Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Unni agghiorna agghiorna

di Redazione

E dove sarà giorno sarà giorno. Ma è un ‘dove’ che vale anche come ‘quando’ e con una sfumatura di ‘se’. Se, quando e dove sarà giorno, sarà giorno. Si dice sempre nel prendere una decisione che comporta rischi: come di un cammino intrapreso nel buio della notte, con l’insicurezza di raggiungere una meta; e si vedrà al sorgere del giorno dove saremo arrivati, quale luogo e sorte ci sono stati assegnati. Frase che da più di un secolo suggella, fingendo noncuranza, ma celando intimo strazio, la decisione di emigrare.

 

di Walter Nania

 

Secondo le rilevazioni Istat, la Sicilia è una delle regioni con il più alto numero di emigrati, insieme a Campania, Lazio, Calabria, Puglia. Non è facile stabilire il numero dei siciliani nel mondo, essendoci siciliani che hanno da tempo rinunciato alla cittadinanza, siciliani d’origine e siciliani che conservano il passaporto italiano e rientrano nelle cifre ufficiali del Ministero degli Affari Esteri. Tenendo presente questa distinzione, si può affermare che i siciliani con passaporto italiano sparsi per il mondo, oggi, si aggirano intorno alle 750 mila unità, mentre le tre categorie messe assieme superano l’attuale popolazione residente in Sicilia, raggiungendo la cifra di oltre 6 milioni di unità.

In seguito all’Unità d’Italia fino agli anni ‘50 del XX secolo, un cospicuo numero di siciliani, con la valigia di cartone, ha lasciato la propria terra d’origine per dirigersi verso terre straniere, inizialmente verso l’Africa del nord, successivamente verso il continente americano e l’Europa continentale. Altri, negli anni del boom economico, sono emigrati verso le regioni industrializzate dell’Italia settentrionale. Il primo rito dell’emigrante è la partenza e la valigia è stata a lungo il simbolo dell’emigrazione. Prima della valigia c’era il ‘fagotto’, un pezzo di stoffa, uno scialle nel migliore dei casi, in cui venivano avvolte le cose da portare con sé nel nuovo paese. In alcune fotografie che riguardano la Grande Migrazione (specie quella verso l’America Settentrionale) si vedono delle donne ‘infagottate’, esse stesse bagagli in quanto hanno addosso più abiti, messi a strati, per non lasciare incustoditi nelle stive i propri averi, poveri e perciò preziosi. E nel fagotto, come nella valigia di chi negli anni ’60 partiva per il Nord del Paese, c’era tutto un ‘mondo’: ricordi della famiglia ormai lontana, un biglietto per un parente o un compaesano, talvolta una lettera di presentazione per qualcuno che, si sperava, potesse dare un aiuto. A partire erano contadini esclusi dal circuito agricolo che si impegnavano sia a lavorare la terra che al disboscamento o alla bonifica di terreni incolti. Si impiegavano anche nella realizzazione delle grandi vie di comunicazione, delle ferrovie, delle più grandiose opere edilizie e nel pesante lavoro delle miniere. Ma tra essi si contavano anche artigiani e operai che la nascente industria meccanizzata tagliava fuori dal mercato del lavoro.

Il capitale degli emigranti siciliani è stato il lavoro accompagnato, sempre, da una serie di risorse non materiali: determinazione a lavorare comunque e in qualsiasi condizione; perseveranza anche di fronte a grandi ostacoli, inventiva che, talvolta, ha portato al conseguimento di grandi risultati sia sul piano sociale che economico. Per gli emigrati all’estero che si dedicavano al commercio e alla ristorazione, gli inizi furono pressoché uguali: dopo l’arrivo nel nuovo paese lavoravano per alcuni anni come dipendenti dei parenti o degli amici che li avevano esortati e aiutati a emigrare. Per la maggior parte di coloro che ebbero fortuna, poi, il culmine della fortuna venne raggiunto con l’impianto di un esercizio commerciale di un certo respiro.

Sin dalla fine dell’Ottocento, l’emigrazione italiana e siciliana è stata ampiamente studiata, ma le varie inchieste e i numerosi saggi su tale fenomeno riservano la massima attenzione all’emigrazione maschile, ma a subire le conseguenze dell’emigrazione maschile furono per prime le donne che rimasero a casa: accudivano figli e anziani, erano casalinghe e lavoravano nei campi, filavano e tessevano. Solo in un secondo momento, le donne conquistarono spazio nel mondo del lavoro. Il primo settore industriale in cui le emigrate ebbero posto fu quello tessile. Dall’impegno come casalinghe nacque e si moltiplicò, specialmente nell’America del Nord, il bordo, cioè il tenere a pensione dei compatrioti. Era un lavoro considerato tipicamente femminile, insieme a quello di confezioni varie a domicilio. Le donne andavano anche da sole in emigrazione, diventando balie e domestiche.

Oggi, i siciliani sono di nuovo in cammino: dalla metà degli anni ’90, il numero degli emigrati in Sicilia è, progressivamente, cresciuto. Andando a ritroso per trovare un anno in cui dalla Sicilia sono partite altrettante persone, occorre risalire al 1989, quando ad abbandonare l’Isola furono in 18 mila 390. Andando più indietro negli anni, i saldi diventano positivi e bisogna risalire agli anni compresi fra il 1958 e il 1971 per trovare numeri da record: nel 1968 i siciliani che fecero le valigie per cercare occupazione furono ben 74 mila 745.

Oggi, dai registri dell’anagrafe spariscono, ogni anno, decine di migliaia di persone, tutte scolarizzate e in grado di spendere una discreta professionalità nel mercato del lavoro.

Così accadeva già nella seconda metà degli anni ’90. Fino al 1995, invece, la differenza fra iscritti all’anagrafe e cancellati era positiva. I dati più recenti confermano che la crisi che ha colpito le regioni meridionali ha reso il tema dell’emigrazione di grande attualità. Mentre un tempo partivano i contadini e gli operai accompagnati dalla famosa ‘valigia di cartone’

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