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Viticoltura convenzionale o biodinamica?

di Redazione

Parecchie volte negli ultimi tempi ci sarà capitato di degustare un vino naturale o di aver sentito parlare di lotta integrata o coltivazione bio. Che differenza c’è tra un vino proveniente da questi terreni e uno “normale”? Partendo dalla legge di conservazione della massa che “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” e che tutto quello che è in vigna sarà poi nel bicchiere, proviamo a coglierne le differenze.

di Marcello Malta

Chissà se sono gli effetti maniacali del voler mangiare e bere sano a tutti i costi, se è moda o se è filosofia di vita, se è attenzione alla propria salute o estremismo di emulazione dell’amico, attento comunicatore delle novità in auge. Quel che è certo è che tutti subiamo il fascino dell’edonismo del nettare di Bacco declinato nelle sue molteplici espressioni di colore e tipologia, ma nessuno vorrebbe inciampare nelle controindicazioni della piacevolezza che è in grado di donare un calice di vino. Facciamo, dunque, chiarezza sugli stili di produzione, ricordando sempre che siamo quel che mangiamo.

La viticoltura convenzionale è la più praticata e prevede tecniche di coltivazione e allevamento in cui è anche tollerato l’uso di prodotti chimici sia per fertilizzare il terreno sia per proteggere le piante. Per evitare lo sviluppo di parassiti, funghi e virus in vigna si utilizzano trattamenti antiparassitari con fungicidi ed insetticidi, spesso inquinanti e costosi. Debellano alcuni dei nemici della pianta come peronospora, oidio, fillossera, flavescenza dorata, ragnetti, tignole e cicaline. Anche se, a dire il vero, molti insetti sviluppano così bene forme di resistenza ad alcuni principi attivi che nell’anno successivo al trattamento, non solo il parassita si sviluppa lo stesso, ma cresce anche più virulento.               foto grappolo e coccinelle

Da circa quindici anni, sensibilizzate all’uso intelligente degli antiparassitari, alcune aziende adottano il metodo della lotta integrata, ossia l’impiego quasi nullo dei disinfestanti, allo scopo di avere come regola unica l’azione competitiva degli insetti contro gli agenti patogeni, relativamente al proprio terroir (zona, territorio e clima) e alle tecniche colturali.

La coltivazione biologica, invece, prevede il non uso di diserbanti e prodotti chimici. Sono consentiti prodotti a base di rame e zolfo, poltiglia bordolese e prodotti a base di argille e solfiti contro insetti, funghi e muffe indesiderate.

In ultimo la coltivazione biodinamica, principio secondo il quale si pone in interrelazione la viticoltura alle forze energetiche che originano la vita dei vegetali. Deve i suoi prodromi al filosofo Rudolf Steiner che, all’inizio del ‘900, sancisce l’importanza tra gli equilibri della salute del suolo e le forze energetiche stagionali, tra l’integrazione dell’agricoltura con la locale flora e fauna e la loro biodiversità. Nella stessa maniera della biologica, la biodinamica non prevede l’uso di fertilizzanti chimici, erbicidi o pesticidi. Il principio si basa sulla protezione della vite, rendendo forte il suo sistema immunitario e rendendo l’ambiente in cui vive il più salutare possibile per favorirne la crescita. Il produttore organizza il lavoro in vigna a seconda del calendario biodinamico, affinché le viti siano in sintonia con il bioritmo naturale del loro ambiente. Permessi solo pochi prodotti a base rame e zolfo integrati con estratti vegetali. Ammessi il cornoletame, letame di vacca sotterrato per un inverno all’interno all’interno di corna di vacca, e il cornosilice, quarzo finemente triturato, sempre sotterrato nello stesso involucro. Entrambi “dinamizzati” in acqua, hanno lo scopo di incrementare la resa produttiva del terreno. I produttori bio esigono un vino non “progettato” in cantina, ma solo risultato di uve sane. Non amano avvalersi di “manomissioni” fisiche o chimiche che ne sconvolgano l’originaria purezza. Questa razionalità porta ad ottenere vini tipici e franchi per qualità di carattere e di territorio, a volte anche dissimili di vendemmia in vendemmia.

Tre sono i principi cardine di questa filosofia olistica: mantenere la fertilità della terra attraverso materie nutritive necessarie alla pianta; sanità e resistenza della pianta alle malattie attraverso l’inspirazione dall’atmosfera alla terra; l’autoregolazione degli organismi viventi al fine di produrre qualità.

 

 

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