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Olio di palma: un complesso caso alimentare

Olio di palma sì, olio di palma no. Un argomento molto dibattuto che divide da anni la comunità scientifica...

di Redazione

E’ un argomento molto dibattuto che divide da anni la comunità scientifica. Dopo prese di posizione contrastanti, petizioni e campagne in sua difesa, smentite e riconferme si è giunti alla conclusione finale per cui questo olio di origine tropicale contiene sostanze tossiche e cancerogene pericolose soprattutto per i bambini. E dire che è stato sponsorizzato da molti marchi durante il nostro Expo!

 

di Daniela Giangravè

Da sempre il nocciolo del problema che ruota attorno all’olio di palma questo grasso vegetale è stato la cospicua quantità di grassi saturi – almeno il 50% –  in esso contenuti e la quantità che fornisce all’organismo. Il più abbondante dei suddetti grassi è l’acido palmitico. È presente praticamente in moltissimi prodotti alimentari: biscotti, fette biscottate, crackers, gelati, nelle più famose creme spalmabili e nei dolci industriali. Tuttavia il suo utilizzo è stato diretta conseguenza della sostituzione dei gas trans; sostituzione da parte dell’industria alimentare, dovuta all’inasprimento delle normative dell’Organizzazione mondiale della sanità sui grassi idrogenati, come le margarine, estremamente pericolosi per la salute.
L’olio di palma ha rappresentato la soluzione più conveniente e più congeniale poiché è un olio del tutto insapore, non altera il gusto e la gradevolezza dei prodotti, gli dà corpo conferendogli la cosiddetta “palatabilità”e maggiore conservabilità e, senza dubbio, è più economico del burro, dell’olio d’oliva e dell’olio di girasole. Ma a quale prezzo? Oltre a essere un killer concreto per la salute, ha danneggiato non poco il nostro sistema ambientale.

Gran parte della deforestazione in Malesia e Indonesia, fornitori del 90% di questo olio sul mercato, è avvenuta per favorire l’industria del legname e le piantagioni di palma. Gli animali, di conseguenza, diventando di troppo in tutto questo marasma, hanno rischiato l’estinzione a causa della distruzione del loro habitat: parliamo di ottanta specie endemiche tra tigri, elefanti e oranghi. Senza contare le violazioni dei diritti territoriali delle comunità indigene, con espropriazioni delle terre dei contadini e deportazioni di interi villaggi.
Secondo le stime di Greenpeace la deforestazione e i conseguenti incendi sono causa del rilascio, nell’atmosfera, di circa 1,8 miliardi di tonnellate di CO2. Per la produzione dell’olio di palma, l’Indonesia è diventato il terzo paese al mondo a produrre emissioni di gas serra dopo gli Stati Uniti e la Cina. Questo perché l’80% del totale di produzione di questo grasso è impiegato come carburante, in vari detersivi, nello shampoo, nei cosmetici e soprattutto nei saponi.
Negli ultimi anni associazioni ambientaliste tra cui WWF e la già citata Greenpeace si sono fortemente impegnate per fronteggiare il fenomeno della deforestazione e il Poig (Palm Oil Innovation Group) – costola del Rspo – sarebbe nato per assicurare che l’impiego dell’olio non derivasse da deforestazione o dalla violazione dei diritti delle popolazioni locali.
La Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil) esiste già dal 2004 e si tratta di un’organizzazione internazionale nata per tutelare e garantire la produzione sostenibile, nonché la sostenibilità ambientale e sociale da parte dei suoi membri. Greenpeace, ha denunciato come la deforestazione sia continuata per anni anche in aree “certificate”, e la conclusione è che il principio della sostenibilità è sempre stato una truffa vera e propria. La presunta coltivazione sostenibile ha basato le sue fondamenta sul fatto che la certificazione venisse rilasciata dalla stessa Rspo le cui aziende e associazioni sono sempre state dipendenti dalle multinazionali del settore: si autocertificavano e loro si autocontrollavano! Ennesimo e meschino caso di greenwashing!

Giungiamo così alle battute finali di questo tortuoso argomento. olio-di-palma

Dopo anni di battaglie, dopo uno scrupoloso studio lungo ben dieci anni, una petizione che ha raccolto 176.000 firme e un dossier lungo 160 pagine, l’Efsa ha espresso il suo verdetto: l’olio di palma è tossico e dannoso; entra a pieno diritto nella black list dei prodotti che rappresentano un pericolo per la salute perché contiene tre sostanze tossiche di cui una cancerogena, il 3-Mcpd, ovvero il 3-monocloropropandiolo più i suoi esteri degli acidi grassi (GE). A farne le spese sono soprattutto lattanti e bambini, dei quali è notorio come siano divoratori accaniti di merendine, e a seguire adolescenti e persone anziane. È avvilente scoprire che le grandi multinazionali dell’alimentazione ne fossero al corrente già dal 2009 e il tutto è testimoniato dal report di un convegno tenutosi il 21-22 aprile a Praga che affrontava la tematica dei “contaminanti” come risultato finale dei processi di trasformazione dei cibi e le relative strategie per ridurli al minimo.

Nel dicembre 2015 Mulino Bianco, che inizialmente si era schierato in difesa dell’olio di palma, ha presentato sul mercato due tipologie di biscotti senza il discusso ingrediente.
Sulla questione è stato interpellato anche il dicastero della Salute, nella persona del ministro Lorenzin che ha chiesto una verifica a Bruxelles e al Commissario europeo per la salute e la sicurezza Vytenis Andriukaitis. Ad oggi le aziende alimentari hanno rinunciato al grasso tropicale per sempre. La Coop, che già aveva l’olio da oltre 100 prodotti a marchio, dopo la pubblicazione del dossier dell’Efsa, ha deciso di abolirlo del tutto anche nei 120 prodotti rimanenti.
L’Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) che raggruppa famosi marchi come Ferrero, Mulino Bianco e Bauli ha cercato di salvare la propria reputazione offuscando diciotto mesi di manovre lobbiste, facendo dimenticare un investimento da dieci milioni di euro in spot e annunci pubblicitari dove si dichiarava apertamente che l’olio di palma fosse un ingrediente sano, naturale e rispettoso dell’ambiente. Tutto ciò mentre si devastava un pianeta.
Con la petizione  le aziende hanno cambiato idea per il parere dell’Autorità per la sicurezza alimentare europea, e milioni di italiani hanno smesso di comprare biscotti e merendine con olio di palma stravolgendo un sistema apparentemente ben collaudato.
Quando è stata avviata la petizione contro l’invasione dell’olio di palma nel novembre 2014,  la Coop non ha incrementato il numero di prodotti senza olio tropicale che è rimasto invariato. Esselunga, invece, non avendo praticamente prodotti a marchio proprio palm free, ha aderito alla petizione e da poco ha sostituito il palma nell’80% di biscotti, grissini, fette biscottate e altre referenze a suo marchio. Stessa situazione per Carrefour che ha aderito un anno fa, e ora può contare su cinquanta prodotti palm free.olio_di_palma

Anche il M5S ha preso parte alla battaglia contro il prodotto killer nell’intento di tutelare la salute dei cittadini contro gli interessi delle lobby in questione. A entrare maggiormente nel merito è Mirko Busto, portavoce in Commissione Ambiente alla Camera: “È vergognoso che alcuni deputati e senatori siano diventati complici dell’Aidepi nel tentativo di convincere l’opinione pubblica sulle fantomatiche qualità dell’olio di palma”, ed annuncia la presentazione di un esposto per Agcom contro l’Associazione capitanata da Barilla per pubblicità ingannevole sull’olio e palma.

Chiara Gagnarli, altra deputata del M5S aggiunge: “Il problema per la salute sta sicuramente nella facilità di assunzione quotidiana dell’olio di palma nell’alimentazione di bambini e adolescenti che sono quelli più sovrappeso d’Europa”.

Infine non possiamo non citare il merito delle ricerche del professor Francesco Giorgino (ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso l’Università ‘Aldo Moro’ di Bari e coordinatore del comitato scientifico della SID), e del suo gruppo di esperti, insieme all’Università di Pisa e di Padova i cui centri sono membri della Società Italiana di Diabetologia. I risultati degli studi hanno focalizzato l’attenzione sulla correlazione tra l’acido palmitico e il danno alle cellule che producono insulina e che tiene sotto controllo la glicemia. Il palmitato distrugge le cellule beta del pancreas, un aspetto importante nello sviluppo del diabete di tipo 2.

Ci appare inspiegabile, infatti,  il perché dell’ostinazione della Ferrero nel produrre la Nutella con una percentuale di olio di palma pari al 30%.

Un evento importante si terrà il prossimo 25 maggio 2016. Si tratta di un convegno alla Camera sull’olio di palma, in cui il M5S divulgherà, insieme ad esperti del mondo della scienza e della medicina, tutte le informazioni utili sui rischi per la salute e per l’ambiente. L’obiettivo è mettere definitivamente al bando il prodotto e portare avanti una petizione per dire basta agli spot pro olio di palma.
Noi consumatori abbiamo solo un compito: portare avanti la vera sostenibilità selezionando i prodotti giusti e quindi prodotti senza olio di palma.

È una scelta di vita e per la vita nostra, del nostro pianeta e dei nostri figli.

 

 

 

 

 

 

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