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Al Teatro Massimo il “Manfred” di Byron

di Redazione

A sei anni di distanza dalla produzione della Genoveva di Robert Schumann (inaugurazione della stagione 2006/2007), domenica 4 novembre (ore 18.30) il Teatro Massimo propone un altra pagina rara del compositore sassone.

 

Il poema drammatico con musica “Manfred” che vede riuniti Orchestra e Coro attorno al protagonista del testo di Byron che, per l’occasione, sarà un protagonista del teatro di prosa italiano degli ultimi decenni, Umberto Orsini. Sul podio Michele Mariotti che torna dopo il successo nel Barbiere di Siviglia nel 2010 e dopo aver confermato nei maggiori teatri di tutto il mondo la sua brillante carriera internazionale. Al loro fianco un gruppo di attori e cantanti che saranno impegnati nelle diverse parti recitate e cantate dell’inusuale lavoro di Schumann. L’adattamento del testo in italiano, nonché la regia e l’impianto scenico sono curati da Daniele Salvo, mentre l’elaborazione delle immagini video è di Giandomenico Musu (Indyca – Torino). 

Un uomo divorato dal rimorso, che invoca spettri e presenze ultraterrene: proprio come Faust di fronte ai torbidi segreti dell’oscurità. Ma Manfred, l’eroe nato dal genio di George Gordon Byron nel 1817, non cerca la conoscenza: il suo obiettivo è l’oblio, il silenzio della memoria. Ha vissuto una passione incestuosa con la sorella Astarte, vittima della fatale relazione. La sua è una di quelle vicende raccapriccianti, che si possono risolvere solo cancellando il passato. Una richiesta da girare direttamente al sovrannaturale; ma l’oblio non si può ottenere nel mondo dei vivi: l’unica soluzione è la morte.

Nel marzo del 1829 Robert Schumann annotava sul suo diario le impressioni dopo la prima lettura di Manfred di Lord George Gordon Byron: «Notte terribile!» è il commento che ci lascia. Dopo quasi vent’anni, nel 1848, lo riprende in mano, ne affida la revisione a Richard Pohl e Friedrich Wilhelm Suckow e inizia a comporne le musiche si scena: «Bisognerebbe annunciarlo al pubblico non come opera o Singspiel o melologo – scrive sempre Schumann – bensì come poema drammatico con musica». Nacque così una partitura che prevede un’ouverture (oggi celeberrimo brano spesso eseguito in concerto – e quindici numeri suddivisi in tre parti con otto melologhi (cioè con il testo recitato su un accompagnamento musicale), quattro cori, due brani vocali, un intermezzo strumentale. La prima esecuzione completa fu diretta da Liszt a Weimar il 13 giugno 1852. Il rapporto tra la recitazione e la musica è in generale assai libero, tuttavia in vari punti della partitura il coordinamento tra voce e orchestra è determinato dal compositore: in questi casi per la parte recitata è prevista una vera e propria notazione ritmica che ne disciplina gli interventi in modo più vincolante, facendoli interagire in modo preciso con la musica corrispondente.

In Italia è stato l’attore e regista Carmelo Bene a ridare nuova vita teatrale al Manfred di Byron/Schumann, curandone una versione e una riduzione italiana alla fine degli anni Settanta

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