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Il diritto alla provvigione dell’Agente per la Tutela del Credito

Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento

di Redazione

L’attività dell’agente esattoriale espletata per conto di società di recupero crediti stragiudiziali, che prevede la iscrizione al relativo elenco di “Agente per la Tutela del Credito – ATC”, giusta le direttive 2011 del Ministero dell’Interno, inquadra tale figura nel ruolo di mandatario con o senza rappresentanza (rispettivamente, ai sensi di cui all’art. 1704 e 1705 c.c.) per lo svolgimento di “servicing” per la gestione stragiudiziale di posizioni di sofferenza debitoria, telefonica e/o domiciliare per fasce di zona.

Al suddetto inquadramento si inserisce altresì il richiamo all’istituto del rapporto di agenzia (ex art. 1742 c.c.), essenzialmente collegato alla natura dell’attività espletata dall’agente, dal quale deriva in suo favore il diritto di percepire le provvigioni (calcolate in percentuale sul riscosso, in misura disciplinata dal contratto) maturate per gli affari conclusi grazie al suo intervento.

La necessità del mandato

In altri termini, l’agente esattoriale svolge la propria attività recuperatoria dei crediti per conto delle società di recupero attraverso la predisposizione di un mandato con rappresentanza che ne legittima la sua opera (cfr. Circolare Min. Interno n. 557 PAS del 2011; Documento UNIREC del 04/11/2014). Al riguardo, si richiama inoltre il D. Lgs. N. 65 del 15/02/1999 che, in attuazione della Direttiva europea in materia di agenzia, ha modificato la disciplina codicistica, stabilendo che “per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento” (nuovo art. 1748, comma I c.c.). Inoltre, al comma III della medesima disposizione, viene sancito che “l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta; in tali casi la provvigione è dovuta solo all’agente precedente, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti”.

Dal suddetto contesto normativo, dunque, emerge il principio per cui l’agente acquista il diritto alla provvigione a prescindere dal “buon fine” dell’affare, rimanendo necessario e sufficiente a tale scopo la mera conclusione dell’operazione per effetto del suo intervento, anche nelle ipotesi in cui il contratto venga precedentemente meno.

La pronuncia della Cassazione

Tale aspetto è stato oggetto di conferma anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui la disciplina codicistica modificata, “sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è quello in cui l’operazione promossa dall’agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è quello in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina precedente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile: un diritto che può essere ceduto e permette l’insinuazione nel passivo del fallimento del preponente. Condizione di esigibilità è invece l’esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell’affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente” (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 5467/2000).

Il diritto alle informazioni

A ciò aggiungasi che il successivo art. 1749 c.c., anch’esso oggetto di modifica da parte del D. Lgs. N. 65/1999, pone a carico del preponente il precipuo obbligo di informare l’agente, entro un termine ragionevole, dell’accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare e di consegnargli (comma II) un estratto conto delle provvigioni dovute non oltre l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale esse sono maturate; “entro il medesimo termine le provvigioni liquidate devono essere effettivamente pagate all’agente”. L’agente, inoltre, (III comma) può esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate e, in particolare, un estratto dei libri contabili, proprio al fine di soddisfare l’onere probatorio avente ad oggetto l’an e quantum debeatur con riferimento alle spettanze per l’attività svolta. A chiusura della norma richiamata, si considera nullo ogni patto contrario.

Infine, in ordine all’obbligo di presentazione all’agente dell’estratto conto delle provvigioni dovute al fine di provare la esistenza e la quantificazione delle spettanze, la S.C. ha uniformemente ritenuto che “in materia di contratto di agenzia, il diritto all’accesso ed alla documentazione contabile, di cui all’art. 1749 c.c., come risultante dall’art. 4 del d.lgs. n. 65 del 1999, è funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennità collegate al rapporto di agenzia, in quanto l’acquisizione della documentazione in possesso del solo preponente deve essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili” (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 19319/2016).

Avv. Giovanni Parisi

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