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Feuersnot al Teatro Massimo

di Redazione

Il Teatro Massimo di Palermo ha inaugurato la stagione 2014 con l’atto unico di Richard Strauss, celebrando così i 150 anni dalla nascita dell’autore 

di Federico di Napoli 

 

Eseguita la prima volta il 21 novembre 1901, Feuersnot è la seconda opera del compositore bavarese. Un’opera fin ora eseguita in Italia soltanto tre volte: per la precisione, nel 1912 alla Scala (diretta da Tullio Serafin), nel 1938 al Carlo Felice di Genova (direttore lo stesso Strauss) e nel 1973 alla Rai di Torino (direttore Peter Maag). 

La quarta edizione italiana, dopo 113 anni dalla composizione e 76 dall’ultima esecuzione in un Teatro italiano, è stata messa in scena con la regia di Emma Dante, la quale, col marito Carmine Maringola (autore della scenografia), ha saputo dar vita ad uno spettacolo molto colorato e movimentato, ove attori, mimi,  e giocolieri (tutti molto versatili e bravi) si sono ben armonizzati con la musica proveniente dall’orchestra magistralmente diretta da Gabriele Ferro. Bravi i protagonisti principali, il baritono Dietrich Henschel e il soprano Nicola Beller Carbone (specialista straussiana, chiamata dal Teatro, negli ultimi anni, soprattutto per le novità in lingua tedesca), e tutto l’intero Cast dei comprimari, dal coro diretto dal  Maestro Piero Monti a quello delle voci  bianche (coprotagoniste) diretto dal Maestro Salvatore Punturo.

Feuersnot , poema cantato in un atto su libretto di Ernst von Wolzogen, è ambientato a Monaco di Baviera, in    un’epoca imprecisata, durante la festa del solstizio d’estate, in occasione della quale i giovani e i bambini, in preda a grande entusiasmo, vanno per le case a chiedere legna da usare per i fuochi della notte di San Giovanni. 

La giovane Dietmut e le sue amiche cantano e offrono doni e leccornie ai bambini. Il tutto mentre si danza su delle note che rievocano il valzer dall’ Evgenij Onegin di Ciajkovskij

Il misterioso giovane Kunrad, scherzando, fa credere ai bambini di essere un mago. In realtà Kunrad è innamorato di Dietmut e d’improvviso la bacia sotto gli occhi di tutti. La ragazza ne rimane più irritata che turbata e si ritira disertando la festa. Quando Kunrad giunge sotto il  balcone della giovane, Dietmut finge di assecondare la sua corte e gli cala un cesto, qui però trasformato in una larga e comoda sedia sollevata dalle attrezzature del palcoscenico (di certo più sicure delle forze della protagonista), la quale viene poi bloccata a mezz’aria – questa volta nel pieno rispetto del libretto – lasciando fattivamente “in sospeso” lo spasimante. La ragazza, col sadismo tipico delle donne, lascia dunque penzolare il poveretto, esponendolo alla derisione dei monacensi che accorrono a deriderlo. Furente, Kunrad veste i panni del mago per cui si spacciava, maledicendo l’insensibilità generale (e qui alcuni vi leggono un riferimento personale dell’autore verso i suoi concittadini, dai quali non si era sentito sufficientemente compreso). Con un sortilegio nato dall’ira, Kunrad spegne quindi tutte le luci e i fuochi della festa, ma offre anche una opportunità: le luci potranno riaccendersi solo se nei cuori si accenderà il vero amore; con ciò rivolgendo un palese invito a Dietmut, che, biasimata da tutti gli spaventatissimi cittadini e in cuor suo pentita per il proprio comportamento, accetta infine di accogliere il giovane nella propria stanza.  Il balcone si chiude e tutti restano in attesa al buio col fiato sospeso, fin quando le luci non tornano, improvvisamente e misteriosamente come si erano spente, a risplendere, e finché al balcone non si affacciano i protagonisti, stretti in un tenerissimo abbraccio.  Il paragone con l’operetta di Lombardo e Ranzato, Cin Ci Là, nasce spontaneo; il carillon che suona o le luci che si accendono comunicano lo stesso messaggio: in fondo sono una favola sia l’una che l’altra.

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