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Licenziamenti illegittimi: reintegrazione e risarcimento

di Redazione

Cerchiamo di comprendere quando un lavoratore, a seguito di iniziativa Giudiziaria, ottiene di diritto la ‘reintegra’ al posto di lavoro e il risarcimento del danno per licenziamento illegittimo

di Agostino Curiale*

In questi ultimi periodi ci siamo occupati di assistere diversi lavoratori, molti dei quali, a causa della perdita di lavoro, si sono rivolti alla nostra Associazione per chiedere consulenza e assistenza.

Fra tanti casi abbiamo constatato, ritenendo, comunque, alcuni imprenditori costretti a licenziare per la forte crisi, che molti hanno voluto solamente togliere il lavoro a chi effettivamente era già divenuto solamente scomodo.

Dalle risposte a centinaia di domande riguardanti i licenziamenti illegittimi, vorremmo dare un’informazione dettagliata in materia giurisprudenziale, sia da quanto emerge dalle decisioni dei Giudici della Sezione di lavoro di prime cure, dalle conferme della Corte D’Appello e della Suprema Corte. Vediamo adesso di comprendere meglio quando un lavoratore, a seguito di iniziativa Giudiziaria, ottiene quanto di diritto la ‘reintegra’ al posto di lavoro e il risarcimento del danno per licenziamento illegittimo. In prima fase, ottenuto un ordine di reintegrazione da parte del Giudice, il lavoratore ha diritto di riprendere servizio. L’ordine di reintegrazione è incoercibile, non suscettibile di esecuzione in specifica forma e generalmente si ritiene che il rientro al posto di lavoro implichi un infungibile comportamento attuativo e collaborativo del datore di lavoro. Infatti, nell’ambito dell’organizzazione Aziendale, l’unico soggetto legittimato a impartire direttive agli impiegati è il datore di lavoro.

Il datore di lavoro, a seguito di condanna, è obbligato a riattivare di fatto l’attività lavorativa del lavoratore e, a tal fine, il suo compito deve essere quello di invitare il dipendente a riprendere servizio. In questa situazione va ricordato che il lavoratore non ha alcun onere al riguardo per attivarsi a rendere effettiva la riammissione al servizio (Sent.Cass. n. 9390 del 07.09.93 e Sent.Cass. n. 4533 del 11.07.81). Fermo restando il diritto del lavoratore a riprendere il posto di lavoro, in alcuni casi può verificarsi che il datore di lavoro, invitando il dipendente al lavoro si riserva di far conoscere il giorno e il luogo della ripresa lavorativa. Questa è una pratica molto usuale, ma ovviamente è da tenere presente che, in tal caso, il lavoratore che non si presenta al lavoro non può considerarsi in mora, e non si può dire che il datore di lavoro abbia ottemperato all’ordine della sentenza, così come in altri casi, può verificarsi che il datore di lavoro si limita solamente a pagare la retribuzione, ma di fatto sappiamo bene che non ha reinserito il lavoratore al posto di lavoro con la conseguenza di non aver ottemperato all’ordine della Sentenza (Sent.Cass. n. 2857 del 24.03.87 – Sent.Cass. n. 314 del 13.01.93 – Sent.Cass. n. 1826 del 20.02.1988). Ricordiamo in merito il disposto dell’ex art. 669 duodecis c.p.c. che determina le modalità di esecuzione del provvedimento e ordina al datore di lavoro di far riprendere il lavoro al dipendente, rimuovendo ogni ostacolo ostativo.  tribunale

Ci possono essere altri casi, in cui il datore di lavoro non ha colpa e precisamente quando un’Azienda cessi la propria attività. In questi casi, la reintegrazione al posto di lavoro del licenziato non può avere seguito, quindi, il Giudice non potrà disporre la riammissione al lavoro. Al lavoratore, quindi, spetterà solamente il solo risarcimento del danno da determinarsi con riferimento finale alla data di cessazione dell’attività (Sent.Cass. n. 1815 del 13.02.93).

In tutti i casi, comunque, come abbiamo visto, il datore di lavoro ha sempre l’obbligo di riammettere in servizio il lavoratore e non potrà giustificare l’impossibilità della ripresa lavorativa a causa di qualsivoglia giustificazione come, per esempio, non potrà trasferirlo in un’altra sede con l’avvenuta sostituzione con altro dipendente, o in circostanze che i colleghi di reparto, cui era addetto l’impiegato licenziato si trovano in Cassa Integrazione, né tanto meno potrà reintegrarlo e collocarlo in Cassa Integrazione (Sent.Cass. n. 7822 del 19.07.95 – Sent.Cass. N.688 del 02.02.90 e Sent.Cass. n. 1360 del 04.02.93).

Un aspetto di particolare importanza, risulta essere quando il lavoratore non volesse più ritornare al lavoro, succede spesso per motivi di carattere personale. In questi casi, il lavoratore ha diritto a un’Indennità Sostitutiva. In pratica, si tratta di una forma di risarcimento di 15 mensilità che il lavoratore può richiedere in alternativa al posto di lavoro. La procedura è semplice: una volta pervenuto l’invito del datore di lavoro, il dipendente ha la facoltà, nel termine di 30 giorni, di rifiutare il posto di lavoro e di optare per l’Indennità. Questa procedura deve essere attentamente valutata, in quanto, il rapporto di lavoro si intenderà risolto di diritto qualora il dipendente abbia espresso la sua volontà. Questa decisione, quindi, comporta di non poter pretendere più nulla.

Un altro caso importante, riguarda, quando il lavoratore, pur volendo accettare la ripresa del posto di lavoro, si trovi in una condizione di impossibilità previste dall’art. 2110 c.c. In questi casi, dovrà, entro il termine dei 30 giorni, trasmettere eventuale documentazione di malattia o infortunio e dovrà manifestare la volontà alla ripresa del lavoro per evitare così la decadenza del diritto alla reintegrazione (Sent. Cass. n. 6216 del 27.11.79).

La precedente formulazione dell’art.18 Statuto del Lavoratore prevedeva il risarcimento del danno nella misura minima di 5 mensilità di retribuzione per il periodo tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione e la corresponsione della retribuzione per il periodo dalla sentenza all’effettiva reintegra, con l’effetto di addossare al lavoratore l’onere di provare l’ulteriore danno subito. Il legislatore con la Legge n. 108/90 ha innovato il regime delle conseguenze patrimoniali a causa di licenziamenti illegittimi. Il risarcimento copre l’intero periodo dalla data del licenziamento all’effettiva reintegrazione e il risarcimento viene commisurato alla retribuzione globale di fatto, che costituisce il normale parametro di calcolo per la sua quantificazione (Sent.Cass. n. 15449 del 05.12.2000).

Il lavoratore, illegittimamente licenziato, ha diritto a un’indennità commisurata alla retribuzione che avrebbe percepito ove non fosse stato licenziato, indipendentemente dalla natura giuridica risarcitoria o retributiva che ad esso sia stata attribuita, e dell’irreparabilità o meno degli importi erogati in esecuzione della sentenza di annullamento del licenziamento disposto dal Giudice di prime cure che, in caso di riforme della sentenza di primo grado ma che comunque sia stato disposto o confermata la reintegra (Sent. Cass. n. 8814 del 22.07.92).

Va evidenziato che l’interpretazione giurisprudenziale in ordine alla nozione di retribuzione di fatto relativa all’indennità commisurata è giunta a specificare il concetto attraverso l’aggettivo ‘maturata’, che implica un riferimento esplicito alla retribuzione che il lavoratore avrebbe avuto diritto di percepire se avesse lavorato. Pertanto, in caso di procedimenti che si concludono in primo grado ne discende la conseguenza di una retribuzione dinamica della retribuzione perduta, che tenga conto dei benefici economici da rinnovi contrattuali intercorsi nelle more o da scatti di anzianità e anche dagli aggiornamenti dei relativi contratti e tabelle di riferimento.

Ricordiamo la norma contenuta nell’articolo 18 della legge 300/70, nella versione modificata nel 1990, viene, dunque, configurata come una ‘obbligazione con facoltà alternativa del creditore’ in virtù della quale il rapporto di lavoro non cessa con la semplice manifestazione della volontà di percepire l’indennità sostitutiva ma, piuttosto, si estingue solo al momento in cui l’indennità viene effettivamente pagata. Le Sezioni Unite, con Sentenza N. 18353 del 27 Agosto 2014, hanno stabilito il principio in base al quale il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui il datore di lavoro riceve la dichiarazione del lavoratore contenente la manifestazione di volontà all’opzione per le 15 mensilità.

Tutto ciò che avviene dopo non influenza il rapporto di lavoro né le conseguenziali obbligazioni. Le Sezioni Unite, nel risolvere il contrasto tra ‘principi’, hanno, quindi, deciso di dare continuità all’orientamento giurisprudenziale contenuto anche in due sentenze del 2012 ( Cass. n.15869/2012 e n.16228/2012), affermando che l’ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione ricettizia di opzione in favore dell’indennità sostitutiva. Pertanto, possiamo dire che il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione.

*presidente Euroconsumatori

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