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Lavori condominiali e accesso agli appartamenti privati

L'avvocato Dario Coglitore, con questo articolo, torna a occuparsi di questioni condominiali, soprattutto di lavori che, sebbene di interesse comune, implicano la necessità di accedere agli appartamenti privati. Ci si può rifiutare di far accedere gli operai in casa propria per risolvere una questione condominiale? Scopriamolo insieme.

di Dario Coglitore

Lavori condominiali: poche gioie, tanti dolori. Non è raro, nel quotidiano, imbattersi nella necessità di dover realizzare interventi di manutenzione o riparazione delle parti comuni di un edificio condominiale.
Tale necessità, spesso, porta con sé l’esigenza di accedere alle unità immobiliari di proprietà esclusiva per effettuare i suddetti interventi creando, talvolta, disagi ai condòmini interessati, soprattutto se occorre effettuare dei saggi ispettivi e, quindi, intervenire localmente sulle pareti o sul pavimento.

In tale ipotesi ci si chiede se il condòmino è obbligato a prestare la sua collaborazione e consentire l’accesso nel proprio appartamento.

Lavori condominiali e abitazione privata

In assenza di prescrizioni regolamentari e quando non è possibile raggiungere un accordo con l’interessato per l’accesso alla propria abitazione viene in soccorso l’art. 843 c.c. il quale dispone che: “il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera del vicino oppure comune. Se l’accesso cagiona danno, è dovuta un’adeguata indennità”.

Si tratta chiaramente di una limitazione legale della proprietà, e precisamente una di quelle eccezioni a libero, pieno ed indisturbato godimento previste dall’art. 832 c.c. applicabile  anche in caso di immobili in condominio tanto è vero che i giudici di merito, in caso di rifiuto del consenso, hanno ammesso la tutela cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (Cass. Civ. n. 685/2006)

Accesso autorizzato se necessario

In sostanza il condomìnio è legittimato a richiedere al giudice un provvedimento che autorizzi l’accesso ed il passaggio nell’unità immobiliare da parte dell’amministratore e del tecnico per la valutazione dei lavori condominiali da eseguire, purché ciò risulti necessario.

Violazione di domicilio?

In assenza del consenso o di un provvedimento del giudice si può configurare  la fattispecie penale della violazione di domicilio (art. 617 c.p.) la quale punisce chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno.

Ma quando ricorre il presupposto della “necessità” che legittima l’accesso nella proprietà altrui ?
In tal senso la giurisprudenza ha evidenziato che “ai fini della riconosciuta necessità, cui l’art. 843 c.c. subordina la concessione dell’accesso sul fondo altrui, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo” (così Cass. n. 3494/75).

Il caso

In sostanza una valutazione da farsi caso per caso.
I principi sopra richiamati sono stati applicati dal Tribunale di Roma con la sentenza n.17498/2021.
Nel caso di specie, nella compagine condominiale erano state denunciate infiltrazioni provenienti dalla terrazza di proprietà esclusiva di una unità immobiliare.
L’amministratore di condomìnio si era attivato per risolvere il problema ed essendo necessaria un’apposita valutazione tecnica era stato stabilito dai tecnici incaricati di effettuare rilievi e saggi negli appartamenti coinvolti dai lavori condominiali.

condominio- avvocato

I condòmini interessati avevano collaborato con i tecnici incaricati dal condomìnio facendoli entrare nelle proprie abitazioni ad eccezione di una condòmina.
A tal proposito, il giudice riconosceva che l’accesso alla proprietà esclusiva, disciplinato dall’art. 843 c.c., deve essere consentito all’amministratore, quale legale rappresentante del condòminio, ai tecnici o al personale da questi incaricato, quando esso sia necessario al fine della manutenzione di beni o servizi comuni, purché la richiesta di accesso dell’amministratore sia ragionevole e non strumentale in quanto ciò può creare disagi ai condòmini interessati.

Pertanto, il tribunale ha condannato la condòmina convenuta a consentire l’accesso al proprio appartamento al tecnico incaricato dal condòminio, con la collaborazione dei propri assistenti e con l’eventuale presenza dell’amministratore condominiale.

L’indennità eventuale

Resta da chiedersi se il condomino che consenta l’accesso abbia diritto a percepire un indennizzo.
Il secondo comma dell’art. 843 c.c., in effetti, prevede che se l’accesso causa danno è dovuta un’indennità (al proprietario della porzione di piano, s’intende).
Al riguardo, è dubbio, in giurisprudenza, se questa indennità debba essere riconosciuta solo a posteriori o se, invece, la si debba riconoscere, sempre, preventivamente.

La Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che sul punto “si rilevano due opposte correnti di pensiero, a cui fanno capo due differenti orientamenti giurisprudenziali, […]: l’una ritiene che l’indennità debba essere liquidata solo in caso di danni, poiché l’accesso al fondo del vicino, per la esecuzione di un’opera, permette implicitamente che l’accesso sia accompagnato dal deposito di cose strumentali all’esecuzione dell’opera, con il conseguente obbligo del depositante di provvedere, a sua cura e spese, al ripristino dello status quo ante, di tal che collega l’indennità all’ipotesi di danni ulteriori oltre quelli connessi alla semplice occupazione del suolo; l’altra ritiene che l’obbligo imposto dall’art. 843 c.c., al proprietario di consentire al vicino l’accesso al suo fondo per la costruzione o riparazione di un’opera e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino di accedere al fondo attiguo allo stesso fine, hanno natura di limitazioni legali della proprietà e intende, invece, l’indennità come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi dell’occupazione. Orbene, atteso che la dottrina dominante considera l’obbligo del proprietario di consentire l’accesso o il passaggio del vicino come espressione di un’obbligazione propter rem, appare più confacente alla lettera della legge, considerare l’espressione “indennità” in riferimento ad un danno provocato da liquidarsi in via equitativa, fermo restante l’obbligo del vicino di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita” (Cass. Civ.  n. 1908/2009).
Come ogni orientamento giurisprudenziale, non può sottacersi che lo stesso può essere soggetto a mutamenti d’indirizzo.
Avv. Dario Coglitore

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