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Sale and lease back, dagli Usa al nostro ordinamento

I vantaggi che derivano dal sale and lease back sono numerevoli e attengono sopratutto alla sfera fiscale nonché alla possibilità di ottenere liquidità evitando formalmente un conseguente indebitamento rilevabile in bilancio.

di Dario Coglitore

Con l’espressione sale and lease back si intende un’operazione in cui un’impresa vende (“sale”) un bene di sua proprietà ad una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria (“lease back”) alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore.
Questa tipologia contrattuale nasce negli Stati Uniti e solo recentemente si è diffusa nel nostro ordinamento raggiungendo lo status di contratto socialmente tipico che, come tale, è, in linea di massima, astrattamente valido.
Non va confusa con lo schema di leasing tradizionale poiché, diversamente da quest’ultimo, l’obiettivo dell’utilizzatore non è quello di godere di un bene estraneo alla sua sfera di disponibilità, ma di continuare a godere di un bene di cui è già proprietario e che, per esigenze organizzative e di liquidità, preferisce condurre in locazione.

I vantaggi fiscali dell’operazione

I vantaggi che derivano dal sale and lease back sono numerevoli e attengono sopratutto alla sfera fiscale nonché alla possibilità di ottenere liquidità evitando formalmente un conseguente indebitamento rilevabile in bilancio.
L’operazione in commento però ha da sempre destato molteplici dubbi circa la sua compatibilità con il divieto del patto commissiorio previsto dall’art. 2744 c.c., alla stregua del quale “è nullo quel patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno sia trasferita al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno ”.
La ratio sottesa al citato articolo è quella di evitare che il creditore, in caso di inadempimento del debitore, soddisfi le proprie pretese mediante una diretta acquisizione del bene offertogli in garanzia pregiudicando così i diritti di eventuali creditori concorrenti (principio della c.d. par condicio creditorum).

Il divieto del patto comissorio

Inoltre si vuole impedire che il debitore, contraente debole, consapevole della propria deficitaria posizione economica, sia spinto a programmare la futura attribuzione del bene all’acquirente-creditore prima ancora che si verifichi un inadempimento, esponendosi in tal modo alla coartazione del contraente più forte.
La giurisprudenza ha chiarito che il divieto del patto commissorio si estende a qualsiasi negozio che venga impiegato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento ed è ravvisabile anche “di fronte a più negozi tra loro collegati quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia” (Cass. Civ. Sent. n. 9466/04).
Ebbene, nel caso del sale and lease back, si osserva, l’ipotesi del mancato pagamento del canone previsto dal contratto di locazione finanziaria di ritorno potrebbe portare ad un risultato analogo a quello vietato dall’art. 2744 c.c.

Verificare caso per caso

È dunque necessario verificare, caso per caso, la presenza di indizi sintomatici volti ad evidenziare che la vendita è stata posta in essere in funzione di garanzia ed è, pertanto, diretta ad aggirare il divieto del patto commissorio.
Partendo dal dato fattuale, la locazione finanziaria di ritorno presenta uno schema contrattuale astrattamente valido, essendo, com accennato, un contratto di impresa socialmente tipico.
La linea di confine, dunque, va tracciata considerando se, di volta in volta, si tratta di un contratto di finanziamento, con tutte le caratteristiche a questo connesse, tra cui la preminente utilità economica, oppure di una vendita con funzione di garanzia, come tale nulla ex art. 1344 c.c.

Strumento di facciata?

La giurisprudenza infatti ha charito che “è nulla la convenzione mediante la quale le parti abbiano inteso costituire con un determinato bene una garanzia reale in funzione di un mutuo, istituendo un nesso strumentale tra la vendita del bene ed il mutuo, in vista del perseguimento di un risultato finale consistente nel trasferimento della proprietà del bene al creditore-acquirente nel caso di mancato adempimento dell’obbligazione di restituzione del debitore-venditore” (Cass. Civ. Sent. n. 1675/2012).
Il contratto di sale and lease back costituirebbe in tal senso solo uno strumento di facciata finalizzato a mascherare un patto commissorio.
La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 21042/2017 individua tre “elementi ordinariamente sintomatici della frode alla legge”, elementi che se presenti nel caso di specie compromettono la liceità del contratto di locazione finanziaria di ritorno.

Operazione fraudolenta?

In particolare, l’operazione contrattuale può definirsi fraudolenta nel caso in cui si accerti la compresenza delle seguenti circostanze:
a) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice;
b) le difficoltà economiche di quest’ultima;
c) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente.
Non è escluso, però, che le parti, al fine di scongiurare la illiceità della operazione, prevedano il c.d. patto marciano quale strumento per escludere la sproporzione tra valore del bene acquisito dal creditore ed entità del debito non corrisposta.

Patto marciano

Trattasi di una clausola con cui si mira ad impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore all’ammontare del suo credito, stabilendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento al venditore dell’importo eccedente l’entità del credito.
Secondo quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1625/2015 “il cosiddetto patto marciano è strumento idoneo a scongiurare l’illiceità, permettendo l’uso di un contratto finanziario, quale il “lease back”, ritenuto vantaggioso dagli utilizzatori”.

Clausole di tutela

Sebbene i recenti orientamenti giurisprudenziali abbiano contribuito a demarcare in modo sempre più profondo e utile il confine tra il “sale and lease back” ed il divieto di patti commissori, appare consigliabile l’introduzione di una clausola che consenta di scongiurare il rischio di approfittamento, da parte del creditore, dello stato di sovraindebitamento del debitore, mediante idoneo meccanismo di stima del bene e restituzione dell’eccedenza.
Qualora detta previsione contrattuale mancasse, si correrebbe il rischio di incappare in una pronunzia di illiceità del negozio, come evidenziato dalla giurisprudenza.

Le ragioni del creditore

Tra l’altro, il nostro ordinamento prevede già istituti che consentono la piena realizzazione delle ragioni del creditore salvaguardando la tutela del diritto del debitore a pagare a quanto in effetti dovuto, e nulla di più. Si pensi esempio all’art. 1851 c.c., circa il pegno irregolare a garanzia, e gli artt. 2803 e 2804 c.c. che disciplinano, rispettivamente, la riscossione del credito scaduto dato in pegno, e l’assegnazione al creditore pignoratizio del credito dato in pegno, ma solo “fino a concorrenza del suo credito”.
In ogni caso, la causa concreta del contratto di sale and lease back può ben essere piegata al fine illecito vietato dall’art. 2744 c.c., e l’effetto illecito perseguito dipenderà dalle circostanze concrete e dalle clausole negoziali presenti nell’accordo, basandosi su tali elementi fattuali la corretta qualificazione complessiva della fattispecie.

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