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La storia delle sorelle Pilliu

Pif e Marco Lillo rievocano la storia delle sorelle Pilliu. La storia di due sorelle da decenni perseguitate dalla mafia e tradite dallo Stato

di Pippo La Barba

La storia delle sorelle Pilliu. Maria Rosa e Savina Pilliu, due sorelle perseguitate dalla mafia e tradite dallo Stato, che non le ha riconosciute come vittime di mafia. Con il libro “Io posso” (Feltrinelli), il brillante autore regista, Pif e il vice direttore del “Fatto Quotidiano”, Marco Lillo denunciano una vicenda paradossale che fa riflettere sulle gravi inadempienze istituzionali in materia di diritti civili.

La storia delle sorelle Pilliu

La storia delle sorelle Pilliu comincia nel 1943, quando il sergente maggiore Giovanni Pilliu da Lanusei sbarca a Palermo con la nave “Sabaudia”. Due anni dopo conosce la signora Giovanna Aresu, anche lei sarda. Si fidanzano e nel 49 si sposano. Dopo il viaggio di nozze, fatto naturalmente in Sardegna, decidono di restare lì. Una lite, però, tra Giovanna e la suocera li convince a tornare a Palermo. Nel giro di cinque anni nascono le due figlie Maria Rosa e Savina. Tutte e quattro vivono in una delle due palazzine dei nonni materni ubicate all’imbocco del Parco della Favorita. Quindi la famiglia per vivere apre due negozi di generi alimentari poco distanti dall’abitazione.

Gli eventi del 1960 che cambiano la situazione familiare

Tutto procede serenamente sino al 27 dicembre del 1960, quando muore il padre per un infarto fulminante. Successivamente, i due negozi di alimentari, per ragioni pratiche, diventano un unico negozio, gestito da mamma Giovanna.

L’interesse dei costruttori

Intanto gli anni passano, e nel 1979 viene fuori un chiaro interesse di costruttori palermitani all’acquisto del terreno su cui sorgono le due palazzine di pochi piani per far posto a una mega costruzione con relativo abbattimento delle stesse.

Il costruttore Rosario Spatola


Il primo di questi potenziali acquirenti si presenta al nonno delle Pilliu. E’ Rosario Spatola, costruttore e mafioso, che ha un terreno limitrofo dove intende costruire in grande.

Il costruttore Pietro Lo Sicco


Dopo una serie di proposte, tutte respinte, anni dopo è la volta di un altro costruttore, anch’egli in odore di mafia. Si tratta di Pietro Lo Sicco, che nel 1985 aveva comprato lo stesso terreno da Rosario Spatola, caduto nel frattempo in disgrazia per guai giudiziari (arrestato per mafia nel 1979). Il 25 ottobre 1988, tre anni dopo l’acquisto del terreno, Lo Sicco dichiara davanti al Notaio Francesco Pizzuto che la sua Lopedil Costruzioni S.r.l. è proprietaria del lotto di terreno edificabile, alcune particelle del quale sono invece di proprietà di Giovanna Aresu, nonna delle sorelle Pilliu.

Lo Sicco ordina la semi demolizione


Quindi procede alla semi demolizione.

La richiesta di risarcimento delle Pilliu

Tramite il proprio avvocato, le Pilliu reclamano un risarcimento prima in Prefettura, poi in Pretura, ma è una lotta di David contro Golia. Pietro Lo Sicco ha sempre dalla sua parte gli alleati giusti al posto giusto. Poi finalmente arriva la sentenza d’Appello che condanna Lo Sicco per concorso esterno in associazione mafiosa. Il Pretore nomina un consulente tecnico d’ufficio, l’ing. Capritti, perché verifichi se le case delle Pelliu abbiano subito un danno dalle operazioni di demolizione effettuate dallo stesso Lo Sicco.

Secondo il consulente non è colpa di Lo Sicco se le case sono pericolanti

Il consulente eccepisce che le stesse case sono talmente vecchie che non è colpa di Lo​ Sicco se sono pericolanti. Silenzio assordante da parte degli uffici dell’Edilizia Privata del Comune. Così le sorelle partono al contrattacco e si incontrano con una persona che fa parte della storia d’Italia: il giudice Paolo Borsellino. Purtroppo Borsellino poco dopo l’incontro verrà assassinato.

Lo Sicco condannato in via definitiva

Nel 2004 una buona notizia. Pietro Lo Sicco è condannato in via definitiva per truffa pluriaggravata, falso ideologico e corruzione. Viene riconosciuto colpevole di essersi spacciato come proprietario delle case e del terreno appartenenti ad Aresu – Pilliu.

Dopo 16 anni, lo Stato riconosce che non appartengono a Lo Sicco

Lo Stato dopo sedici anni finalmente riconosce che quelle due palazzine non appartengono al costruttore legato alla mafia. Grazie alla caparbietà di due sorelle sarde e alla determinazione dell’associazione “Addio Pizzo” si è raggiunto un primo riconoscimento.


La storia delle sorelle Pilliu non finisce qui

Purtroppo la storia delle sorelle Pilliu non finisce qui.
Le Pelliu chiedono i danni materiali e morali. Nel 2015 vengono quantificati i danni morali, pari a 218 mila euro, risarcite dal Fondo Nazionale per le vittime della mafia, dato che lo Sicco è stato dichiarato fallito.
Soltanto nel 2018, quindi trent’anni dopo l’inizio di tutta la storia, riescono ad avere anche il risarcimento dei danni materiali.

Riconosciuti 780 mila euro più interessi alle Pilliu per i danni patiti e poi rigettati

Complessivamente dovrebbero incassare quasi 780 mila euro più interessi per i danni patiti. Ma il 17 aprile 2019 tutte le richieste inoltrate tramite la Prefettura dall’avv. Falgares al Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso vengono rigettate.
Il motivo?
Appellandosi alla legge del 1999 che prevede per il riconoscimento di vittima della mafia una relazione tra il danno subito e l’atto mafioso, il Comitato conclude che non è stata la mafia a buttare giù le casette delle Pelliu ma un costruttore che, successivamente, (sic!) è stato condannato per concorso con la mafia.

Al danno la beffa

In ultimo, al danno si aggiunge la beffa! L’Agenzia delle Entrate chiede alle sorelle Pelliu di pagare il 3 per cento della somma di 780 mila euro deliberata ma mai percepita! E’ questo uno dei motivi per cui lodevolmente PIF e Marco Lillo hanno scritto questo libro, con l’impegno di devolvere il ricavato per ottemperare a questa assurda richiesta dello Stato.
A cura di Pippo La Barba

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