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Fattorie sociali: promotrici di cambiamento

Nate come promotrici di cambiamento, legalità e sviluppo sostenibile del territorio, le Fattorie Sociali rappresentano una realtà sociale sempre più presente sul territorio nazionale...

di Patrizia Romano

Nate come promotrici di cambiamento, innovazione, legalità e sviluppo sostenibile del territorio, le Fattorie Sociali rappresentano una realtà sociale sempre più presente sul territorio nazionale. Parliamo del loro sviluppo in Sicilia con uno dei massimi esperti, il sociologo Salvatore Cacciola

 

di  Patrizia Romano

Solidarietà e reciprocità: sono i principi e i valori fondamentali sui quali si basa l’Agricoltura sociale, una nuova pratica colturale attraverso la quale nascono le Fattorie sociali; organizzazioni profit e non profit, come aziende agricole, cooperative sociali, associazioni, consorzi e fondazioni, che sviluppano programmi di inclusione lavorativa e sociale, progetti di formazione ed educazione ambientale e alimentare, nonché interventi di riabilitazione e cura della persona,  attraverso la pratica colturale delle piante e l’ausilio degli animali. Le fattorie sociali offrono i loro servizi a persone con disagio sociale, relazionale e con disabilità psico-fisica, promuovendo progetti finalizzati a migliorare la qualità della vita e lo sviluppo sostenibile del territorio.
In Sicilia questa realtà si è sviluppata collegandosi alle esperienze delle aziende agricole e delle associazioni che si occupavano di ambiente e di agricoltura biologica. L’agricoltura sociale in Sicilia è, quindi, strettamente collegata alla cultura ambientalista e alle realtà sociali promotrici di cambiamento, innovazione, legalità e sviluppo sostenibile del territorio.
Ma delle loro attività e finalità, parliamo meglio con uno dei massimi esperti del settore, in Sicilia, il sociologo Salvatore Cacciola che, da tanti anni, si occupa di promozione della salute, di comunicazione sociale e di welfare locale. Il dottor Cacciola è presidente della Rete Fattorie Sociali Sicilia, l’organismo più rappresentativo delle Fattorie sociali dell’Isola e, dal 2013, è vice presidente dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica Sicilia (Aiab). Da sempre, inoltre, è impegnato nel mondo del volontariato e delle organizzazioni non profit.

Dottor Cacciola, una Fattoria Sociale, per definirsi tale, quali requisiti deve possedere?
A questo quesito ci viene in aiuto la legge quadro n. 141/2015 (Disposizioni in materia di agricoltura sociale). Si attendono i decreti attuativi sui requisiti minimi che deve possedere una fattoria sociale. Analizzando le pratiche di intervento sociale e le esperienze realizzate nel territorio nazionale, possiamo annoverare tra le fattorie Sociali le imprese che si occupano di programmi di inclusione sociale e in particolar modo di inserimento lavorativo. Quest’ultimo è un elemento che ha caratterizzato, soprattutto in Italia, la tradizione dell’Agricoltura sociale. Inoltre, come pratiche di Agricoltura sociale viene elencata una serie di ambiti di intervento: terapie assistite con l’ausilio degli animali, ortoterapia, attività di turismo sociale, educazione ambientale, alimentare, alla salute e alla legalità, eccetera. Tutte queste pratiche sono state incluse nella stessa grande categoria della multifunzionalità dell’azienda agricola.

Quando nasce questa esperienza in Sicilia? fattorie sociali
L’esperienza siciliana nasce nel 2009, prima con un coordinamento e poi trasformando quest’ultimo in un’Associazione di Promozione Sociale.

Dal 2007, le fattorie sociali in Sicilia sono aumentate notevolmente. Quante sono attualmente?
La Rete Fattorie Sociali Sicilia ha 102 iscritti: 58 Aziende agricole, 2 Cooperative agricole, 15 Cooperative sociali, 17 Associazioni, 8 Onlus, 1 Consorzio e 1 Fondazione. Sommando il dato numerico relativo alle Associazioni con quello delle Onlus si arriva a 25 organizzazioni non profit.

Quali sono le normative europee, nazionali e/o regionali che direttamente o indirettamente disciplinano le Fattorie Sociali?
La legge quadro del 18 agosto 2015 numero 141 (Disposizioni in materia di agricoltura sociale), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale numero 208 del 08/09/2015 ed entrata in vigore il 23/09/2015, disciplina  le pratiche di agricoltura sociale in Italia. Questa legge ha già previsto una serie di decreti attuativi che ancora devono essere emanati. Uno di questi decreti riguarderà proprio i requisiti minimi per definire in modo formale, ufficiale e univoco ciò che sta dentro l’agricoltura sociale. La legge quadro già contiene una serie di requisiti di carattere generale, che sono in linea con quanto è stato elaborato in questi anni dalle ricerche sull’argomento e anche con le osservazioni empiriche su ciò che in Italia è stato realizzato prima della normativa. La legge ha recepito il dibattito culturale degli ultimi anni sul tema dell’agricoltura sociale, riconoscendo come fattorie sociali anche le cooperative sociali che possono certificare un fatturato di almeno il 30 per cento in agricoltura.

In quale provincia si registra una maggiore presenza di fattorie sociali?
Nella provincia di Catania e, in generale, nella Sicilia orientale.

Quale genere di struttura socio-sanitaria si mostra più sensibile verso questa attività?
I dipartimenti di salute mentale, le TD e l’Educazione alla salute  delle Asp sono i servizi che maggiormente collaborano con le Fattorie sociali.

Chi sono in Sicilia i soggetti (svantaggiati) ai quali è maggiormente destinata l’attività?
Disabili psichici, in particolare autistici. Disabili sensoriali e fisici, ex TD, detenuti. Minori a rischio di devianza.

Possono rientrare, secondo la normativa, tra i soggetti svantaggiati cui è destinata l’attività pure gli immigrati extracomunitari?
Si, se minori stranieri non accompagnati, richiedenti asilo, persone con grave svantaggio perché a rischio di povertà estrema.

Quanti fruitori hanno accolto le Fattorie Sociali siciliane, nel 2015?
Al momento non abbiamo dati statistici sui fruitori delle Fattorie Sociali. Prendendo ad esempio le collaborazioni tra la Rete Fattorie Sociali, l’Associazione Italiana Educazione Sanitaria (Aies), abbiamo realizzato negli ultimi cinque anni dei programmi specifici di educazione alla salute e di educazione alimentare. In questi programmi il numero più alto di presenze è stato registrato nel 2012, con un progetto che ha coinvolto ben 4 province (Messina, Catania, Siracusa e Caltanissetta) e 3000 bambini.

Quali e come sono le prospettive di lavoro in una Fattoria Sociale?
Le prospettive di lavoro sono legate a questa combinazione sinergica tra lavoro agricolo e lavoro sociale; non c’è una possibilità di separazione di questi due ambiti. Chi svolge attività educativa o attività sociale è comunque inserito, anche se parzialmente o per periodi limitati o a tempo determinato, nell’attività dell’azienda agricola. In molti casi è lo stesso imprenditore o lo stesso socio della cooperativa agricola ad attivare determinati progetti, ma in altre situazioni, per esempio quando vengono attivati programmi di inclusione lavorativa, ci si avvale di profili professionali esterni all’azienda, come l’educatore, il sociologo, lo psicologo, l’assistente sociale o il tutor educativo.

Esiste tra le strutture presenti sul territorio l’equilibrio necessario per favorire la nascita di fattorie sociali?
Buona parte della crescita delle fattorie sociali in Sicilia è avvenuta spontaneamente, attraverso la Rete e le associazioni promotrici. Non abbiamo avuto alcun sostegno pubblico.

Esiste una sana relazione tra le strutture? Fino a qualche anno fa, lei vedeva nello squilibrio relazionale tra le strutture, un elemento di difficoltà. E oggi cosa può dire?
Gli enti locali ancora non facilitano la nascita di esperienze di Agricoltura sociale. E’ aumentata la sensibilità, ma sono inesistenti gli strumenti di intervento. I piani di zona e la progettualità sociale stenta ancora a riconoscere il ruolo dell’agricoltura sociale.

Quanto influisce l’agricoltura sociale, in Sicilia, sul piano occupazionale?
Ci sono significative potenzialità, ancora l’occupazione in Agricoltura Sociale si può stimare in alcune centinaia di soggetti svantaggiati coinvolti.

Sotto il profilo legislativo, la Regione Sicilia ha recepito in pieno la legge nazionale? Qual è, in Sicilia, il quadro normativo che disciplina l’agricoltura sociale in Sicilia?
Non c’è ancora un quadro normativo. La Regione Sicilia non ha ancora recepito la legge quadro 141/2015.

Lei, qualche anno fa, manifestava la preoccupazione che  la fatica di chi attiva i processi di inclusione per soggetti svantaggiati non trovasse il giusto ascolto nella discussione sulla normativa. Come interagisce, concretamente, la classe politica siciliana con le realtà impegnate sul fronte dell’agricoltura sociale in Sicilia?
Il livello di sensibilità e di attenzione è sicuramente migliorato. Si registrano ogni settimana convegni e seminari sull’agricoltura sociale. C’è anche una discreta capacità di ascolto da parte delle istituzioni. Finalmente il disegno di legge sull’Agricoltura Sociale è stato approvato dalla Terza Commissione all’Ars e dovrà essere discusso e approvato dall’Assemblea. Ma i tempi sono lunghi e incerti. Sono passati tre anni dalla presentazione del disegno di legge all’approvazione in Commissione.

Che obiettivi si prefigge la Rete Fattorie Sociali? Fattoria-sociale
Gli obiettivi che ci poniamo sono tanti e ambiziosi. Come Rete vogliamo essere contemporaneamente soggetto promotore di sviluppo locale. Noi favoriamo l’occupazione, il collocamento professionale e uno sviluppo che sia in sintonia anche con l’identità territoriale, quindi che non procuri forme di sfruttamento né delle persone, né del suolo, delle piante e degli animali. Questo tema viene declinato in vari modi, innanzitutto nella corretta e buona produzione di cibo che diventa essenziale affinché si possa parlare seriamente di agricoltura sociale e, poi, tutta una serie di relazioni tra l’impresa, i dipendenti e i collaboratori che deve essere imperniata attorno al concetto di rispetto e non intorno a quello dello sfruttamento, perché in agricoltura, per esempio, ci sono molti casi di speculazione e addirittura di schiavizzazione. Pertanto, nella nostra ‘Carta di principi’ abbiamo indicato che è inammissibile un’azienda agricola che si fregia del titolo di Fattoria Sociale e poi magari non garantisce il contratto nazionale di lavoro. Questo, poi, è l’elemento che spesso fa anche la differenza rispetto ai costi di produzione. I più rigorosi tra di noi adottano un processo produttivo eco-compatibile, differenziano correttamente i rifiuti, valorizzano tutto ciò che è organico, utilizzandolo per la concimazione dei terreni e per la produzione dei prodotti agricoli, educano i bambini e gli ospiti che arrivano in visita presso le aziende verso il consumo consapevole del cibo, la riduzione degli sprechi alimentari e il corretto uso dell’acqua. Molte aziende, infatti, si occupano anche di ristorazione (agriturismi, B&B rurali, ecc.) e tendono ad avere e a mantenere una grande coerenza tra le cose che pensano e che dicono e le azioni concrete.

Quali sono le criticità della Rete Fattorie Sociali Sicilia? In cosa potrebbe essere migliorata?
Le criticità ci sono sempre, perché chiaramente il nostro è un movimento in crescita e in continua evoluzione. Ovviamente, esso tiene conto delle criticità insite nello stesso sistema agricolo che presenta un anello debole, rappresentato dai cambiamenti climatici. Questi ultimi pregiudicano le caratteristiche del mercato dei prodotti agricoli e, quindi, anche la loro collocazione commerciale a livello globale. Ci sono delle difficoltà legate anche a una trasformazione delle collaborazioni professionali e il passaggio dei contratti di lavoro dal tempo determinato a quello indeterminato.
L’altra criticità, estremamente importante, è quella legata al credito, al microcredito e all’accesso facilitato al credito. I piccoli imprenditori agricoli, organizzati in cooperativa o singolarmente, incontrano ancora oggi parecchie difficoltà per accedere al credito bancario necessario per realizzare investimenti anche di breve periodo. In tal senso, abbiamo già sottoscritto un accordo di intesa con Banca Etica, finalizzato a favorire e sostenere gli investimenti dei nostri imprenditori e per superare le forme di precariato e di lavoro part-time Un’altra criticità è rappresentata dalla sicurezza nelle campagne. Basti pensare ai problemi che hanno avuto le aziende del Consorzio Libera Terra Mediterraneo.

Come si svilupperà la Rete in futuro?
Noi intendiamo investire di più sull’informatica che riduce molto le distanze e facilita gli scambi commerciali e di informazione. Le aziende agricole, infatti, non sono sotto casa. In una Regione come la Sicilia, dove il sistema viario secondario è estremamente debole e anche molto vulnerabile (frane, smottamenti, allegamenti, interruzioni continue, ecc.), la possibilità di un collegamento telematico, la promozione, la valorizzazione e la conoscenza è di fondamentale importanza. Per questi motivi, come Rete, abbiamo scelto di puntare e investire parecchio in servizi di carattere informatico. A breve, per esempio, realizzeremo un App, riguardante l’offerta delle attività didattiche residenziali, all’interno di un progetto che abbiamo chiamato “AgriSocialTour”. Inoltre, sviluppiamo e manteniamo forme di servizio attraverso le informazioni che diffondiamo sui social network, come facebook. Stiamo ridefinendo anche il nostro sito istituzionale in modo tale da facilitare, oltre che la comunicazione, anche il trasferimento di informazioni verso nuovi utenti.

Quanto pesa il finanziamento pubblico sulla capacità di continuare? Quali altre modalità di finanziamento avete previsto?
Non pesa niente perché non abbiamo finanziamenti pubblici. Non siamo il prodotto di una legge e nemmeno di un finanziamento. Se invece mi avesse chiesto: “Meglio avere un finanziamento pubblico che sostiene le attività oppure è meglio non averlo?” Avrei risposto, ovviamente, meglio averlo! Le nostre attività attingono quasi tutte a fondi e investimenti provenienti dalle casse dei singoli imprenditori o delle cooperative. Su circa 65 aziende agricole della Rete Fattorie Sociali, credo che solo 3 o 4 abbiano utilizzato fondi provenienti dal Psr (Piano di Sviluppo Rurale)

 

 

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