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Spot sì spot no

di Redazione

E’ di questi giorni la discussione in merito al disegno di legge presentato dal Senatore Amedeo Bianco (Pd) in merito ad alcuni correttivi della legislazione attuale in materia di responsabilità medica

 

di Daniela Mainenti 

La questione, sicuramente, andrà valutata attentamente insieme alle categorie degli utenti della sanità, ma un’iniziativa in tal senso è sicuramente dovuta e forse tardiva. Un primo passo era stato fatto con il decreto Balduzzi del 2012 in materia di responsabilità penale del personale sanitario.

Nell’ultimo decennio, il sistema dei risarcimenti per “malasanità” è entrato in una sorta di cortocircuito, mettendo in serio pericolo l’intera macchina della sanità pubblica. I risultati sono stati l’ aumento esponenziale delle richieste risarcitorie, assicurazioni che non vogliono più assicurare i medici o le aziende ospedaliere, personale sanitario sottoposto a continue minacce di azioni legali, anche di carattere penale, costretto, in molti casi, ad adottare la medicina difensiva.

Il nuovo disegno di legge vorrebbe limitare la responsabilità civile del medico solo per i casi di dolo e colpa grave (escludendo quindi la colpa lieve), e riducendo da 10 a 2 anni il termine per esercitare l’azione di risarcimento.

Su questi termini è, certamente, corretto discutere per trovare il giusto equilibrio, ma un punto su cui sarebbe importante intervenire e su cui, invece, non sembra esserci ancora una volontà decisa, è il tema della pubblicità in materia di azioni per chiedere i risarcimenti. 

Da qualche tempo, i mezzi di telecomunicazione ospitano spot pubblicitari che hanno ad oggetto possibili azioni per ottenere risarcimenti di qualsiasi tipo.

A volte, tali spot possono risultare anche suggestivi, se si considera che si rivolgono comunque a una platea di soggetti che hanno dovuto usufruire di servizi sanitari e quindi evidentemente più sensibili e facilmente suggestionabili.

Mettiamoci anche la crisi economica e il mix diventa fatale.

Corre l’obbligo chiedersi se è giusto che questioni delicate come azioni legali nei confronti di medici o di aziende ospedaliere possano essere oggetto di pubblicità come qualsiasi altro prodotto o se debbano essere invece limitate e controllate.

Una legislazione chiara e un serio controllo in merito comporterebbe una drastica diminuzione delle azioni di risarcimento temerarie, con beneficio per il sistema sanitario e, in ultima analisi, anche per quello giudiziario.

Insomma per la collettività.

Scatena, infatti, bufera, lo spot Medici – Pazienti – Avvoltoi,  lanciato dall’Associazione di medici AMAMI che parla delle cause legali pretestuose intentata contro la sanità. Ad agire è stato  il Consiglio Nazionale Forense (CNF) che ha annunciato una formale diffida contro AMAMI, per questo spot dei medici contro gli “avvoltoi della malasanità”, e ha invitato il Ministro Beatrice Lorenzin a “prendere le distanze da un’iniziativa dai contorni diffamatori” e a “assumere tutte le iniziative necessarie ad affermare la propria estraneità e non condivisione di tale iniziativa pubblicitaria”.

Così come avevano fatto qualche settimana fa i medici italiani contro lo spot dell’associazione Obiettivo risarcimento’ che invitava i cittadini a denunciare ogni presunto caso di malasanità. Un’iniziativa che ha provocato la rivolta dei medici italiani, che hanno chiesto, anche loro, al ministro Lorenzin di sospenderne la programmazione.

Nel video di AMAMI si vede un avvoltoio, mentre una voce fuori campo invita i cittadini a diffidare di chi pensa che i medici siano “prede gustose”: “Questa gente sta lì in attesa, pronta a lanciarsi sul medico che non ha saputo fare i miracoli. Si approfitta della buona fede dei pazienti, promettendo loro facili arricchimenti con cause milionarie e non importa se i medici loro vittime hanno fatto tutto quello che dovevano, lavorando con etica e coscienza”.

Uno spot che non è piaciuto al CNF che ha immediatamente chiesto il ritiro dal web e da ogni altro canale, dello spot incriminato, presentato, perfino, nel corso di un convegno che risulterebbe essere stato patrocinato appunto dal Ministero della Salute.

Allo spot in questione, riferisce il CNF in una nota, “è stato dedicato un ampio servizio nella edizione delle 20.00 del Tg5, secondo cui lo spot prodotto da Amami deve ritenersi riferibile agli avvocati, affermazione che ad ora non risulta smentita”.

Per il Consiglio Nazionale Forense, è assolutamente evidente “la volgarità dell’operazione diffamatoria, genericamente compiuta ai danni di un’intera categoria, altamente lesiva della dignità di una professione deputata costituzionalmente alla difesa dei diritti dei cittadini “.

Ragione per la quale il CNF si riserva di procedere in tutte le opportune sedi penali e civili e “richiama al rispetto del senso etico ogni professione anche nei reciproci rapporti, nella convinzione che i toni e le forme diffamatorie assolutamente generaliste finiscano con il nuocere alla corretta analisi dei fatti e, in fin dei conti, ledono proprio a quei diritti che si dichiara di voler tutelare. 

Insomma, si potrebbe dire una guerra a colpi di spot tra medici e avvocati con al centro i casi, (ahinoi!)  tanti, di malasanità.

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