e a sviluppare una maggiore empatia nei confronti degli altri attraverso l’esperienza teatrale?
Mi devo ricollegare a quanto detto prima su quanta voglia abbiano gli studenti di oggi, distratti da mille attrazioni, prima tra tutte gli smartphone, di studiare e in particolare di scoprire le bellezze della nostra letteratura. L’esperienza teatrale, che ovviamente non è di tutti ma solo di chi ha voglia di mettersi in gioco, è un’esperienza fantastica sotto questo profilo. Ma al di là del fatto letterario, come già dice la sua domanda, il fatto di prendere i panni di un altro, di dare al personaggio emozioni che passano attraverso il proprio corpo, è una eccezionale esperienza educativa. Divento altro da me, esco dal mio solo punto di vista, mi apro, lavoro in gruppo e capisco che il risultato si è realizzato grazie all’impegno di tutti, che anche chi dice solo una battuta è parte essenziale del progetto.
Un aneddoto curioso
C’è un aneddoto o un ricordo speciale legato ai suoi studenti o al teatro che vorrebbe condividere con noi?
C’è, e purtroppo porta con sé una carica di commozione non indifferente. Nel 2015, un mio alunno di prima superiore, grazie a un laboratorio teatrale in cui avevamo messo in scena Cavalleria Rusticana, si appassionò così tanto al teatro che mi espresse il desiderio di venire a vedere un mio lavoro. Ovviamente, fui felice di invitarlo. Successivamente, mi disse che era questo quello che voleva fare da grande. Mi chiese anche se potevo aiutarlo a partecipare come comparsa in qualche film. Gli dissi che quando avrei saputo di provini glielo avrei fatto sapere. Io l’anno seguente mi assentai parecchio da scuola per un problema di salute e lui mi inviò un messaggio: Prof, mi devo preoccupare? Lo tranquillizzai e seppi che con un altro collega stava continuando a fare un laboratorio di teatro. Ma quando tornai in servizio, ormai l’anno seguente, e chiesi di lui appresi che un incidente di macchina l’aveva ucciso con tutta la sua famiglia. Lui era stato l’ultimo ad andarsene rimasto in ospedale per alcuni mesi tra la vita e la morte.
Un premio in ricordo
Un ragazzo mite, delicato, un ragazzo a cui avevo trasmesso la passione per il teatro. Pensai: se l’avessi saputo avrei potuto tentare, andando a trovalo di parlagli. Uno stimolo forse l’avrebbe aiutato ad uscire dal coma… o forse no. Mi parlarono di condizioni disperate, estremamente gravi. Una enorme pena mi invase: Lui non c’era più! Ma era come se il suo desiderio fosse ancora lì, appeso, aspettava ancora un’occasione. Nel seguente laboratorio di teatro, volli istituire un premio. Un premio ufficiale, con tanto di firma del preside. Non fu facile, ma ci riuscìi perché lo volli con tutte le mie forze. Un premio a chi nell’attività si fosse distinto per passione, regolarità di frequenza, impegno. Una targa che ricordasse Mattia Orestano. Ho cercato invano il fratello, l’unico superstite perché lo consegnasse lui. Ma lì c’era ancora una famiglia, quella della sua scuola (1 l’I.I.S. Ugo Mursia di Carini) a ricordare un giovane talento sfortunato. Il premio è arrivato alla terza edizione. Poi, non ho più condotto laboratori con spettacolo finale, ma se ce ne sarà l’occasione Mattia sarà “presente”.