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Assegno divorzile per chi rinuncia al lavoro

Riconosciuto il diritto all'assegno divorzile in favore del coniuge che rinuncia al lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla prole...

di Redazione

Riconosciuto il diritto all’assegno divorzile in favore del coniuge che rinuncia al lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla prole

 

Avv. Giovanni Parisi

Con  una recente sentenza (n. 9868/2017) la IX Sezione Civile del Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto a percepire l’assegno divorzile da parte dell’ex coniuge richiedente che in costanza di matrimonio abbia rinunciato ad esercitare un’attività lavorativa al fine di occuparsi esclusivamente della crescita dei figli, e che per ragioni di età ormai avanzata sia ad oggi estromessa dal mercato del lavoro.
Nell’ambito di un giudizio di divorzio, la ex moglie domandava al tribunale la determinazione in proprio favore di un contributo post-coniugale, per essere la stessa priva di redditi propri e dunque non economicamente autosufficiente; in particolare, spiegava la richiedente che durante la convivenza coniugale, e dunque prima della crisi sfociata nel divorzio, fosse intervenuta tra le parti la concorde determinazione di non esercitare attività lavorativa da parte della moglie, all’esclusivo scopo di provvedere a tempo pieno alla crescita ed alla educazione dei figli nati in costanza di matrimonio, e ciò anche in forza della solida posizione reddituale del marito. Dopo oltre 20 anni di convivenza coniugale (e conseguentemente di inattività lavorativa da parte della ricorrente, la quale aveva frattanto “investito” il suo futuro personale e patrimoniale nel benessere e nella integrità familiare), il rapporto matrimoniale tra le parti diveniva intollerabile e pertanto si procedeva dapprima alla separazione personale dei coniugi e successivamente allo scioglimento del matrimonio. In quest’ultima fase, la moglie richiedente deduceva (ed evidentemente provava) la totale assenza di redditi propri (la stessa non era titolare nemmeno di cespiti immobiliari), nonché la impossibilità – concreta ed attuale – di procurarseli per ragioni oggettive, in forza della età ormai avanzata (ultracinquantenne), che l’aveva ormai tagliata fuori dal mondo lavorativo e non le consentiva alcun reinserimento.

I Giudici meneghini, nell’accogliere la domanda spiegata dalla moglie, preliminarmente richiamano la ormai celebre sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione (tanto celebre da essere divenuta spunto per una prossima riforma della legge n. 898/1970) la quale, superando il consolidato orientamento tendente ad ancorare il diritto a percepire l’assegno divorzile al riequilibrio delle condizioni reddituali riferite al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ha inteso indicizzare il suddetto diritto al criterio di autosufficienza economica attualizzata al momento della domanda, in nome del principio di “autoresponsabilità economica post-coniugale”. Sulla scorta di tale principio, ai fini dell’assegno dovrà verificarsi la ricorrenza di due condizioni interdipendenti: la prima, volta al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile nel presupposto che il richiedente sia privo di mezzi adeguati, o comunque sia impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento alla “indipendenza o autosufficienza economica”, desunta dagli indici forniti dalla stessa S.C. (redditi da lavoro e/o similari, capacità concrete di lavoro, cespiti patrimoniali, disponibilità della casa di abitazione); la seconda, concernente l’indagine sulla quantificazione dell’assegno sulla scorta degli indici di cui alla legge divorzile (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”, valutati anche in rapporto alla “durata del matrimonio”).

Nella specie, il collegio decidente, nell’affermare che la impossibilità di ottenere la indipendenza economica da parte della richiedente sia derivante da ragioni obiettive – la incapacità lavorativa in ragione della età e degli anni di inattività in ambito professionale – ha ritenuto rilevante, in rapporto alla durata del matrimonio ed alla effettiva capacità reddituale del marito, la cura ed il contributo personale alla conduzione familiare e della prole (preventivamente concordata tra le parti) elargita dalla moglie in tutto l’arco della convivenza matrimoniale, tale da prevalere sulla esigenza di realizzazione professionale ed economica. Conseguentemente, il mancato reperimento di un’attività lavorativa idonea a rendere economicamente indipendente l’ex coniuge richiedente, è agli occhi del tribunale una circostanza che nel caso concreto trova piena giustificazione nella totale dedizione prestata alla crescita dei figli e nel contestuale annullamento della propria realizzazione personale e professionale.

Caso diverso, invece, è quello esaminato recentemente dal Supremo Collegio nella ordinanza n. 25697/2017, in cui è stato negato il diritto a percepire l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge il quale, pur avendone le capacità, non ha inteso reperire attività lavorativa per inerzia, ovvero per rifiuto senza giustificato motivo di proposte di lavoro tali da garantire quella indipendenza economica fortemente voluta dalla Cassazione quale proiezione concreta del principio di responsabilità post-coniugale.

 

 

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