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Grani antichi e farine. Siamo tutti con le mani in pasta

Grani antichi, questi sconosciuti. Sappiamo veramente quali sono? E come utilizzarli al meglio?

di Clara Di Palermo

Il nostro pane quotidiano è stato oggetto di milioni di post su Facebook e tutti i social in questi mesi di isolamento per la pandemia. Tutti abbiamo fatto il pane e la pizza in casa, impastato, lievitato, cotto e….mangiato. In tanti si è disquisito su farine, grani antichi, miscele di farine, lunga lievitazione, lievito madre e così via. Ma in quanti, in realtà, sanno cosa c’è dietro (o, meglio….dentro) al pacco di farina che compriamo al supermercato o al negozio bio?
Certo è che le farine in commercio sono per buona parte estere, l’Italia non riesce a produrre a sufficienza per soddisfare tutta la domanda e se dovessimo utilizzare solo grano nazionale, resteremmo senza pasta e pane per quasi metà dell’anno. L’industria della pasta assorbe buona parte della quantità di grano che transita per il nostro paese, grano che arriva da diversi paesi esteri che non sempre rispettano i rigidi disciplinari che la Comunità Europea, invece, impone alle nostre produzioni. E sapete quali sono i paesi maggiori produttori di grano? Al primo posto, a livello mondiale, vi è la Cina, seguita da India e Russia. Una buona percentuale arriva anche dagli Stati Uniti. Tra i paesi europei, invece, a detenere il primato è la Francia.

Cosa sappiamo sul grano?

Una cosa che molti non sanno è che ci sono produzioni di grano estivo e produzioni invernali. Queste ultime si seminano in autunno e il raccolto avverrà, poi, nell’agosto dell’anno dopo. Questi grani invernali sono i più ambiti dall’industria di trasformazione poiché contengono molto glutine e hanno, dunque, un’altissima resa per la panificazione o i prodotti dolciari.
Ultimamente, però, si sente parlare sempre più spesso dei grani antichi. Il termine è parecchio abusato, soprattutto a fini pubblicitari, con l’intento di conferire particolare pregio a un prodotto. Ma quali sono i grani antichi? Dal Senatore Cappelli al Timilìa, dal Duilio, al Saragolle al Khorasan (ossia il Kamut) sono quelli le varietà conosciute sin dall’antichità, quelle varietà “primarie” dai cui incroci sono nati altri tipi di grano che risultano essere più proficui per la trasformazione. Un po’ come quando si fanno accoppiare dei campioni di una determinata razza animale, per generare altri campioni, così dall’incrocio delle migliori sementi e dalle sperimentazioni per piccole variazioni genetiche (senza arrivare alle più recenti modificazioni genetiche), si è arrivati ad ottenere, già nelle prime decadi del secolo scorso, grani con elevata percentuale di glutine. Questo ne consente una lavorazione con tempi ridotti, gli impasti risultano molto elastici e quindi più lavorabili e rendono possibile, ad esempio, l’essiccazione della pasta a temperature elevate con un notevole risparmio di tempo.

Ancora un social lunch

Quello del grano e delle farine, e del loro utilizzo, è un mondo nel quale si rischia di perdersi, tanto è vasto. Nel corso di uno dei social lunch promossi da Impact Hub, abbiamo avuto modo di parlare di grani antichi e di farine e abbiamo ascoltato il racconto di Monica Consoli. In un antico casolare di Viagrande, vicino Catania, la Consoli tiene cooking class, organizza pranzi nella sua Cucina del Sole, si occupa anche di ospitalità ma, soprattutto, parla di tradizione.
“Perchè la tradizione è importante, non è una palla al piede. Dobbiamo riprendere e prendere contatto con le materie prime del posto in cui ci si trova, prendere e utilizzare le ricette di quel posto” – dice la Consoli.
“I grani ricchi di glutine hanno favorito il sorgere di numerose allergie e intolleranze, per questo fare grande attenzione ai grani che si usano è molto importante”.
Perché grani come il Russello o Maiorca sono migliori?
“Innanzitutto perché hanno una quantità di glutine, in percentuale, molto inferiore a grani moderni. Il Maiorca è un grano tenero, con meno del 50% di glutine, mentre ci sono grani che arrivano al 90%, ecco perché le allergie… Il Russello (che deve il nome al colore rossastro del grano), invece, ha meno del 55% di glutine e ci regala una farina bionda profumatissima. La Maiorca è una farina perfetta per i dolci e va molto bene anche per le paste all’uovo”.

C’è differenza nel gusto?

“A mio avviso sì, hanno vantaggi in termini di gusto. Io li utilizzo al posto degli altri, li utilizzo per tutte le ricette. Ad esempio, io faccio le bucce dei cannoli con la farina Maiorca, con ottimi risultati. E sono grani coltivati e macinati, anche con grandi sacrifici, per quantità non industriali, anche nella nostra Sicilia. Nella parte sud Orientale dell’Isola c’è una produzione di Russello.
Queste farine antiche non vengono usate, spesso, perché si preferisce utilizzare quelle farine contrassegnate dalla W, con un numero accanto, che è l’indice di forza. La più famosa di queste farine è la manitoba con cui originariamente si indicava solo la farina che veniva dal Canada. L’indicatore di forza ci dice quanta acqua è in grado di trattenere quella farina (e quindi di gonfiarsi) e alla fine si noterà che l’impasto realizzato con queste farine, sarà molto pesante. Ma si otterrà un prodotto molto di apparenza e di poca sostanza”.

Scegliere consapevolmente

Quindi si deve acquistare con consapevolezza.
“Tutto dipende da noi. Se noi ci impegniamo nel non volere acquistare roba tossica, di scarsa qualità e che risponda solo a esigenze di mercato, tutto sarà più semplice. Gli impasti fatti con la manitoba sono sconsigliati, trattengono moltissima acqua e, in buona sostanza, abbiamo ottenuto un prodotto gonfio, pesante e voluminoso ma poco nutriente. Dobbiamo attuare una rivoluzione silenziosa, riconnetterci con la cucina buona e impegnarci a scegliere veramente bene quello che compriamo. In questo periodo abbiamo visto quanto sia bello riscoprire la cucina, quanto sia soddisfacente e rilassante “mettere le mani in pasta”. È un atto che ci ricorda azioni del passato..si crea un legame dal passato a noi che lo trasmetteremo al futuro. Mi dà l’idea del divenire”.

La ricetta: ecco come fare la pizza in casa

Allora approfittiamo della sua esperienza e le chiediamo di rivelarci un segreto: quello dell’impasto per la pizza. Con le dosi per una riuscita sicura.
“Volentieri. Iniziamo dagli ingredienti. Per 500 gr totali di farina, miscelate 250 gr di semola (perfetta la Russello) e 250 gr di Maiorca, setacciatele insieme. 15 gr di sale, 5 cucchiai di olio Evo, 1 cucchiaio di zucchero, 250/280 ml di acqua tiepida nella quale sciogliere 12 gr di lievito. Impastiamo a lungo, possiamo farci aiutare inizialmente da un’impastatrice, se si vuole, ma poi continuiamo a mano, e poi mettiamo in una ciotola coperta da un canovaccio, copriamo e mettiamo a lievitare al riparo. È importante sapere che possiamo gestire la quantità di tempo e di lievito: se diminuiamo il lievito, possiamo aumentare il tempo di lievitazione. Addirittura possiamo far lievitare l’impasto anche tutta la notte”.

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