Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Che fine fanno i quadri rubati?

di Redazione

La Sicilia è terra di conquista per tombaroli e mercanti. Il business delle opere e sculture trafugate ammonta a 157 milioni di Euro. Anche cosa nostra coltiva interessi in questo settore. Quali le dinamiche  e i contesti a livello globale?

 

di Daniela Mainenti 

Un grande esperto di furti d’arte: Robert Wittman, nel 2004 ha fondato l’Art Crime Team dell’FBI. È una squadra di 14 agenti che in pochi anni ha recuperato oltre 2500 opere d’arte per un valore totale di più di 150 milioni di dollari. Nel corso della sua carriera, Wittman ha agito più volte sotto copertura, presentandosi come un possibile acquirente e contattando personalmente i ladri o i custodi delle opere. Ha parecchie cose da raccontare – sulla sua esperienza ha scritto un libro – e quella principale è che i grandi capolavori non riescono mai a essere venduti.

Wittman dice che le persone che fanno questo tipo di furti sono «bravi ladri ma pessimi venditori»: progettano di rubare non su commissione, ma raccogliendo qualche notizia sul crescente valore del mercato dell’arte e sulle cifre molto alte che raggiungono alcune opere, dopo di che mettono in atto piani anche molto complicati per entrare nei musei e rubare i capolavori. In uno dei casi che Wittman ricorda come più organizzati e più complessi, a Stoccolma, i ladri entrarono armati di mitragliatrici in pieno giorno, fecero sdraiare tutti a terra e rubarono tre quadri, due Renoir e un autoritratto di Rembrandt, del valore totale di circa 35 milioni di dollari. Dopo di che fecero esplodere due autobombe fuori dal museo per rallentare la polizia, mentre loro scappavano via acqua con un motoscafo.

Quello che sfugge ai ladri è che il valore di un’opera d’arte dipende dall’autenticità e dalla sua storia, ma anche dai documenti che provano la sua provenienza legale. Senza i documenti che accompagnano un’opera d’arte, questa è sostanzialmente invendibile perché non può entrare nel mercato, e quindi nessuno la acquisterà: l’unica cosa da fare è tenersela e «ammirarla», ma di solito i ladri non organizzano operazioni così complesse per abbellire i propri soggiorni.

Wittman pensa che anche in questo caso i quadri siano semplicemente stati depositati da qualche parte e siano ancora in possesso della criminalità.

Dall’analisi dei vari contesti regionali risulta chiaro che, nell’ambito della criminalità nel mondo dell’arte, esistono alcuni comportamenti illegali tipici:

– lo scavo illegale di reperti archeologici, molti dei quali sono successivamente esportati;

– l’esportazione illegale di opere d’arte e di reperti archeologici quando esistono delle leggi che mirano a preservare il patrimonio artistico nazionale, proibendo questo genere di esportazioni;

– il furto di opere d’arte da siti storici, musei, gallerie, collezioni private, chiese.

I fattori che spingono un soggetto alla commissione di questi comportamenti illeciti possono essere distinti in circostanze che diminuiscono i rischi dell’azione criminale e circostanze che aumentano le opportunità criminali.

Qualsiasi malvivente, può accorgersi che i rischi del trafficare opere d’arte sono relativamente bassi. Ciò a causa di una serie di componenti che interagiscono tra di loro, tra cui, in primo luogo, la relativa facilità con cui le frontiere riescono ad essere attraversate e l’assenza di legislazioni penali nazionali in materia, o, qualora esistano, la mancanza o scarsità di risorse per applicarle. A queste vanno sicuramente affiancate i bassi standard di documentazione degli oggetti d’arte che rendono difficile rintracciare i percorsi seguiti dagli oggetti e risalire agli autori dei reati. Infine, bisogna sicuramente considerare una regola che i criminali abituati a condurre traffici illeciti a cavallo delle frontiere conoscono bene: questi attori illeciti dispongono di una facilità di movimento in campo internazionale ben superiore a quella con cui le agenzie di law enforcement si scambiano informazioni e cooperazione.

Le cause che hanno incrementato le opportunità di profitti e le occasioni di commissione di reati connessi all’arte sono legate tra di loro in modo così stretto da risultare quasi superficiale tentare di scinderle per un’esigenza di chiarezza.

Gli ultimi due decenni hanno visto una crescita senza precedenti del mercato dell’arte, divenuto un vero e proprio settore di investimenti economici, dove gli attori cercano di ricavare alti profitti nel più breve tempo possibile. La conseguente crescita della richiesta di oggetti d’arte ha inevitabilmente aperto la strada alle forniture illegali. E più aumenta la domanda, più coloro che forniscono la materia prima in modo illegale si accaniscono per rispondere ai bisogni del mercato e tanto più l’oggetto richiesto è raro, tanto più la competizione si fa feroce. D’altro canto, e questo rappresenta un ulteriore fattore di aumento delle opportunità, alla crescente domanda da parte dei paesi ricchi corrispondono situazioni di disagio e di bisogno nei paesi ‘produttori’. Si veda l’esempio dell’Africa, oggi uno dei continenti fornitori di molti manufatti archeologici, o la situazione dei paesi in via di transizione, dove, i cambiamenti politici e sociali intervenuti, il deterioramento delle condizioni di vita, l’inflazione delle moneta e, più in generale, un senso di disaffezione per la legge sono alcuni degli elementi scatenanti del traffico di opere d’arte. A questo si deve aggiungere che i “cheap antiques” di questi stati, oltre a suscitare grande interesse all’estero, vengono spesso custoditi in modo poco accurato.

Un altro fattore che non può essere tralasciato nell’analizzare le cause dello scavo illegale, del furto, del traffico di opere d’arte è rappresentato dalla mancanza di controlli professionali sugli acquirenti di questi beni, molto frequentemente anche musei e collezioni. L’esempio londinese è, per tutti, assai chiarificatore. A Londra la politica dei venditori d’arte può essere definita come ‘no questions policy’. Vale a dire che, quando questi soggetti acquistano opere d’arte che poi, a loro volta, immetteranno sul mercato, non hanno alcun obbligo di sincerarsi della origine lecita dei beni.

L’appropriazione indebita di opere d’arte risponde alle leggi del mercato; così le opere d’arte più richieste dai criminali sono quelle che più facilmente possono essere immesse nei circuiti dei paesi ricchi. Per ciò che riguarda gli oggetti trafugati da siti archeologici, si privilegiano tessuti peruviani, terrecotte nigeriane, ganesi, di Mali, oro precolombiano, sculture nepalesi, bronzi dell’Africa occidentale, ceramiche del Guatemala, del Honduras, del Costa Rica, antiche monete ateniesi. Oggetti sempre di moda sono poi quadri, stampe, terrecotte, porcellane, gioielli, sculture, manufatti religiosi. Nel database dell’Interpol il 50 per cento delle opere d’arte rubate è rappresentato da dipinti, sculture e statue. I criminali focalizzano la propria attenzione su questi oggetti d’arte seguendo dei criteri precisi. Si possono identificare:

· il criterio della minore protezione o resistenza. I ladri si concentrano su tutti quegli oggetti che sanno essere di valore e trovarsi in luoghi poco protetti;

· il criterio del saccheggio indiscriminato dei paesi poveri e/o di quelli con un patrimonio archeologico vasto e difficilmente controllabile. In molti paesi non industrializzati le opere d’arte, poco protette, possono essere sottratte con il minimo sforzo. In paesi con un grande patrimonio archeologico si assiste ad un saccheggio di larga scala e, poiché di solito manca totalmente qualsiasi tipo di documentazione dei beni archeologici, questi possono essere rapidamente e facilmente immessi sia sul mercato nazionale che internazionale;

· le chiese come target. Negli stati dove un grande patrimonio culturale appartiene alla chiesa, è inevitabile un alto numero di furti di oggetti d’argento e d’oro, di tappezzerie, quadri e statue dalle istituzioni religiose, specialmente quando queste sono troppo povere per proteggersi da sole;

· attenzione per quadri, stampe e sculture, specialmente dei grandi pittori europei e di artisti popolari. Sono quelli che più sono aumentati di prezzo dagli anni ‘50 e sono facilmente trasportabili dai ladri;

· trasportabilità, occultabilità, facilità di vendita dell’oggetto. Più gli oggetti sono trasportabili, occultabili, difficili da identificare se rubati e facili da piazzare sul mercato, più sono appetibili;

· pubblicizzazione dell’opera d’arte. Qualsiasi oggetto che sia pubblicizzato come acquisibile ad alto prezzo o in esposizione e di alto valore diventa inevitabilmente un obiettivo per molti ladri;

· scelta dell’opera d’arte in relazione alla domanda, al compratore. Si ritiene che i pezzi di più ingente valore e altamente riconoscibili siano rubati su commissione di collezionisti privati o, in caso contrario, per quella frazione del valore monetario dell’opera che possa essere facilmente ottenibile. Gli oggetti di valore medio-basso e più difficilmente riconoscibili sono rubati per essere venduti sia a collezionisti che a gallerie e case d’asta come pezzi legittimi;

· scelta dell’oggetto da rubare in relazione alla protezione dei musei. Nei musei con protezioni sofisticate, i “white collar thieves” si appropriano di opere di valore medio e basso, specialmente quelle difficilmente identificabili, rubandole spesso dai depositi.

In Sicilia solo nel 2012 sono stati registrati ben 1.026 furti di opere d’arte, con 17.338 oggetti trafugati fra cui reperti archeologici e paleontologi – Oggetti che finiscono nei salotti di magnati e miliardari, nelle teche di collezionisti, persino in famosi musei.

La nostra è la regione d’Italia dove è stato segnalato il più alto tasso di scavi clandestini, seguita da Puglia e Sardegna. Si ruba e si continua a rubare: con una incidenza di quasi tre furti al giorno.

Spesso si tratta di saccheggi lampo, spedizioni di scavo notturne con pale, picconi, potentissimi metal detector, che vengono fatti arrivare anche da Londra.

Ma è soprattutto la criminalità organizzata a far da protagonista nei saccheggi. La refurtiva finisce quasi sempre al mercato nero, bacino d’acquisto per mercanti e collezionisti. Ma non solo. Spesso lo scopo è collegato con l’obiettivo del riciclaggio di denaro sporco.

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