Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

In Sicilia continuano a chiudere le Case Circondariali

di Patrizia Romano

Il sovraffollamento nelle carceri, già straripanti di detenuti, nell’Isola viene risolto con la chiusura dei  presidi funzionanti. Dopo la chiusura del carcere di Marsala, si è passati, infatti  alla chiusura delle carceri di Mistretta, Nicosia e Modica

di Patrizia Romano

Nel Paese dalle mille contraddizioni, il sovraffollamento nelle carceri, già straripanti di detenuti, viene risolto con la chiusura dei  presidi funzionanti. Dopo la chiusura del carcere di Marsala, si è passati, infatti  a quelli di Mistretta, Nicosia e Modica.

Le ragioni di questa scelta? Non sono ancora chiare; perlomeno alla gente comune. In realtà, nessuna di queste strutture presentava carenze igienico-sanitarie e neppure l’esigenza di effettuare  risparmi nell’ottica di una della spending review. Infatti, tutti gli spostamenti legati all’attività giudiziaria e penitenziaria sono stati allungati. Non resta, pertanto, da dedurre che la vera finalità della chiusura sia legata alla soppressione di posti di lavoro in piccoli centri, in favore degli organici carenti nelle case circondariali delle grosse aree metropolitane, imponendo, nello stesso tempo, una mobilità forzata. Forzatura che andrà a penalizzare pesantemente le condizioni economiche dei lavoratori che superano le 3.500 unità. 

Insomma, le carceri siciliane sono sovraffollate di oltre 3500 detenuti, però si chiudono ben 4 presidi di legalità.

La Regione siciliana non è nelle condizioni di modificare le aspettative del personale che, peraltro, è ben collocato nelle graduatorie delle carceri siciliane, dove è stato imposto ai dipendenti che perderanno le proprie sedi di presentare le domande di trasferimento.

Non c’è dubbio, comunque, che, sotto il profilo sociale, la chiusura delle carceri provocherà un peggioramento delle condizioni umane dei detenuti, che andranno a sovraffollare le carceri siciliane già straripanti di oltre 3500 reclusi rispetto alla capienza regolamentare, tra l’altro, con una carenza di oltre 800 poliziotti penitenziari.

Un Paese come la Sicilia, ad alta densità mafiosa e in cui esistono ancora pericolose sacche di illegalità, la battaglia per la legalità e la sicurezza non può essere sottoposta a risparmi di sorta. La chiusura di presidi di legalità, quali sono le carceri, costituisce una prova inconfutabile della grave sconfitta dello Stato.

Le case circondariali chiuse rappresentavano un’importante risorsa economica per il territorio, accogliendo un bacino di utenza molto vasto, che inglobava svariati comuni delle zone.

La presenza della stessa struttura permette una carcerazione più serena ai detenuti del nostro territorio che, grazie alla vicinanza della struttura ai propri comuni di residenza, possono avere colloqui settimanali con i propri cari.

Gli effetti positivi della presenza di queste strutture su un territori così estesi, si evidenziavano anche sotto il profilo economico. Le strutture, infatti, producevano un notevole risparmio per le famiglie stesse che si recano a colloquio con i detenuti. Adesso, a causa della chiusura, i familiari sono costretti a recarsi nelle strutture carcerarie di Enna, Catania e Palermo. Tale servizio è assolutamente indispensabile per l’intera cittadinanza e il territorio limitrofo, anche alla luce dell’ultimatum  dell’Unione Europea  per risolvere il problema delle condizioni di detenzione lesive della dignità umana per i detenuti.

Più volte, è stata manifestata l’esigenza di costruire nuove strutture carcerarie, per consentire di risolvere il problema del sovraffollamento che, però, richiede un impiego di risorse economiche non sostenibile in periodi di recessione come quello che stiamo attraversando.

Perché, quindi, alla luce di questi fatti evidenti, si è affermata la volontà di chiudere le strutture esistenti. Strutture in cui, tra l’altro, il numero dei detenuti è superiore a quello che la casa circondariale potrebbe ospitare, per poi spostarli altrove, aggravando le condizioni di vivibilità di altre strutture in danno alla dignità umana sia dei detenuti che del personale di sorveglianza.

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